Movimento per la Vita

Ripartire dalla cultura della famiglia e della vita

Gian Luigi Gigli

di Mariarosaria Petti

“Vorrei solo poter essere un portavoce appassionato e competente del popolo della vita”: parola del nuovo presidente del Movimento per la Vita, Gian Luigi Gigli, eletto lo scorso 21 marzo. Classe 1952, neurologo, sposato e padre di cinque figli.

Romano di nascita e di formazione, friulano d’adozione, il nuovo presidente del Movimento per la Vita è Gian Luigi Gigli, neurologo e parlamentare italiano. Papà di cinque figli, la neo guida del movimento – dopo diverse esperienze di lavoro all’estero, che lo hanno portato in America e Canada – è stato presidente della Federazione Internazionale delle Associazioni dei Medici Cattolici, membro del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute e del Consiglio esecutivo di “Scienza e Vita”. Gigli è cavaliere dell’Ordine di San Gregorio Magno ed è stato insignito della medaglia del Buon Samaritano.

Lo abbiamo intervistato per conoscere meglio il volto dell’uomo che succede a Carlo Casini, fondatore del Movimento per la Vita e presidente per oltre quarant’anni. Insieme abbiamo ripercorso alcuni momenti significativi della sua vita e conosciuto le attese per il futuro. Speranze condivise come cittadini del popolo della vita.

In quarant’anni il Movimento per la Vita può gioire per le oltre 160mila nascite accompagnate e sostenute, al fianco di madri coraggiose che hanno accettato l’aiuto di tanti operatori impegnati nella federazione. Lei che inizia ora il suo cammino alla guida del movimento, quali crede siano le sfide future?

Con il solo apporto di tanti volontari, il Movimento per la Vita ha realizzato una mole imponente di attività a favore delle gestanti e delle mamme in difficoltà, aiutandole ad accogliere il dono della vita. Basti pensare alla capillare rete dei Centri di Aiuto alla Vita, alle Case d’Accoglienza, alle Culle per la Vita. Vorrei poter realizzare migliori strumenti di comunicazione per valorizzare l’enorme lavoro che si sta facendo, per raccogliere i fondi necessari per potenziarlo. Vorrei anche poter allargare il nostro raggio di azione al campo degli anziani soli e sofferenti. Ritengo che la legge delega sul Terzo Settore all’esame del Parlamento e i decreti legislativi che le seguiranno possano stimolarci a disegnare nuove modalità organizzative e favorire la trasformazione di alcune nostre strutture di volontariato in cooperative e imprese sociali. Si tratta, in fondo, solo di potenziare la cultura solidaristica che già anima il Movimento, dotandola di nuovi e più attuali modelli organizzativi.

C’è qualche esperienza personale che l’ha segnata e ha rappresentato il motivo del suo impegno all’interno del Movimento per la Vita?

Vorrei ricordare solo due episodi che mi hanno segnato. Il primo risale al 1975. Ero quasi alla fine del mio percorso di studente in medicina. Allora l’aborto era ancora considerato un crimine e insegnato come tale in medicina legale e in ostetricia e ginecologia. Vi furono allora a Firenze i primi aborti dei radicali, “tollerati” benché illegali e si aprì la prima crepa con la sentenza della Corte Costituzionale che dichiarò l’aborto ammissibile in caso di “danno grave, medicalmente accertato e non altrimenti evitabile”. A rileggerla oggi sembrerebbe una sentenza restrittiva, eppure fu grazie ad essa che l’aborto fu sdoganato in Italia, trasformandosi nel giro di pochi decenni da fatto criminoso in “sconfitta sociale” e poi in “diritto civile”. Compresi allora che la battaglia avrebbe potuto esser vinta solo sul piano culturale e risale ad allora il mio primo intervento in un dibattito pubblico.

