XXI Domenica del T. O. – B

L’ascolto è il segno dell’amore

Cristo

di fra Vincenzo Ippolito

Gesù ha per noi parole di vita. Da chi andremo? Inutile andare lontano da Gesù – dobbiamo sempre ripetercelo e dirlo con i fatti ai nostri figli! – solo Lui può soccorrerci e donarci quel coraggio per vivere nella fedeltà e nell’offerta d’amore.

Testo Gv 6, 60-69

In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre».

Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».


Siamo alle ultime battute del capitolo sesto del Vangelo secondo Giovanni. Terminato il discorso sul Pane di vita, i Giudei, in aperta tensione con Gesù, non temono di opporsi a Lui a viso scoperto, criticando aspramente il suo insegnamento. È il momento della scelta, della resa dei conti: o con Gesù oppure contro di Lui. A questo bivio siamo anche noi, messi sotto torchio dal Cristo vivo e vero nella sua Parola.

La fede come risposta a Dio che si rivela

Quando, nella Liturgia, viene proclamata la sacra Scrittura, siamo chiamati al rendimento di grazia – Rendiamo grazie a Dio – sia dopo il Vangelo – Parola del Signore – sia anche dopo le altre letture bibliche – Parola di Dio – manifestando la nostra fede in Colui che, nel sacro Testo, ci parla. È questa la dinamica della fede: Dio parla e l’uomo risponde credendo in Lui, accogliendo la sua proposta di vita, aprendo il cuore alla potenza dello Spirito che vuol collaborare con la sua creatura per la vita del mondo. È quanto Gesù chiede ai suoi ascoltatori: aver fede in Lui, accogliere Lui e la sua Parola, aprire il cuore alla sua potenza d’amore, lasciare che lo Spirito illumini la mente e spinga le mani a quella carità operosa che è il segno eloquente della Presenza di Dio in mezzo a noi.

Dopo aver ascoltato Gesù (cf. v. 60) nel cuore dei Giudei inizia il giudizio e l’aperta opposizione, non si chiedono come lasciarsi raggiungere dalla Parola di Dio, permettendo così alla potenza dell’amore suo di investirli, di rinnovarli, di porre in loro la sua abitazione e dimora. No! Mormorano e giudicano Dio, ciò che Lui è e quanto ha detto. Chi non vuol obbedire al Signore, inizia sempre a giustificarsi, a dare la colpa a Lui, alle situazioni presenti nella vita oppure alle persone che crede gli siano di impedimento per fare quanto Dio chiede. La sequela di Cristo, invece, dipende da me, solo da me, dalla mia risposta libera all’amore di Dio che liberamente mi interpella. La richiesta di Dio è esigente come ogni proposta d’amore, ma, se guardo a Gesù, mi rendo conto che Egli per primo vive l’esigenza dell’amore ed imbocca la via in salita del dono per il bene degli uomini. Non è la proposta di Cristo dura, è il nostro cuore chiuso alla potenza del suo amore, è la mente nostra, incapace di cambiare, gretta poiché, dinanzi alle novità di Dio, si lascia assediare dalla paura e si blocca. La Parola di Dio non è dura ed impenetrabile, ma è più dolce del miele e di un favo stillante, non è incomprensibile poiché nel rivelarsi illumina, donando saggezza ai semplici. Dinanzi a Gesù la risposta è personale ed è inutile gettarsi nel generico – Chi può ascoltarla! – perché essa è facilmente comprensibile per chi si lascia interrogare da Lui ed illuminare dal suo Spirito. Il Signore, dice Isaia, mi ha aperto l’orecchio ed io non ho opposto resistenza (Is 54,5). Chi non comprende o, per meglio dire, non vuol comprendere (se il Regno dei cieli è per i piccoli, chi può dire di non comprendere la semplicità?) oppone resistenza alla grazia e si mette fuori dal disegno della salvezza. Ma questo non dipende da Dio, ma unicamente dal cuore dell’uomo. Desidero veramente ascoltare ciò che Dio indirizza a me e alla mia famiglia? Voglio rispondere con la fede e mettere in pratica la parola di Gesù oppure vesto i panni dell’ascoltatore che illude se stesso (cf. Gc 1,22ss)? Quando, personalmente o in coppia, leggiamo un brano del Vangelo, siamo pronti a chiudere subito tutto perché il Signore mi/ci chiede qualcosa che costa oppure la lettura fa nascere la preghiera confidente dal momento che solo Lui può concedere il volere e l’operare secondo i suoi benevoli disegni (cf. Fil 2,13)? L’ascolto di Dio è libero oppure mettiamo dei limiti alla sua Parola e alla sua opera in noi e tra noi?

