Pastorale familiare

Se il Vangelo non entra in famiglia

di don Silvio Longobardi

Con la Genesi e le prime parole dell’uomo prende avvio quella grande avventura che si chiama amore coniugale. Qual è il compito della comunità ecclesiale per accompagnare il cammino degli sposi?

L’uomo e la donna non sempre sanno raccontare l’amore nella sua originaria e luminosa bellezza, anzi spesso danno una versione riduttiva o addirittura sfigurano questo ideale. Dobbiamo ritornare alle origini, a quel mattino della creazione, quando tutto era soffuso di bellezza. Nella Genesi troviamo una pagina impregnata di pathos, una pagina commovente e drammatica; e troviamo una parola che squarcia le tenebre della solitudine: “Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda” (2,18). Queste parole, che la Genesi attribuisce a Dio, fanno intravedere il disagio, anzi direi la tristezza dell’uomo. Ha tutto eppure gli manca qualcosa. Anzi, gli manca qualcuno. Lo sviluppo tecnologico e il benessere economico non potranno vestire di gioia l’umana esistenza. Solo l’amore può farlo.
Il testo della Genesi non si ferma alla descrizione del disagio ma annuncia l’intervento di Dio che trova il suo culmine nel canto nuziale: “Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne” (2,24). Sono le prime parole dell’uomo, e sono anche le più importanti perché danno origine a quella grande avventura che si chiama amore coniugale, una storia che non smette di sorprendere. In ogni tempo, in ogni cultura e civiltà, l’amore affascina e coinvolge, l’amore viene esaltato e cantato. Ma Dio Padre ha inviato il Figlio e lo Spirito e lo ha fatto per dare agli sposi la grazia di amarsi per sempre e nella pienezza.

Il compito della Chiesa. In questa cornice, quale è il compito e il dovere della comunità ecclesiale? Dobbiamo senza dubbio curare le piaghe, sostenere chi vacilla, rialzare chi è caduto. Ma prima di tutto dobbiamo accompagnare fidanzati e sposi a vivere l’amore non come possesso ma come un cammino faticoso ed esigente, insegnare che amare non vuol dire avere qualcuno ma camminare insieme con qualcuno, far capire che l’amore autentico non chiude ma genera il desiderio di seminare il bene e di prendersi cura degli altri. In un tempo dominato da un individualismo esasperato, serve una nuova grammatica e una nuova pedagogia dell’amore.
Per fare questo non basta la buona volontà. A giudizio di Benedetto XVI “c’è un’evidente corrispondenza tra la crisi della fede e la crisi del matrimonio” (ottobre 2012). Dalla fede dunque dobbiamo ripartire per ridare respiro alla relazione coniugale e stabilità alla comunità familiare. La pretesa di guarire senza l’aiuto di Dio è un altro e più tragico segno dell’ateismo strisciante che oggi domina la vita personale e sociale. Noi sappiamo invece che tutto nasce e rinasce dall’incontro con Gesù Cristo. Lui solo può guarire e donare nuova vita. Talità kum, ha detto un giorno nella casa di Giairo, ridando il soffio di vita ad una fanciulla che tutti consideravano spacciata. È la stessa parola che oggi dobbiamo proclamare con l’autorità che viene da Lui: Famiglia, dico a te, alzati!

La comunità ecclesiale è un sostegno essenziale e decisivo per gli sposi. Non facciamoci illusioni e non alimentiamo negli altri illusioni. La comunità aiuta gli sposi (ovviamente in coppia) a fare un percorso in cui l’esperienza di fede e quella dell’amore si intrecciano. La coscienza che l’amore è un dono di Dio e che il matrimonio è una vocazione impegna gli sposi a mettersi e a rimanere in ascolto della Parola e a trovare in Dio la fonte a cui attingere sempre nuovamente la forza dell’amore. L’ascolto della Parola permette di acquisire gradualmente uno stile di vita sempre più conforme al Vangelo. L’amicizia ecclesiale che si crea tra i membri della comunità diventa a sua volta un sostegno prezioso: “Nulla è più potente fra le cose umane, per mantenere lo sguardo applicato sempre più intensamente a Dio, che l’amicizia degli amici di Dio”. Chi s’incammina su questa strada scopre che l’amore è un’avventura che conduce sulla santa montagna.

Famiglia e nuova evangelizzazione. Diciamolo chiaramente: senza la famiglia, cioè senza un’attiva partecipazione degli sposi alla vita ecclesiale, tutta la dinamica di evangelizzazione viene azzoppata, è come pretendere di “volar senz’ali”. Non è una novità. Lo scriveva a chiare lettere Giovanni Paolo II più di trent’anni fa nella Familiaris consortio: “la futura evangelizzazione dipende in gran parte dalla Chiesa domestica”. Quel documento ha dato spago ad un nuovo e incisivo impegno pastorale, anche se dobbiamo riconoscere che siamo ancora ai primi passi.
Sulla scia di questo grande documento, la Relatio Synodi chiede “un radicale rinnovamento della prassi pastorale alla luce del Vangelo della famiglia, superando le ottiche individualistiche che ancora la caratterizzano” (n. 37). Per dirla in parole più semplici, i padri sinodali fanno notare che la nostra pastorale guarda più al singolo individuo che alla famiglia, non è pensata a partire dalla famiglia, non si misura con le esigenze specifiche della famiglia. Eppure, la famiglia in quanto “chiesa domestica” – è significativo notare che questa espressione appare quattro volte nel documento conclusivo (nn. 13, 17, 23, 34) – costituisce l’ultima articolazione della Chiesa. Attraverso la parrocchia il Vangelo s’incarna nel territorio ma se il Vangelo non entra in famiglia, se non raggiunge la “chiesa domestica”, l’attività della parrocchia resta assai lacunosa. Non è la parrocchia il terminale, ma la famiglia.




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3 risposte su “Se il Vangelo non entra in famiglia”

Penso che gli sposi cristiani debbano riscoprire la ministerialità che è propria di questo sacramento. Così si potrà superare l’individualismo e potranno acquisire la coscienza di essere “chiesa domestica” luogo di dono reciproco e di amore gratuito.

Penso che la pastorale familiare deve partire dalla casa per poi giungere alla parrocchia. Questa è la grande novità e la sfida che la Chiesa deve accogliere. Bisogna far capire agli sposi che anche la casa è il luogo dove si può pregare e sperimentare la presenza di Dio, così come facevano anche i coniugi Martin.

Talità kum!!! Alzati! Risorgi! Questo invito risuoni nei nostri cuori quando siamo sepolti dalle mille cose da fare…famiglia alzati è Gesù che te lo chiede,sei indispensabile per il bene di tutti!

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