II Domenica di Avvento – Anno C

Genitori, preparate la via ai vostri figli all’incontro con Gesù

Avvento - pregare con i genitori

(Foto: mnoa357 - Shutterstock.com)

di fra Vincenzo Ippolito

Non si può dire di vivere cristianamente l’Avvento senza ritagliarsi almeno un quarto d’ora per leggere in famiglia il Vangelo della domenica, pregare insieme, allestire il presepe, con fantasia ed impegno. I genitori sono educatori dei figli ed animatori della vita familiare se si lasciano guidare dal Signore, dall’esempio dei Santi, dalla voce della Chiesa.

Dal Vangelo secondo Luca 3,1-6

Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea. Erode tetràrca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetràrca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetràrca dell’Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Càifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia:

«Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri!
Ogni burrone sarà riempito,
ogni monte e ogni colle sarà abbassato;
le vie tortuose diverranno diritte
e quelle impervie, spianate.
Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!».


 

Riflettere sul tempo d’Avvento è come guardare il cielo nelle notti d’estate, le stelle rapiscono la tua attenzione e, continuamente attratto dal contemplare il chiarore della loro bellezza, non sai dove volgere l’occhio, tante sono a risplendere nel buio. Così è l’Avvento, un cielo costellato di luci che riflettono il chiarore di Colui che viene nel mondo come “la luce vera che illumina ogni uomo” (Gv 1,9). La più chiara di queste è Maria, la Fanciulla di Nazaret – tra pochi giorni ne contempleremo la singolare bellezza nel mistero della sua Immacolata Concezione – accanto a lei, il suo Sposo, Giuseppe, l’uomo giusto, e poi Zaccaria ed Elisabetta, i profeti dell’Antico Testamento con a capo Isaia. Nel firmamento dell’Avvento la seconda Domenica è dedicata a Giovanni il Battista, il parente del Signore, il primo dopo Maria raggiunto della grazia della salvezza, ancora nel seno della sua madre Elisabetta. È una stella di singolare bellezza il fanciullo che vestirà peli di cammello, cibandosi con miele selvatico e cavallette. In lui la Parola della Scrittura scava lunghi solchi, quelli che accoglieranno Cristo Signore come il seme caduto dalla mano del Padre, mentre il deserto consuma il suo corpo perché nulla si anteponga al primato di Dio e alla gioia della sua visita.

Nel cuore della storia

La figura del Battezzatore è presentata a sprazzi nei Vangeli, in quel chiaroscuro che ora lo rivela ora lo nasconde Precursore del Messia nella nascita e nel martirio. Mentre i Sinottici focalizzano l’attenzione sul battesimo di conversione che egli annuncia e amministra lungo il fiume Giordano ed in seguito sull’esecuzione barbaramente voluta da Erode, a motivo di un giuramento – per l’evangelista Giovanni, invece, il figlio di Zaccaria ed Elisabetta è il testimone fedele del Verbo (cf. Gv 1,7), l’amico dello Sposo che esulta di gioia alla sua voce (cf. Gv 3,29) – solo Luca, il caro medico discepolo di san Paolo, utilizzando una tradizione sconosciuta agli altri Evangelisti, risale fino agli antefatti della prodigiosa nascita che desta lo stupore di tutta la regione montuosa della Giudea (cf. Lc 1,65). Il brano odierno lo presenta già grande, inscrivendo la sua missione nel contesto storico, geografico, politico e religioso del suo tempo. Tale intreccio tra storia profana e storia della salvezza è una costante nell’opera lucana. L’Evangelista è particolarmente attento a vedere l’irrompere di Dio negli eventi degli uomini, per scorgerne le dinamiche interne e studiarne i risvolti esistenziali per il lettore-credente. Già in precedenza, l’Evangelista aveva offerto delle significative indicazioni cronologiche negli antefatti dell’annuncio a Zaccaria (cf. Lc 1,5) e della nascita del Messia (cf. Lc 2,1-3). Ora, dopo le scene familiari dei Vangeli dell’infanzia (Lc 1-2), le prime pennellate di colore sulla tela bianca sono per la storia universale, per i potenti di turno, le cui gesta riempiono i libri di storia. “Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare” scrive Luca e l’indicazione dovrebbe collocarsi orientativamente nell’anno 28-29 dell’era cristiana. Il cerchio sembra poi restringersi ad una zona ben circoscritta dell’impero su cui Roma esercita attivamente il suo potere – “mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea” – pur lasciando che il territorio, diviso in tetrarchie, venga gestito dai discendenti dell’antica dinastia erodiana regnante in Palestina, “Erode tetràrca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetràrca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetràrca dell’Abilène”. L’attenzione poi va su Gerusalemme, cuore pulsante della fede giudaica dove Caifa è sommo sacerdote, mentre Anna svolge ancora un ruolo attivo nelle vicende religiose della città santa.