L’ascolto è il segno più eloquente dell’amore. Chi ama ascolta e si fa ascoltare, dona parole che mai sanno di pretesa e di rimprovero, ma che vogliono condurre l’altro alla gioia. Ciò che Gesù fa con i suoi interlocutori – desiderare che abbiamo in sé la sua vita dell’amore che conduce a vivere d’amore e di dono – è quanto gli sposi cercano di attuare ogni giorno tra loro, con la forza dello Spirito che li rende una carne sola. Ascoltarsi ed accogliersi, mai indurirsi – quante volte durante un dialogo, per stemperare la tensione si dice, quasi pregando accoratamente l’altro/a perché il confronto non sfoci in rottura “Non ti indurire!”? – è la strada perché la relazione non solo cresca in intensità e bellezza, ma, al tempo stesso, faccia crescere, togliendo quanto è contrario al vero bene e alla pace. Se la parola dell’altro per me è dura e la reputo inascoltabile, non è detto che questo dipenda dall’altro, ma probabilmente dalla mia incapacità di lasciarmi mettere in discussione dalla proposta che mi è stata fatta. Quanto è brutto, soprattutto davanti ai figli, denigrare la parola ascoltata, deridere la proposta ricevuta per non accoglierla, chiudersi nel silenzio come se si stesse parlando ad un muro! Quante dinamiche sbagliate si attuano in famiglia quando non si vuol cambiare, non ci si vuol smuovere dalle proprie comodità, quando l’altro non è collaboratore della mia gioia, ma nemico della comune crescita! In famiglia non esiste realizzazione personale fuori dalle relazione di coppia perché è nel rapporto matrimoniale che l’uomo e la donna si lasciano portare da Dio, operando secondo al sua volontà. Mai chiudersi! Mai giudicare la parola ascoltata, soprattutto dinanzi ai figli! Mai ridere dell’altro/a che, se parla, non lo fa, se non per amore e per il vero bene! Mai giudicare le intenzioni altrui, leggendo nella mente ciò che è, invece, presente in me come timore! Sono queste le indicazioni più semplici da attuare per una sana comunicazione in famiglia.

Dinanzi al chiarimento non si scappa

Gesù non ha paura della critica e del giudizio, purché colui che lo attua abbia il coraggio di non gettare la pietra per poi nascondere la mano. È necessario sempre, in ogni ambito e rapporto, la chiarezza e la lealtà, la volontà di capire e di spiegarsi perché il preconcetto non generi nel cuore il tardo dell’indifferenza e del rancore. Gesù desidera aiutare i suoi a passare il guado dello scandalo e dell’incomprensione, vuole condurli per mano al senso vero e profondo della sue parole, perché la chiusura non genera che la morte ed il tralcio reciso non è più capace di far frutto. Cercare il chiarimento, chiederlo con determinazione, attuarlo con pazienza, aspettarlo con costanza: è quanto richiede l’amore ed il vero bene dell’altro. E poi, non aver paura del giudizio altri, della sua chiusura, dei musi lunghi, vincere la stanchezza di gettare la spugna, la fatica che porta a chiudersi facendo muro contro muro, essere disposti ad alterchi sempre più grandi pur di giungere, alla fine, alla pace e alla comprensione delle vere intenzioni dell’altro: questo richiede l’amore che da Dio tra la sua linfa vitale. Le parole sono pietre e tanto possono costruire quanto distruggere, usate l’una accanto all’altra edificano nel bene, ma possono anche servire per barricate e divisioni.

Gesù offre la possibilità di chiarire e dona la chiave di lettura per comprendere la sua proposta: la sua parola è spirito e vita, ovvero contiene lo Spirito Santo che vivifica con la forza dell’amore e fa passare con Lui dalla morte all’eternità di Dio. Se ogni nostra parola infonde consolazione e speranza ed è capace di farci risorgere da una difficoltà o prostrazione, quanto più la parola di Gesù Cristo che è intrisa della vita di Dio, della sua misericordia, della sua grazia e della sua pace. Tutto può la Parola di Cristo nella vita dell’uomo. Ecco perché è necessario spalancare il nostro cuore alla sua azione – Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo. Alla sua salvatrice potestà aprite …, ebbe a dire san Giovanni Paolo II all’inizio del suo ministero petrino – perché Dio opera quanto dice ed agisce con la sua potenza nella nostra storia. Lo Spirito è il balsamo che risana i cuori affranti, la liberazione dei prigionieri, la libertà per gli schiavi, la luce per i ciechi e l’udito per i sordi. Lo Spirito di Dio può tutto e solo Gesù, il Figlio benedetto di Maria benedetta, lo effonde senza misura, lo dona con larghezza, lo spande con copiosità. La parola di Gesù gronda dello Spirito ovvero contiene la forza di attuare ciò che chiede. Dio, ad esempio, domanda di scalare una montagna. Colui a cui questa parola è diretta, nel stesso comando divino, trova la forza di fare quanto gli è chiesto, perché sa che se Dio lo ha chiesto, infonde la grazia di operarlo. Più la parola di Dio scende in te e più diventa forza nelle tue braccia e nelle tue gambe; più ricordi come un ritornello ciò che ti chiede e più la sua vita, la vita di Dio vive in te, quella vita che dove dimora fa meraviglie, a cui nulla, ma proprio nulla, in cielo ed in terra è impossibile.

