Ascensione del Signore

Nelle nostre famiglie lasciamoci stupire da Gesù

di fra Vincenzo Ippolito

Egli ha promesso di rimanere sempre con noi (cf. Mt 28,20). La sua presenza è fattiva, la sua compagnia tangibile, la sua grazia dilagante nel bene. Anche qui il salto da fare è di fede perché nelle nostre famiglie dobbiamo lasciarci stupire da Dio. Noi dobbiamo, infatti, partire sempre.

Vangelo (Mc 16,15-20)

In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».

Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.
Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.

Commento

La mensa della Parola che la Chiesa imbandisce per la solennità dell’Ascensione ci propone la conclusione del Vangelo secondo Marco. La scena, secondo lo stile marciano, è scarna e la descrizione essenziale, lo notiamo soprattutto dopo che, in questo tempo di Pasqua, abbiamo gustato lo stile del Vangelo secondo Giovanni. Un solo versetto (15,19), infatti, ci presenta l’ascesa al cielo di Gesù, mentre l’attenzione dell’Evangelista è polarizzata sulla missione, affidata dal Risorto agli Undici, di annunciare il Vangelo e di battezzare i credenti. Altrettanta enfasi è poi dedicata ai segni che accompagnano gli evangelizzatori, prova della Presenza dello Spirito del Signore in mezzo ai suoi. I Vangeli sono, infatti, interessati non tanto al fatto dell’Ascensione del Signore al cielo – la descrizione più curata l’abbiamo nel brano degli Atti degli Apostoli (1,1-11), prima lettura della liturgia odierna – quanto all’impegno dei discepoli perché la testimonianza di Gesù raggiunga, come seme di salvezza e di vita nuova, gli estremi confini della terra.

Tre diverse scene Marco ci propone nella pericope di oggi. Nella prima – che segue l’apparizione del Risorto alla Maddalena (15,9-11) e a due discepoli in cammino verso la campagna (15,12) – il Signore si mostra nel suo corpo glorioso alla comunità riunita a mensa, rimproverando i suoi per l’incredulità e la durezza di cuore “perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto” (15,14). Ciò che segue ci stupisce non poco perché sembra che il brano mostri una stridente contraddizione tra il rimprovero del Signore e la sua fiducia incondizionata nei discepoli. Il Maestro, infatti, non ha paura dell’incredulità degli Undici, a Lui non interessa che essi per primi non abbiano creduto alla parola dei testimoni. Egualmente li manda nel mondo ad essere annunciatori della lieta Novella, banditori della sua Parola di salvezza per ogni creatura. Noi, dopo un rimprovero fatto con asprezza, mettiamo in quarantena i nostri rapporti, aspettando che il reo si converta e dimostri segni di pentimento. Invece Dio non si comporta così! Egli sa che l’unica strada perché il peccatore si converta è il perdono, l’unica pedagogia da attuare perché si riconosca il proprio errore è la misericordia. Solo se l’evangelizzatore è lui per primo un peccatore perdonato potrà non solo annunciare con le parole, ma proclamare con la vita il primato della Pasqua di Gesù, solo se il discepolo sperimenta ogni giorno la potenza del perdono di Dio che lo strappa dalle tenebre dell’incredulità e dalla durezza di cuore potrà non giudicare gli altri a cui è inviato, ma essere segno del Pastore bello a cui stanno a cuore le pecore perdute.

Dio con l’uomo gioca sempre a perdere. Egli, infatti, non sceglie i buoni, né predilige i perfetti – ammesso che ce ne siano – perché il medico non è venuto per i sani, ma per i malati. Gesù affida la sua Parola ai deboli e ai poveri perché “appaia che questa potenza straordinaria – scriverà Paolo ai Corinzi – viene da Dio e non da noi” (2Cor 4,7). I discepoli sono costituiti ambasciatori del Vangelo per la grazia di Dio – “per la grazia di Dio sono quello che sono” (1Cor 15,10) – come il mattino di Pasqua, per la libera scelta del Risorto, il messaggio della Vita nuova è affidato alle donne. La parola del Signore ha in sé la potenza di cambiare la vita degli uomini, di chi la annuncia e di chi la riceve perché tutti siamo sotto la Parola di Dio che ci rende creature nuove in Cristo Gesù. E più i discepoli sono poveri ed umili, più vengono colmati dei doni della grazia. Difatti, i segni che Gesù affida loro sono la prova che in essi è l’onnipotenza dell’amore di Dio ad agire, non la capacità umana. Investiti da Cristo Signore, continuano la sua missione come Lui l’ha compiuta nei suoi tre anni di vita pubblica perché “chi ascolta voi, ascolta me, chi accoglie voi, accoglie me” e così i segni che hanno accompagnato la predicazione di Gesù, accompagnano anche l’annuncio di salvezza della Chiesa.

