La lettera

È lo sguardo che fa la differenza

di Giovanna Abbagnara

Qualche giorno fa ho raccolto lo sfogo di una giovane ragazza, Rachele, che mi ha consegnato il desiderio di dare un senso alla sua vita. Abbiamo bisogno di guardare la realtà con occhi nuovi. Troppo spesso lo sguardo resta imprigionato tra le fitte maglie del male che ci circonda.

Cara Rachele,

quando avevo 9 anni, la mia maestra mi chiese di scrivere una poesia per partecipare ad un concorso. Non mi ero mai cimentata in questa materia ma mi piacque molto e mi risultò molto facile. Fu forse in quel momento di ingenuità totale che decisi che nella mia vita avrei voluto dedicarmi alla scrittura. Certo non avrei mai immaginato a quella età che avrei lasciato gli studi di Giurisprudenza per diventare giornalista. Ma i sogni coltivati hanno delle proporzioni che non ci è dato conoscere. Ciò che è oggi importante per me non è il sogno realizzato ma il percorso che ho fatto, gli ostacoli che ho incontrato ma soprattutto la forza di quel sogno dentro di me.

Cosa faccio nel mio lavoro? Incontro l’altro, lo guardo negli occhi e racconto la sua storia. Lo faccio in punta di piedi, riconoscendo la bellezza e la profondità del mistero che mi sta di fronte. E sapessi come è difficile sintetizzare nelle parole la vita dell’altro, racchiudere in dei versi l’esperienza delle relazioni! Ma prima di raccontare le storie degli altri, io ho avuto bisogno di raccontare la mia storia ad un Altro, ad un Tu che mi ha ascoltato e che ha accolto ogni spasimo del mio cuore. C’è un proverbio ebraico molto bello che dice che Dio ha creato l’uomo per farsi raccontare storie. Allora la domanda che vorrei farti è: Rachele quale storia sei venuta a raccontare? Sei giovane, sei in quell’età di ricerca, di pienezza, cerchi la tua storia. Voglio raccontarti un episodio simpatico: quando mio figlio aveva 10 mesi si sentiva così sicuro da lanciarsi a camminare da solo. Sai quante volte è caduto? Quando era a terra mi guardava e se io sorridevo rassicurante allora lui si rialzava e continuava la sua corsa, se invece io lo guardavo preoccupata lui scoppiava a piangere. Dal modo in cui lo guardavo, Luca decideva se si era fatto male o meno. È lo sguardo che fa la differenza. Per raccontare la nostra storia abbiamo bisogno di un paio di occhi che ci sappiano guardare e amare, anche nelle nostre fragilità e nelle nostre debolezze.

Io nella mia vita ho avuto la grazia di avere occhi così, che mi hanno guardata e mi hanno fatta crescere, mi hanno permesso di camminare in una direzione piuttosto che in un’altra, questi occhi mi hanno amato così tanto da farmi sentire unica e irrepetibile. Quando sono diventata adulta ho compreso che attraverso gli occhi di queste persone sono gli occhi di Dio che mi guardano e mi amano. Questi sguardi che ho ricevuto mi hanno dato quella forza che mi costringe ogni giorno a dare la vita. Non facendo cose straordinarie ma esattamente quello che so fare. Nel fare la spesa, nel cucinare per la mia famiglia o nell’intervistare il cardinale, io racconto la mia storia nell’oggi che vivo sotto lo sguardo di un Dio che mi ama.

Tu sei amata da sempre e per sempre. Lasciati attraversare dallo sguardo di Dio. Non fare come il giovane ricco del vangelo che non coglie lo sguardo di Gesù ma ritorna a casa triste. Chi cammina con Gesù non ritorna mai sui suoi passi, anzi come i magi per un’altra strada fecero ritorno. Se ci pensi non conosciamo il nome del giovane, è conosciuto come il giovane ricco, è rimasto un senza nome, se invece abbiamo il coraggio di dire di sì al cammino di Dio riceviamo un nome e quel nome è la nostra storia e come dice un poeta spagnolo: “Tu mi hai scelto, fu l’amore che scelse e quando mi hai scelto mi hai liberato dal nulla, del fatto di non avere un nome”. Racconta la tua storia Rachele, io non vedo l’ora di ascoltarla.




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