Il secondo episodio ha una data precisa: 13 maggio 1981. Pochi giorni prima, domenica 3 maggio, in vista del referendum sulla legge 198/1978, avevo organizzato a Roma la manifestazione e il corteo con Madre Teresa di Calcutta, conclusosi in piazza San Pietro. Madre Teresa aveva ripetuto la sua celebre frase: «Se una madre non vuole o non può tenersi il suo bambino, lo dia a me; me ne occuperò io». Mercoledì 13, sempre per il dibattito referendario, ero ospite di una emittente romana. La trasmissione fu interrotta bruscamente e la regia annunciò l’attentato a papa Giovanni Paolo II. Non potrò mai dimenticare l’emozione di quel momento.

Negli anni, ha seguito in modo particolare la vicenda di Eluana Englaro. Il fine vita oggi è sempre più oggetto di dibattito. Quali sono le istanze che il popolo della vita deve portare all’attenzione pubblica, secondo lei?

La vicenda di Eluana mi ha segnato profondamente, non foss’altro che per avermi costretto a difendermi nei tribunali per oltre tre anni in vari processi. Era però già da alcuni anni che, in qualità di Presidente della Federazione Internazionale dei Medici Cattolici e sollecitato dai colleghi americani, avevo dovuto confrontarmi con il tema della sospensione dell’idratazione e della nutrizione e con quello della sedazione terminale. Da allora il  dibattito su limiti dell’autodeterminazione del paziente, dichiarazioni anticipate di trattamento, potere sostitutivo del rappresentante legale, cure palliative, suicidio assistito, eutanasia, accanimento terapeutico ed abbandono terapeutico ha costantemente accompagnato la mia riflessione. Inoltre, da neurologo attento ai dati epidemiologici, sono particolarmente allarmato per la bomba a orologeria che si sta preparando con la miscela esplosiva costituita da denatalità e invecchiamento della popolazione. L’inversione della piramide demografica, l’aumentata prevalenza delle malattie croniche in generale e di quelle neurodegenerative in particolare, i fondati rischi d’insostenibilità del sistema previdenziale e dello stesso sistema sanitario lasciano purtroppo presagire che il tema del fine vita animerà sempre più la società italiana dei prossimi decenni. Anche in questo campo il Movimento per la Vita è chiamato a operare con la riflessione e l’animazione culturale e con la solidarietà operosa affinché non sia smarrito l’umano della nostra convivenza sociale.

In un’intervista, il presidente Casini ha sottolineato l’importanza della politica per sostenere le battaglia pro life, anticipando il suo prossimo impegno sul fronte europeo. Crede che la nostra politica interna sia troppo tiepida sugli argomenti che riguardano la vita, dal concepimento fino alla morte naturale?

Personalmente, avverto la grande responsabilità del mandato parlamentare e farò di tutto perché possa essere messo efficacemente a servizio della vita e della famiglia, affinché una più umana convivenza possa essere proposta a tutta la comunità nazionale.

Il Parlamento è lo specchio del Paese e mai come in questa legislatura è diventato evidente che il pensiero debole, l’individualismo e il relativismo etico si sono sostituiti non solo alle ideologie, ma ai grandi ideali, alla visione comunitaria della società e alla morale condivisa. Ciononostante, vi sono ancora molte persone in Parlamento e nel Governo che credono nella famiglia e nella vita.

Purtroppo sono poche le speranze di contenere l’onda lunga che si sta abbattendo su di noi con unioni civili, legge antiomofobia, dichiarazioni anticipate di trattamento, eutanasia, definitivo abbattimento di ciò che resta della legge 40/2004. Per fortuna, invece, sono più favorevoli le prospettive nel portare avanti una strategia preventiva. Si tratta di battaglie a favore della famiglia, affinché sia messa in grado di farsi carico di chi nasce, di chi è disabile e degli anziani non più autosufficienti. Si tratta, più in generale, di promuovere un favor familiae che, per quanto insufficiente, se non accompagnato da una profonda opera educativa, è la necessaria premessa per prevenire l’aborto e l’eutanasia.




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