Il volto della tenerezza

di Giovanna Abbagnara

Rinnovano ogni anno un voto molto particolare: “il voto della tenerezza”. Vivono insieme in una casa sulla collina di Montemorcino, a pochi passi da Perugia. La loro realtà è stata definita “clinica dei matrimoni in crisi” ma la comunità residente è molto più di questo.
È una “famiglia di famiglie”,  formata da un presbitero, otto coppie con ventidue figli ed una consacrata laica. Vivono in una sola struttura anche se ogni famiglia mantiene la propria privacy e i propri spazi.
Di questa meravigliosa realtà ne abbiamo parlato con don Carlo Rocchetta, il fondatore di quest’opera.

Don Carlo, come è nato il desiderio di dedicarsi alla famiglia?

Ho sempre lavorato per la famiglia e nel ‘98 ho iniziato a scrivere un libro “Teologia della tenerezza” uscito nel 2000. Questo libro è stato per me una nuova conversione perché mi ha fatto sentire il bisogno di lavorare per le famiglie applicando appunto la spiritualità della tenerezza. Il Vescovo di Perugia che conosceva questo mio desiderio, mi chiamò, mi diede una struttura, e otto famiglie si resero disponibili ad iniziare con me questa avventura. Era il 2003.

Perché lei parla di spiritualità della tenerezza, che cos’è la tenerezza?

La tenerezza è anzitutto il desiderio di amare e di essere amati che è inscritto nel cuore di tutti noi, ma questo desiderio si deduce dal fatto che noi siamo creati a immagine e somiglianza di Dio, e Dio è infinita tenerezza, e dunque la tenerezza che sentiamo nel nostro cuore si realizza se ci apriamo all’infinita tenerezza di Dio, se ci lasciamo trasformare da questa infinita tenerezza, e poi secondo le diverse vocazioni impariamo a viverla, quindi la scegliamo e la facciamo diventare uno  stile di vita.

Nella sua realtà convivono gruppi formati da sposi e anche vergini, come convivono queste diverse vocazioni?

Il nostro carisma mette insieme le vocazioni degli sposi, dei  consacrati laici o laiche e anche altre forme di vita. Attualmente siamo io, 8 coppie e una consacrata laica.

Questa reciprocità come si esprime?

Il nostro intento è quello di costruire una comunità che sia una piccola Chiesa con tutte le vocazioni. Naturalmente siamo nati da 6 anni e al momento la prevalenza è centrata sulle coppie di sposi ma speriamo che nel futuro Dio ci mandi altre vocazioni, anche perché nel frattempo stiamo ristrutturando gli ambienti e quindi avremo la possibilità di accogliere altri fratelli.

Quali sono i momenti comuni?

Tutti i giorni c’è la Messa e naturalmente viene chi può, perché alcune famiglie hanno dei bambini molto piccoli, tutte le sere c’è il Rosario. Il momento principale in cui ci ritroviamo insieme è il venerdì sera dove c’è la preghiera di tutta la comunità a cui segue la cena. Una volta al mese poi c’è il ritiro della comunità residente e in estate una settimana con tutti i bambini.

Ho letto che lei punta molto sulla formazione, perchè?

Sì, perché naturalmente se non c’è la formazione non si va da nessuna parte, è la formazione che permette di consolidare la provocazione sia per gli sposi sia per i fidanzati. Per cui cerchiamo di avere momenti forti di formazione sia al nostro interno sia per offrirgli agli altri e questo attraverso giornate di studio, seminari e così via.

Lei organizza anche eventi in modo particolare per le coppie in difficoltà, tanto che la sua struttura  è stata definita “clinica dei matrimoni in crisi”.

Questo è il primo impegno che abbiamo, ma ce ne sono molti altri. Certamente questo ci occupa più tempo, ormai c’è una richiesta grandissima di coppie in difficoltà e che chiedono aiuto. Pensi che io ogni mese faccio la media di 140-150 colloqui con le coppie che vengono a chiedere aiuto.

Cosa trovano le coppie in difficoltà qui, alla Casa della Tenerezza?

