Storie

Stabat Mater

(© Nik Frey - Fotolia.com)

di Katia Giardiello

Una lettera meravigliosa di una mamma che racconta la strada dolorosa del calvario con la sua bambina nata con una grave malformazione.

Mi chiamo Katia e sono la mamma della piccola M., una bambina oggi di 10 mesi nata con una gravissima e rarissima malformazione ad una vena del cervello. 22 agosto del 2012 a 37 settimane faccio una semplice eco di controllo. Il medico sbianca esce e ne entra un altro, un professore. Ci dice che c’è un problema grave, c’è un altissima possibilità che la bambina nasca morta o gravemente cerebrolesa, con danni neurologici o motori, perché praticamente metà del suo cervello è una massa aneurismatica. Mio marito praticamente sviene e l’unica cosa che provo è una enorme tenerezza, penso che è mia figlia e la proteggerò. M. nasce il 24 agosto viva e sembra sana, mi viene appoggiata in grembo dopo un parto fisiologico perfetto di 5 ore, un marito ed un’ostetrica meravigliosi, insostituibili. Due minuti, il tempo di guardarla dritto negli occhi e mi viene portata via, in un reparto di subintensiva per poterla controllare da cima a fondo e capire se sta bene. Dopo 4 giorni la rivedo e inizio ad andare lì in reparto per allattarla, la notte invece con il papi si torna a casa, da soli. Dopo 20 giorni torna a casa con noi in attesa di poter intervenire sulla massa, ci dicono che inspiegabilmente la bambina è sana, ma l’aneurisma potrebbe scoppiare da un momento all’altro o creare danni permanenti o ancora farle scoppiare il cuore per l’enorme quantità di sangue che pompa. Va trattata, operata endoscopicamente, i rischi sono alti, ma se non si agisce morirebbe comunque. A 29 giorni di vita riceve il battesimo “ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio” poi, il viaggio della speranza in un altra regione, da un importante professore che però ci confonde con la sua poca umiltà. Lui è molto importante ma noi preferiamo affidarti a chi ti ha fatta nascere. Porziuncola, affidamento della piccola a Maria. Fine novembre, unzione degli infermi: voglio che sia tutta tua, sempre e comunque. Quattro dicembre, prima operazione rischio di morte altissimo, di emorragia, e su una bimba così piccola non si farebbe in tempo ad arrivare in sala operatoria. M. esce dalla sala operatoria indenne. La massa cresce e bisogna operare di nuovo. Siamo nella fatica, fisica, psichica e spirituale. Il respiro è pesante. Questo secondo intervento ha i medesimi rischi e noi siamo molto stanchi. Il fatto di avere più coscienza di tutto non aiuta. Il cammino è fatto di grandi speranze ma anche di profonda angoscia. Sentirsi ripetere alcune parole ormai da sei mesi è veramente faticoso. Nei momenti di angoscia, quando il dolore diventa a volte rabbia e male, il rumore dentro la testa è tanto e si teme anche di fare del male al proprio bambino. La parola morte e la parola malattia o malformazione diventano un nemico che se non viene in qualche modo “accolto” non lascia spazio all’Amore.
Chiediamo sempre e incessantemente preghiere, la Rete della piccola M. di amici, parenti, conoscenti è fitta e ci sostiene con pensieri e preghiere. Risonanza di controllo. L’aneurisma non è solo, ci sono due sacche gigantesche che crescono velocemente, sono tra loro collegate e, mai visto prima, drenano nel cervello, quindi per inciso le sacche non possono essere semplicemente trombizzate (cioè chiusa la sacca come negli altri casi di aneurisma), perché drenano sangue buono direttamente nel cervello. M. è il primo caso assoluto al mondo. […]
Non ho mai chiesto il perché, mai, non ho nemmeno mai chiesto la guarigione di mia figlia, non ci riuscivo, ma la cosa che mi distruggeva è che la parola morte stava prendendo il sopravvento e che temevo mio Padre. Poi dal timore è arrivata la rabbia. Mi scoprivo a sfidarlo, ma desideravo ardentemente che lui ci fosse. Lo bestemmiavo perché ero come ogni figlio che vuole dimenticare un Padre ma in fondo continua a cercarlo sempre. “Cosa vuoi ancora? Non ti lascerò andare finché non mi avrai benedetta! Come Giacobbe dall’altra parte del fiume ti aspetterò e ci picchieremo e ne sopravviverà solo uno… e non sei tu! Rispondi! Dove sei? Io voglio che tu ci sia, benedicimi!”. Urla mute.