In questo reticolato di storia sociale e di geografica politica, nello spaccato religioso di un fede che mal sopporta la dominazione straniera, Dio entra con potenza, interviene con umiltà. Il nostro Dio, infatti, è il Signore della storia, il silenzioso ospite dei nostri giorni, il viandante che mendica accoglienza, il Padrone che sceglie di farsi schiavo. Diversamente dalla concezione greco-romano, il Dio che si è rivelato ad Abramo, che ha fatto grazia ad Isacco, che ha lottato e benedetto Giacobbe, entra negli eventi umani, ne abita le contraddizioni, volge in bene le contese, costruisce pace, distruggendo i muri dell’odio. Il nostro – sembra dire Luca – è un Dio che si sporca le mani, come creando Adamo e plasmando Eva, così afferra i suoi scudi e viene a combattere a fianco del suo popolo. Signore degli eserciti, Capo delle schiere d’Israele ascolta il grido che sale dalla schiavitù dell’Egitto, vede l’oppressione ed interviene per liberare i suoi eletti. È questa la parabola che guida l’intera storia della salvezza: Dio ascolta, vede ed interviene. Non c’è situazione che gli sia estranea, vicissitudine che lo spaventi, peccato che lo abbatta, durezza che lo fermi, parola umana che gli impedisce di essere il Dio sempre a favore degli uomini. È una continua occasione di conversione per noi leggere la Scrittura perché in essa ci è rivelato come Dio intervenga sempre, utilizzando strade a Lui solo praticabili per donarsi come salvatore e redentore della sua stirpe santa.

Dio abita nel cuore del suo popolo, come con la tenda ed il tempio, il Signore non vuole e non può stare lontano dai suoi figli. Ecco perché Luca inquadra gli eventi della rivelazione nella storia che noi definiamo profana – in realtà nessuna storia è profano poiché nessuna situazione è estranea alla possibilità di divenire luogo di rivelazione del Dio d’Israele – perché, la familiarità con la Scrittura e con l’esperienza di credente ha abituato l’occhio dell’Evangelista a ricercare e penetrare negli eventi degli uomini i segni del divino che non solo passa tangenzialmente, ma pone la sua dimora in maniera attiva e permanente tra noi.

Sarebbe un buon esercizio per noi riscrivere questi primi versetti del Vangelo odierni per renderci conto che Dio è l’Emmanuele ancora oggi, Egli visita il suo popolo, partecipa alle sue gioie e con noi piange nel dolore e nell’angoscia. È nella nostra storia che vuol essere incontrato, nel volto del fratello che desidera essere visto e servito. Non è una storia perfetta il segno eloquente che il Signore vive ed opera, ma è proprio la contraddizione ed il dolore, l’ansia e la difficoltà il luogo che Egli predilige, la terra che Egli sceglie per porre la sua dimora tra noi. Quando impareremo questa dinamica che è propria di Dio? Quando la finiremo di piangere come Samuele per il peccato di Saul, mentre non ci accorgiamo che Dio ha già posato lo sguardo su un nuovo rampollo di Betlemme per ungerlo re sopra Israele? È necessario guadare sempre avanti! Dio ha promesso la sua assistenza, assicurandoci la sua presenza. Dove non arriva l’interesse dei grandi e sembra regnare l’oblio della violenza e del potere, Dio è presente con la sua grazia. Dove si estende la terra di nessuno e ognuno impone il suo diritto, accampando i suoi interessi egoistici, il Signore è il rifugio del povero, la salvezza dei deboli.

Io sono il Signore della tua storia, il Dio dei tuoi giorni lieti e tristi. Veglio sul tuo sorriso e silenziosamente asciugo le lacrime che solcano il tuo viso. Ci sono, anche quando tu non mi vedi, incontro il tuo sguardo, anche quando tu non intravedi i miei occhi tutti protesi a donarti la certezza che sono con te. La tua storia è la mia storia, il tuo tempo è abitato dalla mia presenza, cercami e mi troverai negli eventi della tua vita, lì dove non credi di incontrarmi mi vedrai come la luce nelle tenebre, il sorriso nel pianto, l’acqua nella siccità, il cibo nell’indigenza. Non c’è granello di polvere che sulla terra non sia uscito dalle miei mani, voluto uno per uno dal mio cuore. Non ti ho gettato nel mondo, ma mi sono gettato nel mondo perché la tua solitudine fosse accompagnata dalla gioia della mia continua visita.

