Divorzio breve

Solo 28 “no” al divorzio breve. Chi sostiene la famiglia?

© Matthew Benoit - Shutterstock.com

L’Italia ha ottenuto il divorzio breve con 398 sì alla Camera. Non più 3 anni per separarsi ma solo 6 mesi, se la separazione è consensuale, e al massimo un anno se si decide di ricorrere al giudice. Chi si batte ancora per la famiglia?

Con 398 sì, 28 no e 6 astenuti alla Camera, l’Italia ottiene il divorzio breve: non più tre anni per separarsi, come previsto dalla riforma della legge Fortuna-Baslini, ma solo 6 mesi, se la separazione è consensuale, e al massimo un anno se si decide di ricorrere al giudice.

Il mondo cattolico ha sollevato notevoli perplessità per il nuovo testo di legge. Piovuti da più parti i commenti preoccupati a quella che è stata definita “la grande svolta”.

«Se non si riconosce che il divorzio è un fallimento e si dimentica che nel fallimento del matrimonio si nasconde un possibile fallimento della società non si arriva da nessuna parte». Così Giuseppe Butturini, presidente con la moglie Raffaella dell’Associazione nazionale famiglie numerose, commenta l’approvazione del “divorzio breve”. «La parola divorzio – continua Butturini – mi richiama, prima di tutto, la parola sofferenza: immagino quella dei coniugi che si devono separare e, soprattutto, quella dei figli». Prosegue il presidente: «Non dimenticherò mai gli occhi di quel bambino, figlio di una famiglia seguita da mia moglie, quando ha capito che era in gioco il rapporto tra il papà e la mamma. Con il divorzio breve la sofferenza dei figli è dimenticata». Commenta ancora Butturini: «Se le istituzioni mettessero metà dell’impegno a sostegno della famiglia rispetto a quello che mettono per prendere atto che una famiglia è finita sarebbe già qualcosa».

Da Marina Zornada, vice presidente dell’Associazione Azione per Famiglie nuove onlus (Afn), arriva invece la dura considerazione: «Tutto l’impegno che ha messo la politica per il divorzio non è stato controbilanciato da politiche di sostegno alla famiglia, dimenticandosi che la famiglia in tutto il mondo è la cellula base, è il bene sociale primario».  Conclude la vicepresidente: «Noi siamo allibiti di fronte alla superficialità e facilità con cui si alleggerisce una procedura, quella del divorzio, che sicuramente avrà come conseguenza lo sfasciarsi di molte più famiglie».

Anche Pietro Boffi, responsabile del Centro internazionale studi sulla famiglia (Cisf), si unisce al coro, sostenendo che i tempi del divorzio siano un «falso problema, sganciato dalla realtà: ben altre sono le promesse importanti rimaste al palo, come quella di guardare alle famiglie con figli». «In realtà – precisa –metà delle separazioni non sfocia in un divorzio, e comunque chi esce da una storia matrimoniale deve elaborare il lutto e ricreare degli equilibri personali: non c’è quindi un’emergenza vera, né una categoria sociale che tragga beneficio dalla nuova norma». I numeri del Cisf parlano di 88.288 separazioni in Italia nel 2012 alle quali corrispondono 51.319 divorzi (mentre, nel 1995, le separazioni erano 52.300 e i divorzi 27.000).

Per Francesco Belletti, presidente del Forum delle associazioni familiari, si tratta di «una vera e propria sconfitta dello Stato nei confronti della famiglia».  Sostiene il presidente: «È come se il legislatore dicesse: fare famiglia è un “affare privato”, quindi nel bene e nel male, cari cittadini dovete arrangiarvi. Non aspettatevi niente dall’intervento pubblico. Sono solo affari vostri». «Quello in atto – afferma Belletti – è un percorso verso una società che privilegia legami sempre più leggeri in cui è quasi impossibile la promessa di una alleanza per sempre tra l’uomo e la donna».

«Nazioni molto più laiche di noi hanno sostegni alla vita di coppia» ricorda don Paolo Gentili, direttore dell’Ufficio nazionale Cei per la pastorale della famiglia. Incalza il presbitero: «In Italia, la solitudine dei legami e la difficoltà a tenere unita la famiglia è un grido che non trova ascolto, date le scarsissime politiche per la famiglia e una società che stritola chi vuole vivere il “per sempre”. Il sacerdote avverte: «Sei mesi sono pochi per acquietare i rancori e dare i dovuti supporti, per trasformare la separazione in una nuova opportunità d’incontro aprendosi al perdono».




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