Pentecoste

Famiglie unite nel dono dello Spirito

Pentecoste

di fra Vincenzo Ippolito

Le nostre famiglie devono riscoprire la bellezza dell’essere cenacoli di preghiera insieme a Maria perché Lei, la Creatura più docile alla presenza del Paraclito, ci guidi, da madre e maestra, ad accogliere il dono che ci consacra nella verità e ci unge dell’amore di Dio.

Dagli Atti degli Apostoli (1,1-11)

Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.

Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti; abitanti della Mesopotàmia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frìgia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, Romani qui residenti, Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».


Commento

Siamo a Gerusalemme. Gesù, il risorto, è salito al cielo, tra lo sguardo stupito dei suoi discepoli, mentre due uomini, in bianche vesti, annunciano il suo ritorno alla fine dei tempi (cf. At 1,6-11). La stanza al piano superiore, il cenacolo che aveva ospitato il Maestro e i Dodici prima della Pasqua, diviene il luogo della preghiera e della fraternità. L’attesa è carica di mistero ed il ricordo della parola di Gesù nutre la speranza di partecipare alla sua vita risorta.

Il brano (cf. At 2,1-11,) che la liturgia odierna ci dona come prima Lettura, attraverso la narrazione di segni misteriosi (fragore, vento, lingue come di fuoco, rumore …) descrive l’irruzione potente dello Spiritola pienezza del dono di Dio sui Discepoli e l’azione evangelizzatrice generata in loro dalla Presenza del Consolatore. Fermiamoci su questi tre aspetti perché ciascuno di noi, accogliendo il monito di Paolo (cf. 2Tm 2,6), possa ravvivare il Dono di Dio che è in lui!

L’irruzione potente dello Spirito

Il dono dello Spirito promesso da Gesù, pur se atteso nella preghiera, giunge «all’improvviso» (At 1,2). I discepoli sembrano quasi impreparati tanto alla venuta del Consolatore – gli Apostoli non conoscevano il tempo del loro battesimo nello Spirito Santo – quanto anche alla modalità utilizzata – il fragore, il vento che si abbatte gagliardo … – per consacrarli e inviarli nel mondo. Lo Spirito che discende dall’alto è la presenza di Dio nella vita del discepolo, ma questi, pur conoscendo la necessità di accoglierlo e di attenderlo, deve vivere nella vigilanza perché i tempi sono di Dio, Lui sa quando è bene concedersi come Olio che consacra. Il Signore poi conosce i nostri tempi di maturazione e sa bene anche come deve rivelarsi a noi e alle nostre famiglie. Non sempre Dio viene con fragore e vento, ma preferisce, come nel caso di Elia, «la brezza leggera» (1Re 19,12). Egli si rivela quando vuole e come vuole. È lui il Signore, è dal Cuore del suo Cristo, come da sorgente cristallina, che deve sgorgare lo Spirito che ci rinnova.

Se riuscissimo ad educarci nelle nostre famiglie e comunità ai tempi e alle modalità di Dio! Se imparassimo ad accompagnarci con discrezione quando il Signore bussa per accoglierlo così come Lui si presenta! La famiglia, infatti, è il luogo in cui si impara a ricevere il dono di Dio, a rispettare la sua modalità di trasformare la nostra storia, a farlo agire in noi e tra noi per la vita del mondo. Egli viene «all’improvviso», non ha bisogno di annunciare la sua visita, di chiedere il permesso per donarci il suo amore perché Egli si rivela sempre nell’imprevedibile, si fa conoscere nell’imprevisto. Per alcuni è nel colpo di fulmine dell’innamoramento o nella gioia di una gravidanza inattesa, ma spesso è anche nel dramma di una malattia, nel dolore lacerante di un cuore ribelle. Lo Spirito di Dio vuole entrare in «ogni carne», non ricusa le nostre debolezze, ma desidera trasformare dal di dentro i nostri rapporti. Lo Spirito è l’amore di Dio e per l’amore non ci sono tempi e spazi inopportuni per farsi conoscere e per donare la gioia.

Nella mia vita, la presenza dello Spirito di Dio passa attraverso l’imprevedibilità dei gesti e delle parole della persona che Egli mi ha posto accanto come mia carne e mio osso. Mi devo lasciare trasformare dallo Spirito attraverso l’inopportunità dei suoi gesti, perché, è grazie a lei, che il Signore mi chiede di essere disponibile alla trasformazione della vita, alla conversione del cuore.

La pienezza del dono di Dio sui Discepoli

Lo Spirito di Dio «riempì tutta la casa […] e tutti furono colmati di Spirito Santo» (At 2.4).