Dio si rivela ai semplici

Che Dio entri nella storia per abitarla con la sua dolce presenza è un dato acquisito per la tradizione biblica, come altrettanto chiara è la modalità che Egli attua nel rivelarsi. Il Dio che ha scelto la stalla di Betlemme ed ha inviato il suo angelo di luce ai pastori che nella notte vegliavano le loro greggi, non si smentisce, non cambia registro, è fedele sempre al suo amore per i piccoli. I Magi lo cercavano a Gerusalemme ed Egli, infante, si trova a Betlemme, la città del Davide pastore: è questa la lezione della storia. Dov’è Dio? Possiamo chiedere all’Evangelista che non tarda a risponderci tra le righe. Il Signore non sceglie la reggia di Tiberio né il palazzo del governatore Pilato. Egli che resiste ai superbi, non dimora presso Erode, né visita la casa di suo fratello Filippo. E così la sua Parola, scende come rugiada che ristora, spada che divide, manna che nutre, luce che rischiara, acqua che purifica, ma non suoi potenti, su coloro che esercitano con violenza il potere, su quanti impongono pesanti fardelli agli altri ed essi non vogliono portarli neppure con un dito. Sì, neppure su Caifa ed Anna Dio fa posare la sua voce, pur se considerate le persone più ragguardevoli circa l’osservanza della Legge dei padri. Dio resiste ai superbi! Dovremmo ripetercelo più spesso. Dove c’è superbia il Signore non viene, dove regna il vizio il Santo non bussa, dove impervia la violenza Egli si considera un estraneo. Dio parla dove sa di essere ascoltato, si rivela agli umili di cuore che lo attendono. Egli rifugge i superbi, misconosce i fanatici, allontana i simulatori, scaccia i parolai, si guarda da quanti, si appropria del suo nome per difendere interessi di parte.

Perché è così difficile per noi comprendere la dinamica del rivelarsi di Dio? Perché cerchiamo ciò che il Signore non vuole, gli chiediamo quanto per Lui è solo superfluo? Nell’educazione dei figli è così fuori moda il valore della sobrietà e dell’essenzialità? Perché mai nel rapporto tra marito e moglie non stupirsi con gesti semplici che meglio traducono l’amore? È necessario nella nostra vita personale e familiare, nelle comunità religiose ed ecclesiali una conversione di modalità. Spesso non è l’amore che manca, ma i luoghi, le occasioni e soprattutto il modo di rivelarlo all’altro. Non si ha bisogno di gesti eclatanti, ma della fedeltà del quotidiano, del coraggio che rianima la ferialità, della volontà di far brillare ciò che veramente conta in famiglia. Conversione di modalità significa scegliere vie alternative, controcorrente sull’esempio di Cristo. Non Gerusalemme, ma Betlemme, non Roma, ma il deserto: è questo che dobbiamo tenere a mente per essere autentici discepoli del Cristo povero.

Maestro e testimone di un autentica conversione della modalità di Dio è il figlio di Zaccaria ed Elisabetta. Scrive Luca: “La parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria nel deserto” v. 2. È significativo notare che, nell’intero periodo, è questa la frase principale, di senso compiuto. Tutto ciò che precede è di cornice, ovvero risulta marginale agli occhi di Dio perché Egli non guarda ciò che guarda l’uomo. Questo perché “ciò che è sapienza per gli uomini, è stoltezza per Dio e ciò che è stoltezza per gli uomini è sapienza per Dio” (1Cor 1). Dio utilizza parametri diametralmente opposti rispetto a quelli dell’uomo, non sui potenti, ma sui semplici Egli fa scendere la sua Parola come pioggia fecondatrice, non nelle imponenti città dell’impero o nei fasti delle periferie, ma nel deserto Dio trasforma i cuori e rende i chiamati, voci della sua misericordia. “La parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria nel deserto”. La frase è ellittica, ovvero il verbo è sottinteso, secondo l’uso delle lingue classiche. La parola – possiamo noi dire – venne, fu presente, scese. Mentre altrove sono gli uomini a decidere, a progettare e comandare, ad imporre ordini e a pretendere, nella storia della salvezza il primato è di Dio, a Lui spetta ogni decisone, la sua volontà è sovrana ed il credente non subisce, ma sceglie, come Maria, di cooperare alla salvezza del mondo. Il proprio Eccomi è una tessera nel mosaico di Dio, ogni chiamato lo sa e con gioia offre il suo contributo, la sua vita perché la bellezza dell’opera divina sia manifesta. La vita di Giovanni è il deserto dove il Signore parla con potenza, il suo cuore è la cavità ripiena, come il tempio di Gerusalemme, della gloria di Dio. Il Battezzatore è l’uomo della Parola. Essa alimenta il suo vegliare, rischiara le sue notti, riempie di senso la sua solitudine, è l’anima della sua preghiera. La Parola è la sua forza, ma per parola Luca non intende solo la Scrittura perché per il credente tutto è parola di Dio, la stessa creazione è cifra del suo amore, i fratelli che incontra sono specchio della sua misericordia. Parola di Dio è il progetto del Signore, la sua volontà. Giovanni è chiamato come Maria a realizzarlo – “Avvenga di me secondo la tua parola” aveva detto la Fanciulla di Nazaret in Lc 1,38 ed il termine greco parola è il medesimo anche in Lc 3,2 – il Figlio di Zaccaria è predestinato da Dio ad entrare nel suo progetto, a divenirne voce, ad offrire la carne della sua vita, i pensieri della sua mente. Plurime sono le attività della Parola che, in quanto è di Dio, opera ciò che è proprio della sua natura divina: creare e risanare, punire e rallegrare, liberare e salvare, guarire e riconciliare. Come per la Vergine la voce di Gabriele è parola di Dio, sua proposta di vita perché il Verbo da lei prenda la vera carne della nostra umanità e fragilità, così per Giovanni ciò che ascolta, medita, sente di sé ed in sé di Dio, nella solitudine del deserto, è proposta di vita, chiamata a cooperare con Dio  perché, secondo le modalità dell’umiltà, della semplicità e della povertà, si apra una strada in ogni cuore per accogliere il Verbo uscito dal silenzio.

