Adolescenza

In quella misteriosa età di mezzo

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di Silvio Longobardi

Mi fanno tenerezza. Il corpo cresce quasi con prepotenza, sono come una cascata spumeggiante, piena di vitalità, energia incontenibile, sentimenti straripanti come uno tsunami. Il corpo già lascia intravedere l’adulto che verrà.

Non sono più bambini ma non sono ancora giovani. È la stagione dell’impazienza, quella in cui si ha fretta di crescere. Ma nella corsa rischiano di smarrire la strada e di perdere pezzi importanti, proprio quelli di cui si ha più bisogno nel futuro. Pieni di sogni e perciò più fragili, i nostri ragazzi, più vulnerabili perché cercano quello che non hanno ancora trovato. Vivono in quella misteriosa età di mezzo in cui la vita di ciascuno acquista la sua forma, quell’età in cui gli adulti possono scrivere nel loro cuore parole indelebili, semi che profumano di futuro o ferite che nessuno potrà cancellare. Quanti ragazzi entrano nell’adolescenza portando nel cuore – e talvolta nel corpo – ferite troppo grandi, pesi che hanno soffocato troppo presto lo slancio ingenuo dei loro anni.

Non potranno liberarsi da soli da queste catene, hanno bisogno di incontrare adulti che sanno prendersi cura di loro, con discrezione e pazienza, aprendo così orizzonti di speranza. I ragazzi feriti sono più insicuri, diventano sospettosi, tendono a chiudersi in un mondo tutto loro, alcuni cercano una risposta negli affetti del cuore e si buttano con eccessiva superficialità in avventure sentimentali che li lasciano più delusi di prima. Altri diventano più aggressivi. La violenza ha certamente molti padri ma quasi sempre è l’espressione di un disagio e di ferite che nessuno ha saputo medicare. Il bullismo è l’altra faccia della medaglia, quella che non vorremmo vedere e che talvolta cerchiamo a tutti i costi di minimizzare. A quest’età i ragazzi sono quanto mai spietati nel deridere i loro coetanei, senza rendersi conto dei danni che provocano.

Ci sono casi in cui la violenza verbale ha spinto al suicidio. I media riportano notizie sempre più inquietanti. Quanto è necessario proprio in questo periodo rafforzare l’opera educativa, vigilare con più attenzione, consegnare loro testimonianze capaci di risvegliare il desiderio di bene che dimora in ciascuno, orientando i sentimenti ancora acerbi sulla strada dell’amore vero. Che grande responsabilità hanno gli educatori, genitori, insegnanti e tutti coloro che a vario titolo seguono e servono i preadolescenti. Educatori che non si limitano a fare da babysitter ma li aiutano a riflettere sul senso della vita, sanno aggiustare i pensieri ancora immaturi, sanno dare un nome ai desideri. Hanno il compito di sollecitare il loro protagonismo, seminando il bene a piene mani senza pretendere di raccogliere frutti. La scuola può fare molto se non si limita a comunicare conoscenze e diventa un vero laboratorio educativo, se crea spazi di confronto tra docenti e genitori.

Anche la comunità ecclesiale può svolgere un ruolo importante e decisivo, non solo per i ragazzi ma anche e soprattutto per i genitori. I figli hanno bisogno di trovare luoghi di aggregazione in cui respirare un’amicizia condita di fede. Gli adulti hanno bisogno di capire come accompagnare i loro figli, come riconoscere il disagio e in che modo intervenire tempestivamente. Dovrebbe essere questo il pane quotidiano. Diamo una risposta efficace a questi problemi se vogliamo abbassare lo spread educativo ed evitare il default sociale.




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