Bisogna credere che Dio abita la nostra povertà e la trasforma in ricchezza per gli altri! Dobbiamo credere che la potenza del Risorto è con noi ed opera dentro di noi! Dobbiamo credere che tra marito e moglie è possibile, nel nome di Gesù, scacciare i demòni, ovvero la presenza del Nemico che semina la divisione e porta la tristezza nel rapporto. Dobbiamo credere che siamo capaci di parlare lingue nuove, ovvero di vincere il mutismo e la paura perché abilitati dal Risorto ad essere messaggeri di pace nelle situazioni più disparate della vita. Non c’è, infatti, occasione nella quale sentirsi vinti dall’incapacità di comunicare e dialogare perché la nostra vita e la vita dell’altro riacquisti i colori di Dio. È necessario credere che possiamo prendere tra le mani i serpenti, ovvero i problemi più scottanti e difficili, senza il timore di essere morsi perché il Risorto è con noi, la sua grazia ci accompagna, il suo amore ci sostiene. È bene ripetere spesso nelle nostre famiglie, tra marito e moglie, dando speranza ai figli: “Tutto possiamo in colui che ci dà forza” perché nulla è impossibile a Dio in noi. Non bisogna aver paura di nulla, perché “chi confida nel Signore è come il monte Sion, non vacilla, è stabile per sempre” (Salmo 124,1). Dobbiamo credere che la fede in Gesù vince in noi ogni tipo di veleno e guarisce ogni malattia ed infermità.

Noi, discepoli del Risorto, abbiamo i sentimenti di Gesù (cf. Fil 2,5), il pensiero di Gesù, le azioni di Gesù. Non tiriamoci indietro dinanzi al nostro impegno di predicare il Vangelo e di manifestare nella vita la potenza che abita il nostro debole cuore.

Nelle nostre famiglie e comunità, nelle nostre parrocchie e gruppi il Vangelo non dobbiamo solo ascoltarlo, ma farlo vedere, l’amore di Cristo che ci spinge dobbiamo rivelarlo attraverso una vita che è trasparenza di Dio. La moglie può e deve attendere dal marito i segni del Risorto perché egli è per lei il primo educatore nella fede, così come il marito deve aspettarsi che la vita della sua sposa sia rivelazione di Dio per lui. I figli poi devono vedere nei genitori i segni concreti della potenza del Signore che libera e salva, guarisce e scaccia il male, sostiene e spinge a credere nel futuro con speranza.

È questo il senso della solennità odierna. Gesù asceso al cielo – è la seconda scena proposta dall’evangelista in Mc 15,19 – responsabilizza i discepoli. Non possiamo stare con il naso al cielo –  è questo anche il monito di san Luca negli Atti degli Apostoli – aspettandoci che sia Dio ad intervenire per cambiare le sorti della storia. Gesù ha fatto la sua parte, ora siamo noi che dobbiamo compiere la nostra missione che è continuazione della sua, grazie alla potenza del suo Spirito di vita che abita in noi. Non è questo il tempo di cullarci sugli allori. Gesù è ritornato alla destra del Padre suo e nostro ed è andato a prepararci un posto nel suo Cuore, ma a noi spetta l’impegno primario perché il Vangelo sia annunciato come ha fatto Gesù, vivendo la sua Pasqua nella nostra pasqua, unendo la nostra passione alla sua perché “tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità” (1Tm 2,5).