La vita del Battezzatore è sotto la parola del Signore. L’immagine è tra le più suggestive perché indica il posto che Dio nella sua vita, nella scala dei suoi valori. È come se Giovanni venisse continuamente ricreato dalla divina Parola, dal suo progetto, richiamato all’esistenza da quel Soffio di Dio contenuto nella Parola ascoltata, meditata, accolta, custodita nel silenzio del cuore. La sua è una vita nell’obbedienza, nella docilità al Signore che parla perché sa di essere accolto ed amato. La Parola è sopra di lui, lo copre con la sua ombra, lo protegge dalla calura, lo custodisce nel pericolo. Sotto la voce del Signore, Giovanni vive e cresce, obbedisce al bene proposto ed in esso trova gioia. Se egli è sotto, evidentemente la Parola è sopra, è posta, vale a dire, sul lucerniere della sua vita, sul candelabro della sua mente, al centro del suo cuore. Non la parola scritta soltanto, ma la Parola di Dio come progetto di salvezza per tutti gli uomini, un disegno che per realizzarsi ha bisogno di menti docili, cuori coraggiosi, mani operose. La vita del cristiano è come quella del Battezzatore, sotto la Parola, soggetta alla sua volontà, protesa nella realizzazione del volere di Dio. Ma tale relazione, pur scandita dall’obbedienza, non è priva di difficoltà, anzi esse sono all’ordine del giorno. Il discepolo sa bene che obbedire a Dio piuttosto che agli uomini è un dono dall’Alto. Piegare le proprie spalle al dolce giogo del Signore è una quotidiana conquista che segna la sconfitta del proprio egoismo. Può capitare talvolta che il progetto di Dio scarnifichi, fiacchi e ci indebolisca, ma questo solo apparentemente perché mentre “l’uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si accresce di giorno in giorno”. Per Giovanni il divino progetto – la Parola che egli ascolta e alla quale docilmente obbedisce – si compirà con il martirio, pagare con l’offerta del proprio sangue il tributo dovuto al Signore la cui misericordia è forza e baluardo, potente salvezza.

Gli sposi cristiani che hanno costruito su Cristo roccia la propria famiglia vivono sotto la Parola di Dio, come la piccola Famiglia di Nazaret, lasciandosi continuamente plasmare dalla sua voce, provocare dalle sue sollecitazioni. Il progetto di Dio è una sfida da accogliere con obbedienza, vivere con coraggio, condividere con volontà ferrea. Tra gli sposi spesso capita di considerarsi superiori all’altro/a, ignorando che nella coppia è solo Dio ad avere il primato. Nessuno può rubargli il posto pena la non realizzazione della felicità di entrambi. L’Avvento va vissuto in famiglia come il tempo della Parola, del primato del Signore, del discernimento della sua volontà, dell’accoglienza della sua voce. Non si può dire di vivere cristianamente l’Avvento senza ritagliarsi almeno un quarto d’ora per leggere in famiglia il Vangelo della domenica, pregare insieme, allestire il presepe, con fantasia ed impegno. I genitori sono educatori dei figli ed animatori della vita familiare se si lasciano guidare dal Signore, dall’esempio dei Santi, dalla voce della Chiesa.