25 aprile, in auto verso Vezzolano e poi colle Don Bosco. “Chiunque crede in me, anche se muore vivrà, chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?”. Credi questo? Credi questo? Depongo le armi e Ti chiedo per la prima volta: “Papà, guarisci il mio cuore e guarisci la mia bambina”. Mai il nome Papà mi era sembrato tanto dolce. […]
14 maggio terza operazione M. esce dalla sala, post operatorio lungo. 28 maggio entra la neurochirurga in stanza e ci dice che anche l’aneurisma più grosso si sta riducendo e che altre due vene stanno drenando naturalmente al suo posto nel cervello — “ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio” — non ci sarà una quarta operazione. Silenziosa e composta, incredula e profondissima gioia.
Io non sono stata e non mi sento una mamma forte, io non credo di essere forte nemmeno nella fede. Io non credo di aver capito molto. Né del dolore né della resurrezione. La morte, la malattia, il dolore restano un mistero. Sono piena di gioia ma anche di dolore per l’alzati che Gesù ha voluto dare alla mia piccola M., per la gloria di Dio, ma chiedersi perché lei sì e altri bambini no non ha senso, fa solo male. Ma a volte come mamma mi succede. Quello che so è che per essere pienamente umani dobbiamo Stare, senza fuga, in qualsiasi cosa. Lui ci vuole così.
Per questo è incisa dentro di me, nella parte più intima del mio dolore e della mia gioia, l’immagine di Maria: la Madre Stava. Stabat Mater. Vangelo di Giovanni, la madre stava. Stava, lì, in silenzio, sotto la croce. Stare è disumano, devastante, semplicemente atroce. Ma Stare è disumano anche e proprio perché non è solo umano. Per Stare ci deve essere un secondo “Sì”. A Lui.
È passato 1 mese e mezzo dall’operazione, facciamo controlli regolari perché M. resta in sorveglianza speciale, e la nostra vita ha cominciato ad essere piano piano una vita “normale”. Così mi ritrovo spesso di notte a pensare. Penso a questa avventura con la nostra piccola grande M., ai primi attimi, a quando me l’hanno portata via. E penso a Chiara Corbella Petrillo, al suo dire che il nostro cuore conosce bene quale sia la Verità e penso che Dio è Padre buono, perché ti insegna ad Amare a piccoli passi proprio lì dove è la tua più grande Paura.
Desidero con tutto il cuore dire ai tanti e cari genitori nella fatica di non abbattersi. Ci saranno i giorni e soprattutto le notti dell’angoscia, suderete sangue e lacrime, bestemmierete, e il vostro spirito sarà come schiacciato da un enorme sasso che non vi farà respirare. Sarete nel sepolcro più buio. Ma non fatevi vincere dall’angoscia. Forza! Chiedete incessantemente, stringetevi forte a Lui, stringete forte vostro marito e vostro figlio. E fidatevi e affidatevi agli strumenti che Dio vorrà donarvi, i dottori e tutto lo staff dell’ospedale hanno bisogno della vostra fiducia. Fidatevi di chi pur avendo una grande professionalità resta uomo umile. Fidatevi di vostro figlio e poi ancora, chiedete a chi vi sta accanto di sostenervi con la preghiera. Fatevi accompagnare da un frate, un prete, una persona di Fede e di esperienza, che possa camminare con voi nella prova, le amicizie tra laici e consacrati sono un Dono prezioso, non ringrazieremo mai abbastanza il nostro amico e padre V.
Voi ce la farete ad Amare il vostro bambino pienamente. Io non so se ci sarà una guarigione o no, ma quello che è importante è Stare occhi negli occhi. Amando. Dando Tutto ciò che possiamo. Vi voglio bene, non sapete quanto, e vi sono vicina. Prego per voi e per la vostra pace.
(La Croce – Quotidiano, 28 ottobre 2014)




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