Affido, il punto di vista dei figli

di Carmela Memoli

Molte coppie con figli si aprono all’esperienza dell’affido familiare. La storia di Giulia, che raccontiamo nella rubrica, mette in luce la difficoltà ma anche la ricchezza di avere un fratello o una sorella speciale.

Quando Giulia è arrivata a casa nostra io, avevo 12 anni, era la fine delle vacanze e da poco eravamo tornati dal mare. La mamma come al solito era affaccendata a preparare la cena. All’improvviso lo squillo del telefono interruppe da quel momento la normalità della nostra famiglia.

Poco dopo il nostro salotto era un brulichio di voci e parole, i miei fratelli a fare la lotta, mamma e papà che parlavano con Francesca la responsabile del gruppo di famiglie della parrocchia. E seduta sulla poltrona c’era Giulia nei suoi piccolissimi pantaloncini rosa e la sua maglietta delle Winx. Rimasi colpita dal suo sguardo che sembrava cercare qualcosa o qualcuno.

Mi feci forza, mi avvicinai e le chiesi se le andava di sentire le mie nuove suonerie del telefonino, la presi per mano e andammo nella mia cameretta. Da quel giorno diventammo  come sorelle, o meglio è stata la sorella che non ho mai avuto. Giulia si presentò da subito come una creatura fragile, facile a stringere relazioni casuali nel disperato tentativo di colmare i vuoti lasciati dai suoi genitori.

Infatti Giulia era la figlia di una famiglia inesistente, suo padre l’aveva abbandonata quand’era ancora una bambina, e sua madre, si era rivelata da subito molto fragile ed inadeguata a svolgere una vera e propria missione come quella di educare una figlia. Quando è arrivata nella nostra famiglia io non conoscevo i suoi problemi.

Mamma e papà, dopo alcuni giorni dal suo arrivo, ci spiegarono che Giulia sarebbe stata con noi qualche mese perché la madre aveva dei problemi,  non poteva seguirla nei compiti e nelle cure di cui aveva bisogno. E noi dovevamo  fare tutto il possibile per farla sentire a casa. All’inizio le cose andavano bene, anche se a volte mi arrabbiavo quando prendeva le mie cose senza permesso o quando per gioco mi strappò la cartolina del ragazzo di cui ero innamorata pazza.

Le cose cambiarono quando Giulia iniziò ad incontrare ogni settimana la madre. Quando tornava si chiudeva in camera e non mangiava. Ed io per andare a dormire dovevo prometterle che non avrei fatto entrare mia madre nella stanza. A quel punto mi chiedeva se le volevo bene, mi abbracciava e con un grande sorriso mi dava la buona notte.

Allora non potevo capire tutta la sua sofferenza, ma di una cosa ero certa che le volevo tanto bene e avrei  voluto che fosse felice. I miei fratelli erano contenti della sua presenza, perché finalmente c’era un’altra femmina a cui dare fastidio.

Passarono le settimane ed anche diversi mesi, Giulia era entrata a far parte della nostra famiglia, eravamo  amiche per la pelle, spesso complici nelle marachelle. E spesso le punizioni non erano divise ma si raddoppiavano, ma per noi erano leggere perché condividevamo la stessa sorte.

Per Giulia il tempo trascorso con noi fu un tempo speciale. In quel periodo, anche se tra alti e bassi, sperimentò il piacere di essere figlia, del sentirsi appartenenti ad una storia, ad una famiglia, ad una relazione costituita dall’affetto sincero ed onesto.

Oggi io studio in un’altra città e Giulia è tornata da sua madre. Spesso ci sentiamo al telefono e quando torno a casa cerchiamo sempre d’incontrarci. Ringrazio tanto i miei genitori di aver detto sì all’affido di Giulia, perché più di tante parole sulla solidarietà e la carità, con semplicità e naturalezza hanno fatto vivere e sperimentare a me e ai miei fratelli non solo la fatica dell’aprirsi ad accogliere l’altro, ma soprattutto la gioia e la bellezza che c’è nel dividere e condividere con l’altro il tempo, gli spazi e le proprie cose.




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