Se riusciste ad avere un po’ di tempo per me! Chiesi ai discepoli fidati nella sera del tradimento il vegliare in preghiera, ma essi, vinti dal sonno, mi lasciarono da solo nel ricercare il volto misericordioso del Padre tra le atroci sofferenze della mia agonia. Ora, nella gioia della mia visita, chiedo a voi, costituiti famiglia per la mia grazia, di vivere nella mia Parola, di essere continuamente ispirati nelle parole e nelle opere, nelle decisioni ed in ogni attività dalla mia Voce, dalla mia Presenza. Il mio primato è per voi forza, ricorrere a me salvezza. Se i vostri figli imparassero ad invocarmi nella gioia, a chiamarmi nella prova, a confidare nella potenza del mio amore sempre. Fidatevi della Parola che un giorno vi ha unito in una carne sola e sperimenterete così il coraggio che lo Spirito accende nel cuore dei miei discepoli.

Secondo la Parola della Scrittura

Nel deserto Giovanni accoglie la Parola di Dio, ma quello che ascolta nel silenzio del cuore è in sintonia con quanto il Signore ha in precedenza affidato alla memoria di un popolo. L’esperienza del Battezzatore, infatti, non è fuori dalla fede di Israele, perché ne è parte integrante. Egli è chiamata, in un certo senso, ad animare il patrimonio della Scrittura nella vita del popolo, anche a costo di risultare impopolare. Parola di Dio donata al cuore del credente e Parola di Dio scritta e trasmessa nella viva tradizione di fede scaturiscono da una medesima sorgente di rivelazione che è Dio. Ed è questo il discernimento che siamo chiamati a fare, al pari di Maria. Custodire la divina Parola significa vedere ciò che Dio chiede oggi nella storia, confrontare la Scrittura con la vita, in una continua ricerca della volontà del Signore. Ecco allora la profezia che la Chiesa vive, donando parole che hanno il gusto del Vangelo, attraverso quella carità che della Scrittura è il vivo riverbero nella storia. Giovanni ha imparato tutto dai suoi genitori che, al dire di Luca “erano giusti agli occhi di Dio, osservando in modo irreprensibile tutti i comandamenti ed i precetti del Signore” (Lc 1,6). Il Battezzatore diviene una viva provocazione per i genitori cristiani perché solo una vita di coppia che pone Dio al centro del rapporto, la sua legge come lucerna, il suo amore come forza può superare le tempeste delle difficoltà, come quella della sterilità per i genitori del Battezzatore, per aprirsi al progetto di Dio. Non è forse da Zaccaria che Giovanni ha imparato la sofferta obbedienza di accogliere il volere di Dio, nei nove mesi del suo mutismo? E non è stata Elisabetta che a suo piccolo ha donata la gioia di esultare per il dono dell’Eterno che l’aveva visitata nel declino degli anni?

Nella filigrana della vita del Battista che annuncia la venuta del Verbo, chiediamo al Signore la grazia di vedere il cammino dei suoi genitori, la formazione data, l’itinerario sofferto della loro fede familiare per ricevere linfa nuova nell’essere testimoni autentici del Vangelo della famiglia.

 

Liturgia dell’Avvento in famiglia

Durante la seconda settimana di Avvento, accanto alla corona che risplende di una nuova luce, incontriamoci per un breve momento di preghiera in famiglia. È la settimana dell’Immacolata, affidiamoci a lei, Regina e Madre della famiglia, con una decina del rosario oppure rileggendo il brano del Vangelo della domenica. La preghiera che segue può spingerci a riporre nelle mani di Maria la vita della nostra famiglia.


Vergine del silenzio
che della Parola sei il tabernacolo,
del Verbo la Madre,
della Chiesa la maestra,
dell’amore in famiglia la custode,
rendi la nostra vita bella come la tua per il dono di grazia,
i giorni fecondi nel bene,
i rapporti gravidi di speranza,
i dialoghi seminagioni di mutua condivisione.
La voce del tuo Figlio ci plasmi in unità,
il suo amore spiani i sentieri dell’amicizia,
abbassi i monti dell’egoismo,
appiani le difficoltà tra noi,
raddrizzi le strade nella ricerca della volere di Dio,
Madre del Salvatore,
che della Vita sei la Madre e la discepola,
ispiraci l’umiltà di attendere i tempi della salvezza,
i momenti della letizia secondo Dio,
i giorni della pace nella gioia del cuore.
Illumina i nostri passi nell’incontro con la Luce.
Amen.




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