Quando Dio si dona non fa sconti, non si risparmia, non è geloso di ciò che è ed ha, ma si concede in totalità. Il Signore sceglie di donarsi in pienezza, di abitare la nostra povertà, di mettere la tenda nella nostra debolezza. Egli per far circolare nel mondo la sua vita ha coniato la moneta della totalità dell’amore e chi la riceve sperimenta la gratuità e entra nell’economia del dono attraverso l’accoglienza umile di un amore che non merita. Dalla totalità del dono di Dio, il discepolo sperimenta la pienezza dell’amore divino e scopre la sua umanità come pura recettività dell’amore che lo riempie, della tenerezza che lo abita, della divina bellezza che lo seduce, del dolce suo abbraccio che lo sostiene. L’amore del Cuore di Gesù riempie la vita del discepolo che, come un vaso, trabocca di grazia e nella sua esistenza non c’è una parte di sé che non venga permeata della potenza di Dio, unta del suo Balsamo, plasmata dalla sua Mano, profumata dalla sua Presenza.

Lo Spirito riempie la vita del credente e lo abilita ad essere, come Gesù, consacrato per la missione, inviato per guarire e scacciare il male, per operare guarigioni e segni. Lo Spirito ci fa vivere come è vissuto Gesù, sotto la signoria della volontà del Padre, nella vita vera che fluisce in noi per l’obbedienza alla sua Parola, pronti sempre a vivere protesi verso gli altri, dimentichi di sé. Questo fa lo Spirito, ci lega in sé, come unisce il Padre al Figlio ed il legame suo più ti stringe e più sei libero, più sei impossibilitato a pensare con il tuo io egoistico e più sei libero sul serio, vivi la libertà dello Spirito che sta nell’operare sempre e solo il bene. Ecco perché Paolo si definisce «legato dallo Spirito» (At 20,22), egli sa che «dove c’è lo Spirito del Signore c’è libertà» (2Cor 3,17) e che Dio lega a sé per liberare in noi la capacità divina di scegliere il bene e di collaborare con lui alla salvezza dei fratelli.

Nel cuore della persona che ho accolto come mia carne e mio osso contemplo la pienezza del dono di Dio per me e nella totalità del dono mio a lei divento tempio di Dio che opera la salvezza dell’altro. La mia vita è come un granaio, Dio lo riempie di frumento perché, come durante la carestia ai tempi di Giuseppe, tutti possano sfamarsi. Io sfamo con il dono della mia vita le persone che amo e persino i miei nemici come Gesù se lascio alla Spirito di abilitarmi al dono, di liberarmi dai tentacoli del mio egoismo, di rompere nei miei pensieri le strutture dei ragionamenti dove il mio io è sempre al centro.

Se conoscessi sul serio il dono di Dio! Il Padre mi ha riempito dello Spirito che come Olio profumato è sceso sul capo di Gesù e, giorno dopo giorno, sono chiamato, con la persona che mi sta accanto, ad accogliere il dono di Dio, il legame dell’amore suo che ci rende una carne sola. È lo Spirito che ci lega in unità, che lima tra noi le diversità perché siano ricondotte nell’armonia della coppia. È lo Spirito che rende il corpo mio, unito al corpo dell’altro, luogo dell’amore oblativo, dove il linguaggio dei gesti non è perseguito per assecondare l’istinto, ma per vivere la dinamica dell’amore che è connaturalità del dono totale e gratuito di sé.

Nelle nostre famiglie il profumo di Dio si deve percepire come a Betania (cf. Gv 12,3), l’amore deve riempiere le nostre case, traducendosi in gesti concreti. Lo Spirito di Dio deve colmare nell’altro, attraverso di me, il suo desiderio di sentirsi unico ed irripetibile nell’amore ricevuto, la mia sposa deve avvertire l’appagamento del cuore grazie al mio dono, la persona che io dico di amare, che stringo a me deve percepire che in me c’è «una fiamma del Signore» (Cnt 8,6), un fuoco eterno, una scintilla di Dio che non passa con l’età o con le mode, ma che si accresce e matura con i giorni trascorsi nel dolce vincolo delle nozze. In tal modo i figli crederanno nell’amore eterno che non è un puro anelito del cuore, ma ciò che Dio opera in noi per rendere la nostra vita come quella di Gesù, arsa d’amore, consumata nell’offerta, ritrovata nell’amore del Padre che strappa dalla morte.