È lo Spirito e dà la vita: la professione di fede nello Spirito della Chiesa deve sorreggere la vita delle nostre famiglie sempre, soprattutto nel buio e nell’angoscia. Tutto fa Dio nell’amore dello Spirito e Gesù, non solo tutto opera in Lui, ma vuole, al tempo stesso, che il suo discepolo, accogliendolo come principio di Vita nuova, agisca in Lui e per Lui. È nella Parola di Gesù che gli sposi cristiani trovano la linfa che li nutre e la potenza che li abita. Più in famiglia si legge il Vangelo, si prega con la Parola di Dio – bello sarebbe celebrare una parte della Liturgia delle Ore, basta anche la Compieta a fine giornata, tante coppie e famiglie già lo fanno con frutto! – più si sperimenta la grazia della vita di Dio, il vincolo dello Spirito unisce, dona forza per superare le difficoltà e si effonde nei nostri cuori come energie d’amore che dona e fa vivere nella luce di Dio che è amore.

Dobbiamo credere nella potenza dello Spirito che ci abita fin dal giorno del battesimo altrimenti non permetteremo a Dio di operare. Il Signore è presente in noi, ma se io non gli dico “Ti metto le mie mani a disposizione, il mio cuore nel tuo, pensa con la mia mente ed agisci in me con la tua potenza d’amore”, Egli sta in un angolo e resta buono, buono. Così capita anche tra gli sposi ed in famiglia: se lo Spirito lo si lascia lavorare, lo si invoca ogni giorno, si avverte il bisogno che il terreno del nostro cuore ha bisogno della sua insostituibile acqua, se lo si confessa all’opera in noi e tra noi e gli si dona la nostra vita, i rapporti ed i pensieri, Lui vivrà in noi e riusciremo a mettere in pratica la parola di Gesù e ad essere in Lui una carne sola, un solo corpo in Lui. È lo Spirito che armonizza le differenze ed affina i caratteri; è Lui, Lui solo che spegne le contese e ricompone le liti, è Lui, Lui solo che ci rende lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera, solleciti per le necessità dei fratelli, premurosi nell’ospitalità (Rm 8,12-13). La famiglia cristiana, come anche ogni comunità religiosa, parrocchiale e gruppo ecclesiale, è il luogo dove si gareggia in docilità, offrendosi alla potenza dello Spirito perché Egli ci plasmi secondo il modello di Gesù.

Ritornare indietro sulla strada dell’amore

L’epilogo della narrazione evangelica di oggi è quasi scontata – ahimè! – per chi ha dimestichezza con i racconti di vocazione. Gesù chiama, ma non sono poi tanti coloro che rispondono in maniera affermativa. Molti sono i chiamati – dice lo stesso Gesù – ma pochi gli eletti (Mt 22,14) perché mentre larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione e molti sono quelli che entrano per essa, stretta è invece la porta e angusta la via che conduce alla vita e quanti sono pochi quelli che la trovano (cf. Mt 7,13-14). Il tornare indietro è una tentazione che si affaccia continuamente sulla strada della sequela del Signore. Anche per il popolo d’Israele, in cammino verso la terra promessa, in alcuni momenti, il far ritorno alla terra d’Egitto appariva la cosa più ovvia ed opportuna, quando si era incapaci di vedere che il Signore faceva fiorire il deserto. È così anche per chi segue Gesù, per noi suoi discepoli: quando la sua Parola scandalizza, la si avverte come particolarmente esigente, quando non si riesce a fare dei passi e a rinnegare se stessi, si abbandona Cristo e la propria croce e si ritorna, direbbe san Francesco d’Assisi, al vomito della propria volontà, ovvero ai propri desideri che fanno guerra con i disegni di Dio. Non ha forse fatto così quel giovane che, ricco, andò via triste perché aveva molti beni (cf. Mc 10,22)? Ed i discepoli, dopo la resurrezione del Signore, presi dallo smarrimento e dal fallimento, non sono ritornati a fare i pescatori, sul lago di Tiberiade (cf. Gv 21, 1ss)?

