Brittany Maynard

Domande senza risposta

di Peppe Iannicelli

Di fronte ad una tragedia umana come quella di Brittany Maynard il nostro primo dovere di esseri umani è quello di elevare una preghiera al Cielo affinché Dio l’accolga tra le sue braccia e consoli i suoi cari di questa perdita immensa ed incommensurabile. Dio, Signore del Tempo e della Storia, ha una misericordia ben più grande e generosa della nostra limitatezza e finitudine umana.

La vicenda della giovane donna americana che – dopo la diagnosi di un cancro incurabile – ha deciso di ricorrere all’eutanasia è sconvolgente. Anche perché Brittany ha voluto condividere il suo calvario con milioni di persone in tutto il mondo attraverso i social network. Ha raccontato le sue ultime settimane di vita, giorno dopo giorno fino all’epilogo dell’eutanasia. Una morte annunciata, straziante, disumana.

Se questa è una donna
Di fronte al mistero della vita e della morte, dopo la preghiera per l’anima di Brittany, potremmo esser tentati dallo spegnere il cervello augurandoci in cuor nostro di non trovarci mai di persona e con i nostri cari in un frangente analogo. Ma non è possibile far finta di non veder, di non sentire, di non pensare. La morte di Brittany è un monito terribile per tutti e per ciascuno proprio come quello che pronuncia Primo Levi a proposito di coloro che osassero dimenticare la tragedia dei campi di sterminio, il più terribile crimine contro l’umanità mai perpetrato nella storia umana.
La poesia di Primo Levi mi è tornata in mente meditando sulla vicenda di Brittany ed ho rivisto nell’immagine descritta dallo scrittore quella della povera donna che ha “scelto” l’eutanasia.

Scegliere di nascere e di morire
Si può scegliere di nascere? Certamente no! Si può scegliere di morire, di procurarsi o chiedere ad altri di procurarci la morte? La risposta non è così immediata né per i credenti né per coloro che si dicono atei. Quello che è sacrosanto chiedersi è: fino a che punto questa scelta è consapevole e non indotta da altri? Mi chiedo come sia giunta Brittany a questa determinazione, la chiamerò così d’ora in poi. In che modo le è stata formulata la diagnosi sul suo terribile male? In che modo le sono state prospettate le possibili cure e le ricerche in corso sulla malattia? In che modo le è stato descritto il dolore ed il percorso di decadenza fisica, mentale e psicologica che il suo corpo avrebbe patito? I medici che l’hanno avuta in cura – e curare non è sinonimo di guarire – hanno riversato su questo caso così difficile tutta la loro professionalità? Ma soprattutto, hanno circondato questo essere umano così duramente colpito con tutta l’umanità possibile? Non lo so! Non potremo mai saperlo! Ma certo che se io fossi un medico ed un mio paziente, dopo aver parlato con me, chiedesse di morire non sarei certo di aver fatto un buon lavoro. Avrei piuttosto l’impressione di aver spulciato un nome anonimo da una lista.

Una famiglia sola
La famiglia di Brittany come è stata preparata all’affiancamento di un malato così difficile? In quella casa sono stati fatti arrivare gli aiuti adeguati oppure lei ed i suoi cari sono stati lasciati da soli con il rimorso, per la malata, di prosciugare le finanze della sua famiglia per cure che le erano state prospettate come inutili? La diagnosi di simili malattie è una mazzata tremenda, ti toglie il fiato, destabilizza gli equilibri relazionali, mette in pericolo anche le piccole o grandi certezze economiche e sociali. Certo le visualizzazioni e gli amici su Facebook sono stati milioni, ma sarebbe bello sapere quanti di questi “amici di tastiera” hanno bussato alla porta di Brittany e della sua famiglia per un abbraccio, per un aiuto, per una presenza. Se Brittany avesse dovuto abbracciare anche una sola centesima parte dei milioni che in rete le hanno dichiarato amicizia sarebbe ancora in vita; purtroppo però erano amicizie virtuali, le più comode di tutte, perché non conoscono la fatica di mettersi in cammino verso l’amica, di bussare alla sua porta, di donarle un abbraccio ed aiutarla a bere un bicchiere d’acqua.

Eutanasia, suicidio dell’umanità
Temo che la cara Brittany abbia scelto ben poco. La sua non è una scelta di libertà, ma una determinazione al suicidio indotta da tutti coloro che non sono stati capaci di farle apprezzare la bellezza e l’importanza di ogni secondo della sua esistenza.
L’eutanasia è un suicidio dell’umanità. Anzitutto mortifica la dignità umana chiudendola in un angolo disperato. Priva il malato di minuti di vita che pur nella sofferenza avrebbero potuto esser ricchi di emozioni e sentimenti. Il sorriso di un figlio, la carezza del marito, una coccola della mamma, la parola di un amico, un’alba ed un tramonto, un uccellino fuori dalla finestra. Tutto questo con l’eutanasia è spazzato via senza rimedio alcuno. L’eutanasia è una sconfitta della scienza e della ricerca. Alcune malattie che oggi si curano erano fino a qualche anno fa ritenute incurabili. Sarebbero rimaste tali se tutti i malati avessero chiesto di morire ed i medici – invece di cercare terapie – avessero inoculato veleni.
Chissà se Dio riuscirà a perdonare ognuno e tutti noi che non abbiamo saputo far desistere Brittany, che non abbiamo saputo mutare la sua determinazione disperata in un’incertezza che oggi la terrebbe ancora in vita.




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