La nostra presenza nella storia deve portarci ad essere lievito, sale e luce del mondo. Dobbiamo riscoprire il nostro impegno fattivo perché il Vangelo sia annunciato ad ogni creatura. La famiglia deve vivere con consapevolezza la propria missione evangelizzatrice, senza demandare ad altri il suo ruolo primario di laboratorio di fede, fucina di educazione all’amore maturo, casa del dialogo e della mutua relazione nel dono. Gesù ritorna alla destra del Padre, mostrando come il piano della salvezza sia stato compiuto in perfetta unione tra le Tre persone divine, lo stesso deve capitare anche per noi. È necessario programmare con Dio e tra noi la nostra vita, aperti alle mozioni dello Spirito. Non siamo delle monadi e non viviamo insieme per convenienza. La famiglia, prima cellula della Chiesa e della società, è il progetto che ha guidato la mano di Dio nella creazione. Fare le cose insieme sempre è l’impegno che deve sostenerci e motivare la nostra azione. Per il marito fare una cosa, persino pensarla, senza la propria sposa, senza sentire il suo parere, ascoltare la sua idea, senza sentire la necessità di farlo, e viceversa è agire senza tener conto della grazia del sacramento nuziale, è quasi rendere nullo il dono ricevuto!

Il versetto 20, ultima scena che chiude il Vangelo secondo Marco, ci dona un’immagine di Chiesa che è presenza di Cristo nella storia, una comunità di frontiera che non vive nel chiuso, ma che tra gli uomini, fedele alla parola del Maestro, sperimenta la sua presenza e la sua grazia. I discepoli “partono e annunciano dappertutto”, mentre Gesù “accompagna e conferma con segni”. Esiste una sinergia straordinaria tra noi e Dio quando mettiamo la nostra vita al servizio del suo Regno, del Vangelo della vita e della carità, del servizio e della pace.

Egli ha promesso di rimanere sempre con noi (cf. Mt 28,20). La sua presenza è fattiva, la sua compagnia tangibile, la sua grazia dilagante nel bene. Anche qui il salto da fare è di fede perché nelle nostre famiglie dobbiamo lasciarci stupire da Dio. Noi dobbiamo, infatti, partire sempre. La vita cristiana è una esistenza permanentemente in movimento, in uscita da sé stessi per incontrare l’altro. Non possiamo stare fermi, perché la nostra testimonianza deve raggiungere i lontani passando per la vita dei vicini. Dappertutto dobbiamo giungere con la parole e le opere, ma il dappertutto riguarda prima di tutto la vita della persona che si ama. Dio attraverso di me giunge all’altro dappertutto nella sua mente, illuminando i suoi pensieri, dappertutto nelle sue parole, attraverso un dialogo costruttivo che condisce di mutua ricerca di bene il nostro rapporto, dappertutto nei suoi occhi, perché in essi io riesco a leggere i desideri e i sogni del cuore, dappertutto nel corpo dell’altro perché nel mio abbraccio raccolgo la vita di chi amo con il trasporto del mio animo. Solo così si è una carne sola, unita dalla grazia di Cristo, santificata dalla sua presenza. Solo così la nostra famiglia è costruita sulla roccia della sua croce risorta.

Sentiamoci accompagnati da Gesù che, seduto alla destra del Padre, parla a Lui di noi e delle necessità delle nostre famiglie. Il suo Spirito – da invocare durante questa settimana in attesa della Pentecoste – apra i nostri occhi perché i segni della sua presenza nutrano in noi la speranza di una vita nuova.




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1 risposta su “Nelle nostre famiglie lasciamoci stupire da Gesù”

“Dio attraverso di me giunge all’altro dappertutto nella sua mente, illuminando i suoi pensieri, dappertutto nelle sue parole, attraverso un dialogo costruttivo che condisce di mutua ricerca di bene il nostro rapporto, dappertutto nei suoi occhi, perché in essi io riesco a leggere i desideri e i sogni del cuore, dappertutto nel corpo dell’altro perché nel mio abbraccio raccolgo la vita di chi amo con il trasporto del mio animo”. Grazie per queste parole in questa settimana di preparazione alla Pentecoste.

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