Tornare indietro vuol dire lasciare Gesù, la sua Parola, cancellare dalla propria vita la sua sequela, quasi un dire a se stessi Non voglio e non credo di poter più andare dietro a Gesù! La vita è un cammino in avanti, ma ci sono momenti in cui battute di arresto non solo frenano la corsa, ma conducono a un’inversione di marcia. Perché mi lascia? Potrebbe suonare così il rimprovero del Maestro ai suoi che, vinti dal sonno, non riescono a pregare con Lui – Non siete stati capaci di vegliare un’ora sola con me? ovvero, Mi avete lasciato solo nell’ora della prova? (Mt 26,40) – e, dopo, a seguirlo sulla via della croce. Quante volte Gesù è solo perché io lo lascio, la nostra famiglia lo rifiuta e non desidera avere Lui, Lui solo al centro come fulcro e motore dell’amore? Quante volte tra sposi si pensa, spesso anche in maniera tacita, di poter tornare indietro e spazzare quella Promessa – per tutto il tempo della mia vita – che tanto pesa e fa soffrire? Quante volte si vuol ritornare giovani e, in atteggiamenti e pensieri, si dimenticano le proprie responsabilità e ci si sente padroni di vivere da single e fare ciò che non si è fatto prima?

Tanti coniugi decidono di tornare indietro incuranti della lacerazione interiore dei propri figli, dei traumi che generano in loro, della fedeltà di un rapporto che duri e di una fedeltà che sia il segno dell’amore. Il tornare indietro è sempre il frutto dell’egoismo che mette radici dovunque, di un amore che non vuol maturare, di un cuore che non riesce o non vuole più vivere il sacrificio e l’offerta sull’esempio di Gesù. Oggi che il per sempre non esiste o non esiste più come un tempo, il ritornare significa quasi un ridarsi una possibilità, una chance, senza pensare che le scelte fatte nella gioia vanno perseguite pur nel dolore con impegno, portate avanti con responsabilità, vissute nel sacrificio.

È necessario accompagnare le famiglie che vivono la fragilità di un matrimonio fallito e, al tempo stesso, creare itinerari di fede per coloro che sono in difficoltà e, pur desiderando buttare tutto all’aria, vogliono vincere la tentazione di lasciare alla deriva la propria vita insieme. Può forse esistere una vita nuova al di fuori della grazia ricevuta in dono con il sacramento nuziale? La preghiera – quella personale, della famiglia come anche della comunità – sostiene la prova e la difficoltà per ciascun discepolo. Se ci si fidasse di più di Dio e della sua grazia, dell’amicizia tra famiglie, si avrebbe il coraggio di procedere sempre in avanti, pur tra cadute e resistenze, tenendo sempre fisso lo sguardo sulla meta da raggiungere.

Rinnovare la propria scelta di Gesù

Gesù vede che tanti si allontanano da Lui, ma non ha paura, non teme di rimanere solo, perché il Padre è con Lui. Egli non ama il proselitismo. I suoi discepoli li conosce da sempre, ha saggiato la rettitudine del loro cuore e li conduce sulla strada della verità che incontra quella dell’amore esigente ed oblativo. A Gesù – e di rimando alla Chiesa e ai nostri gruppi ecclesiali, alle comunità religiose e parrocchiali! – non deve interessare il numero. Al Signore non interessa la quantità e neppure la qualità – non sono questi criteri valutativi per Dio– ma il cuore, la rettitudine di intenzione, la disponibilità alla volontà del Padre, la docilità allo Spirito. Dinanzi alla difficoltà Gesù non si scoraggia, non vacilla nella sua fede, non si ritrae nel suo abbandono incondizionato alla volontà del di Dio. Egli desidera che i suoi siano con Lui con convinzione e si fidino di Lui senza riserve. Amare Dio con tutto il cuore e con tutta l’anima e amarsi con la misura mai misurabile dell’amore di Cristo: così il discepolo del Cristo deve vivere, sorretto dallo Spirito che tutto gli rende possibile. Ecco perché si rivolge ai suoi, provocandoli: Volete andarvene anche voi? quasi a dire: La mentalità corrente è quella di non seguire la mia Parola e di non prendere in considerazione il mio amore. Voi che volete fare?

È significativo notare che la domanda di Gesù non è al singolare (tu), ma al plurale (voi) perché è la comunità – potremmo dire la nostra famiglia, comunità e parrocchia – a dover decidere sul posto che Cristo occupa nella nostra vita e nelle nostre relazioni. Insieme si scappa da Gesù e insieme lo si sceglie. E la voce di Pietro è la confessione entusiasta della comunità degli Apostoli che riconoscono Cristo come la sorgente che dona parole di vita eterna e dalla cui pienezza non ci si può allontanare. È questa anche la fede che ci sostiene: solo Gesù ha per noi parole di vita, solo Lui ci sostiene, il suo amore ci salva, la sua grazia ci guarisce, la sua misericordia ci consola, la sua compassione ci risolleva. Da chi andremo? Inutile andare lontano da Gesù – dobbiamo sempre ripetercelo e dirlo con i fatti ai nostri figli! – solo Lui può soccorrerci e donarci quel coraggio per vivere nella fedeltà e nell’offerta d’amore.




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