La storia

Jocelyne, da soldatessa a donna di pace

Jocelyne Khoueiry

di Luca Memoli

Deposte le armi, Jocelyne decide di difendere il suo Libano e la cristianità con un’opera di apostolato culturale, spirituale e sociale per formare i giovani in un contesto dilaniato dalla guerra. Nasce così il movimento mariano.

Da soldatessa a donna di pace, la vita di Jocelyne Khoueiry è stata una continua risposta alle esigenze del travagliato popolo libanese. Colloquiando con questa tenace donna è emersa la centralità della famiglia nel processo di ricostruzione del Libano.

Nel 1975, avevi appena 20 anni ed hai coraggiosamente difeso il tuo Paese e la sua cristianità con un gruppo di soldatesse dalla minaccia palestinese. Ma nel corso degli anni questa tua missione ha cambiato volto. Hai infatti voluto dare alla tua causa uno slancio profondamente cristiano, dando vita a un tipo di formazione e impegno che andava altre quello militare. Cosa ha condizionato questa scelta? Quali frutti ha portato?

Non c’è un avvenimento particolare che ha condizionato la mia vita. Tutto si è sviluppato all’interno di un cammino. Durante gli anni della guerra abbiamo scoperto la presenza di Dio e la sua Provvidenza. Questo ha colpito me e il mio gruppo. Tante volte abbiamo avvertito la sua mano che ci proteggeva. Dunque pian piano si sono aperti gli occhi della fede e abbiamo iniziato a cercare Dio insieme. Abbiamo cercato anche di capire il perché della guerra in Libano, perché contro i cristiani, perché i cristiani hanno preso le armi per difendere il Libano e cosa significa il Libano per i cristiani. Le risposte sono venute per confermare l’importanza del Libano come messaggio di convivialità  e coesistenza nel Medio Oriente fra cristiani e musulmani. Un messaggio unico nel mondo e molto importante per gli altri Paesi arabi. Abbiamo dunque deciso di adottare una visione cristiana, spirituale e sociale per costruire e difendere il nostro Paese.

Durante la guerra assieme ad altre responsabili della milizia avete intrapreso anche corsi di preparazione al matrimonio. Perché?

Abbiamo notato che c’eravamo allontanati da Dio. E non solo a causa della guerra. La cultura occidentale che noi riceviamo quotidianamente è molto pericolosa per noi e per le giovani libanesi che si allontano dai valori cristiani. Nella milizia avevo già intrapreso corsi di teologia, iniziando proprio dal sacramento del matrimonio, riscoprendo in questo modo il senso dell’amore, della sessualità, del corpo e della persona umana come mezzo tramite il quale Dio realizza il suo progetto di salvezza. Ho la convinzione che se recuperiamo il matrimonio recuperiamo tutto il mondo.

In un periodo di forti tensioni hai profeticamente puntato l’attenzione sulla formazione della futura società libanese e nel 1985 ti sei dimessa, assieme ad altre responsabili  dallo Stato Maggiore delle Forze Libanesi per portare nella società la forma di apostolato che avevate già avviato. In che modo avete concretizzato questo ideale?

La guerra è durata tanto e questo è stato un grande pericolo per il popolo libanese. È vero, abbiamo bloccato la decisioni di stabilizzare 500mila palestinesi in Libano e come popolo stiamo tentando di non permettere il ritiro del diritto dei palestinesi di tornare a casa loro. Cosa importante sia per loro che per noi. Noi come piccolo paese non possiamo assumere questo peso. Nei 13 anni di guerra la nuova generazione che è cresciuta in questo clima non ha avuto la possibilità di essere educata e formata. I giovani non avevano un bagaglio di esperienze per poter affrontare la vita e la società. Si rischiava  così di perdere di vista i valori cristiani ed etici fondamentali per ogni uomo. Abbiamo capito che c’era bisogno di un’altra opera che contrastasse la dilagante degradazione generata della guerra. Un’opera che fosse culturale, spirituale e sociale nello stesso tempo. La fase di gestazione di questo nuovo progetto durò 3 anni e si realizzò nel movimento mariano “La libanese donna del 31 maggio”. Il 31 maggio lo avevamo già scelto come il giorno della militante. In questo giorno si celebra la Visitazione: l’incontro della donna con Maria che sancisce l’inizio di una nuova storia. Maria è il punto di riferimento della nostra spiritualità ed attraverso di lei speriamo di riformare la nostra società e le nostre famiglie. Nel 1988 abbiamo dunque inaugurato questo nuovo movimento.