Anzitutto noi cerchiamo di capire la situazione, fare l’analisi attraverso i colloqui, tipo una diagnosi, e poi inizia un cammino di ristrutturazione che prevede una metodologia sia a livello di coppia, sia a livello del confronto in  piccoli gruppi.

Solo lei segue il cammino di queste coppie?

Realmente sono io che seguo tutte le coppie, adesso però ci sono 2 coppie della comunità che hanno fatto dei corsi di consulenza familiare e presto cominceranno anche loro a darmi una mano.

Qual è la percentuale di coppie in difficoltà che si rivolgono a lei e superano poi il momento di crisi?

In questi 6 anni abbiamo visto che la media è del 60% di coppie che risolvono i problemi. Sei su dieci riescono a superare la crisi, riescono a ri-innamorarsi, scoprire la gioia di essere sposi. Quel 40% che non ci riesce dipende da tanti fattori, a volte perché uno dei due non ne ha voglia, oppure perché c’è una terza persona di mezzo, oppure non sono perseveranti.

Da cosa si differenzia la sua realtà da quella di un consultorio?

L’accompagnamento alle coppie dura due o tre mesi, dopo noi li invitiamo a partecipare ai nostri week-end, ai nostri incontri di preghiera del venerdì. Essendoci una comunità dietro, questo differenzia il nostro servizio da un consultorio perché c’è la comunità che vive, che prega, che si ritrova e che li accoglie.

Oggi si rende conto che la sua realtà è un esperienza molto importante nel contesto storico culturale della famiglia. Quali sono secondo lei gli elementi fondanti dell’istituto Famiglia e che devono essere rivalutati dalla Chiesa e dalla società.

Si deve anzitutto riscoprire il matrimonio come realtà umana, naturale, fondata sull’unione dell’uomo e della donna e quindi difendere questa realtà proprio a livello umano. Per quanto riguarda gli sposi cristiani, bisogna cercare di aiutarli ad accogliere la grandezza di questo sacramento che celebrano perché da questo sacramento dipende la famiglia. Dalla famiglia dipende il futuro delle generazioni. Tutti i problemi come l’anoressia, la tossicodipendenza dipendono dal fatto che la famiglia non riesce ad assolvere il suo compito è questo il grande problema.

Anche nella Chiesa si parla di soggettività della famiglia ma sembra che questa soggettività poi nella prassi non ci sia.

Purtroppo a mio avviso, c’è addirittura un ritorno indietro nella Chiesa italiana, in cui veramente si è vive solo di una pastorale  per la famiglia, e non con la famiglia e della famiglia.

In che modo le famiglie della sua comunità riescono a coniugare la vita ordinaria con la vita della comunità?

Abbiamo cercato di trovare una giusta sintesi per quanto riguarda gli impegni a servizio degli altri e gli impegni di comunità.

In che modo i figli vivono questa realtà?

Benissimo! Perché quando hanno iniziato erano piccolissimi, ora che sono adolescenti cominciano a farsi qualche domanda poiché adesso cominciano i primi problemi e quindi i genitori si organizzano in vari modi, a volte li fanno venire e altre volte li fanno uscire con gli amici.

Si custodisce quindi una vita ordinaria, una vita come tutte le altre famiglie,  il di più da cosa è rappresentato?

Il fatto di essere una comunità di vita che condivide uno scopo, un ideale, la spiritualità, il servizio agli altri, quindi una famiglia aperta che non si chiude nel proprio guscio ma condivide con gli altri e che dona aiuto soprattutto alle famiglie in difficoltà.

Don Carlo, il suo carisma è molto incentrato sulla Parola, è in corso il Sinodo dei vescovi su questo tema. Qual è secondo lei il rapporto tra famiglia  e Parola?

La Bibbia è al centro, ogni famiglia nella nostra comunità ha la Bibbia simbolicamente all’ingresso della casa. Deve essere la Parola di Dio che guida i coniugi, Parola e Eucarestia. È da qui che dobbiamo ricominciare.

Quindi la famiglia ha bisogno di ritornare alle origini?

Sì. La parola di Dio è all’inizio della Chiesa e prima della stessa Chiesa. Non possiamo ignorarlo.




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