L’azione evangelizzatrice prodotta nei Discepoli dalla Presenza del Consolatore

La pienezza della dono di Dio nei discepoli, le lingue che si posano su ciascuno di loro e li battezzano con il Fuoco divino inestinguibile, li conduce a continuare la missione di Gesù e ad annunciare la misericordia, «l’anno di grazia del Signore» (Lc 4,19). Parlano e vengono capiti perché è «lo Spirito che dava loro il potere di esprimersi» (At 2,4). Pentecoste rappresenta l’anti-Babele, le diversità conducono all’unità perché è Dio, solo Dio che opera cose stupende nell’uomo che non ha timore di essere amato. La paura di essere amato e di vivere nell’amore che l’altro nutre per me mi impedisce di divincolarmi dalla gelosia, di estirpare in me la pretesa, di vincere il tarlo del dubbio sulla sincerità dell’altro. I discepoli non hanno paura di Dio, del suo amore dilagante, della sua tenerezza disarmante e lo lasciano operare con libertà in loro. Quando lo Spirito trova un uomo docile, fa meraviglie, sempre, non si stanca di operare in lui la salvezza dei fratelli, di affidargli il corno del suo Olio per versarlo sulle piaghe di ogni uomo incappato nei briganti (cf. Lc 15).

Parlare e capirsi nelle relazioni familiari sembra spesso un sogno irraggiungibile. Tutti parlano e cercano di farsi capire alzando la voce, ma l’altro, non percependo che il motore delle mie parole è l’amore, si chiude e non ascolta e, dal canto suo, parla sulle mie parole e la forza delle voci fanno chiasso, ma non creano armonia. Quante parole inutili sprechiamo, quanti incontri infruttuosi viviamo! I nostri dialoghi sono monologhi, perché l’altro deve solo obbedire come se fosse il mio soldatino, non la persona che è lo specchio della mia mente, il compagno di viaggio con cui condividere ciò che il mio cuore – che è poi il suo cuore – sente e si porta dentro come un tesoro nascosto. Lo Spirito di Dio abilita a parlare con calma, ad ascoltare con disponibilità, a cambiare parere ed idea con semplicità, a dare spazio alla reciproca ricerca del bene senza pretese perché il bene che l’altro mi propone non mi mortifica, ma fa compiere un passo in avanti ad entrambi. Lo Spirito fa essere un corpo solo, una bocca sola nel parlare: è ciò che dovrebbe accadere ai genitori quando parlano con i figli, altrimenti questi si sentono sballottati da contrastanti visioni e soccombono nelle tempeste che la mentalità comune fa nascere nella mente e nel cuore.

Unità di sentire, comunione nel parlare, partecipazione nella vita e nella missione dell’altro, desiderio di partecipare ai lontani il tesoro che Dio mette nel cuore, coraggio nel parlare con franchezza: questo fa lo Spirito. È lui che abbatte le barriere di razza e di lingua e crea l’unica famiglia dei Figli del Padre, dei fratelli di Gesù.

Lo Spirito è la vita di Cristo risorto riversata in noi. È lui che mi porta, vivificato interiormente dall’amore del Padre e del Figlio, a poter dire ad una sola voce, stringendo la persona che amo e che mi ama: «Vivo, ma non io, vive in me Cristo» (Gal 2,20)

La famiglia, cenacolo dove si attende lo Spirito e lo si dona con reciprocità

Ciascuno di noi ha bisogno del dono dello Spirito, non ne possiamo fare a meno, non possiamo presumere di compiere la nostra missione di sposi e genitori cristiani senza l’unzione del Crisma spirituale, fidandoci unicamente del nostro buon senso. Questa è pura follia! La nostra umanità è ribelle se non viene “domata” dall’Abbraccio di pace che viene dall’alto, continueremo ad essere spenti nelle parole e nelle opere, freddi ed insensibili alle necessità di chi ci sta accanto se il Fuoco divino non accende in noi gli stessi sentimenti di Cristo, la sua ansia per il Regno, il desiderio del suo battesimo di Spirito Santo. Le nostre famiglie devono riscoprire la bellezza dell’essere cenacoli di preghiera insieme a Maria perché Lei, la Creatura più docile alla presenza del Paraclito, ci guidi, da madre e maestra, ad accogliere il dono che ci consacra nella verità e ci unge dell’amore di Dio. Ecco perché in famiglia è importante attendere nella preghiera i doni di Dio! Il giorno del matrimonio come la venuta di un figlio, la sua nascita ed il suo battesimo, la prima Eucaristia e le tappe della sua maturazione umana e scolastica devono vederci sempre in preghiera perché Dio non si concede nel chiasso, ma nella disponibilità del cuore che attende la sua venuta ed ama la sua visita.

Facciamo silenzio intorno a noi. Diamoci un po’ di tempo per stare insieme come famiglia. Rileggiamo il brano della Pentecoste, dopo aver acceso una candela, segno delle lingue di fuoco scese su Maria e gli apostoli. Passiamo tra noi la luce, invocando il Paraclito: Vieni, Santo Spirito, riempi i cuori dei tuoi fedeli, accendi in essi il fuoco del tuo amore!

Le nostre famiglie, per il Dono dello Spirito, divengano lampade viventi che illuminano d’amore e donano ai lontani la luce di Dio.

 




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