Quali sono gli ambiti di intervento del Movimento?

Il Movimento ha animato un gruppo di preghiera e di formazione. Da questo gruppo sono nati diversi progetti. Come il Centro Giovanni Paolo II in cui abbiamo un centro di ascolto e di psicoterapia familiare, un servizio famiglia per seguire le famiglie in difficoltà seguendo la logica dell’incontro e dell’accompagnamento umano. La guerra e la crisi economica hanno causato tanto disagio per numerosissime famiglie, così cerchiamo di seguire con diversi aiuti. Un altro progetto è quello dell’orfanotrofio. Come gruppo siamo impegnati nell’animazione di circa 150 bambini. Con il progetto formazione, invece, cerchiamo di organizzare una serie di conferenze destinate ai laici cristiani. Ogni anno c’è un argomento diverso, anche se prediligiamo approfondire temi della Dottrina Sociale della Chiesa.

Inoltre abbiamo progettato di inaugurare un centro per la famiglia che si chiamerà Casa S. Giuseppe. La diocesi ci ha donato un convento che verrà restaurato per farne un centro di formazione e di riconciliazione per le coppie che hanno problemi. In questo centro potremo accogliere anche tutta la famiglia. In questo modo faremo un programma per i bambini lasciando ai genitori la possibilità di fare un percorso spirituale e di riconciliazione di coppia, accompagnate da persone che sappiano offrire un giusto orientamento.

Prima hai accennato all’occidentalizzazione del Libano. La famiglia è risparmiata da questo processo o anche da voi non gode di buona salute?

Il problema del matrimonio da noi è legato soprattutto alle difficoltà economiche. Per vincere queste resistenze abbiamo bisogno di testimoni. Quando si vede una famiglia stabile e felice allora si acquista speranza nel futuro.

L’elemento caratterizzante del sistema politico libanese è il confessionalismo, un assetto istituzionale in cui la rappresentanza politica è ordinata e proporzionata in base all’appartenenza religiosa dei cittadini. In questo sistema trovano spazio le istanze che la comunità cristiana chiede a favore della famiglia?

In assoluto fra cristiani e musulmani c’è una divergenza politica fondamentale che è quella della poligamia. Ma con il tempo questa tendenza sta diminuendo. Oggigiorno sono pochissimi in Libano i musulmani che vivono la poligamia. Oltre questo elemento stiamo trovando punti in comune per organizzare la società insieme. Tante volte conveniamo che nel Patto Nazionale di convivenza fra cristiani e musulmani manca quell’orizzonte ideale e di valori che devono rispondere alla domanda: che Libano vogliamo costruire insieme? In questo nuovo patto andrebbero messi al primo posto l’importanza della famiglia, della vita e fare delle leggi che difendano questi valori. C’è un terreno comune su cui dialogare. Basta ricordare che nel 1995 alla conferenza mondiale sulla donna di Pechino, la Santa Sede si è trovata insieme ai paesi musulmani a formare un fronte contro la legalizzazione dell’aborto partendo dalla libertà della donna sul suo corpo. Ci sono dunque punti da sviluppare insieme.

Se una volta i cristiani, se pur di poco, erano la maggioranza della popolazione, attualmente si calcola che i libanesi siano per il 60% musulmani. Questa dato è destinato a crescere? Perché?

Bisogna precisare che il dato non è esatto. Queste sono soltanto ipotesi: forse siamo ancora al 50%. Quello della maggioranza musulmana è uno slogan che è stato diffuso agli inizi degli anni ‘90, ed è un modo per far capire che forse non c’è futuro per i cristiani in Libano.




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