Il perdono

Tradita e piena di rabbia, ecco come ho trovato la forza di perdonare

storia perdono

storia di A. scritta Ida Giangrande

Tradimento, un precipizio da cui spesso non si torna indietro. Dove trovare allora la forza per perdonare? Il coraggio per ricominciare ad amare, per liberarsi dallo spettro di un’altra donna? Il cammino può essere lento e tortuoso ma destinato alla resurrezione perché perdonare è come risorgere.

Ci eravamo sposati per amore ed eravamo felici, di quella felicità apparente, legata alle cose che possiedi, alla vita che fai e che spesso ti trasmette un’ebrezza effimera simile all’effetto di una droga, una gioia incontenibile che però dura poco e così come ti ha portato in alto nel cielo, ti scaraventa giù in un precipizio buio da cui non si torna, o non si torna sempre. Era più o meno questa la felicità che mi teneva legata al mio sposo. Come faccio ad esserne così convinta? Perché è bastato molto poco per precipitare. La nostra seconda bambina era sempre molto vispa, il pediatra diceva così, ed era il suo modo gentile per dire insopportabile. Piangeva a tutte le ore di notte e di giorno senza sosta, ed io sempre lì con lei in braccio, attaccata ad un seno che non riconoscevo più, intrappolata in un corpo che non era più il mio, in una vita che non era di certo quella per cui avevo combattuto. Il mio lavoro a servizio della vanità femminile, aveva richiesto negli anni sacrifici e dedizione assoluta e quasi senza rendermene conto le mie clienti erano diventate la cosa più importante per me. Sentire di non poter soddisfare il loro bisogni per quella maternità così voluta eppure sofferta, mi faceva tremare la terra sotto i piedi. Le mie figlie erano la cosa più importante, lo sono sempre state, ma cominciai a sentirmi bloccata da loro, soffocata dal pianto isterico della piccolina o dalle esigenze della primogenita. Mio marito non esisteva ai miei occhi, lo ignoravo dando per scontato la sua comprensione, la sua vicinanza. Gli chiedevo di aiutarmi e quando mi diceva che non poteva che doveva lavorare e che per farlo aveva bisogno di riposare, mi sembrava quasi di esplodere di rabbia. Mi sentivo sola di fronte ad una responsabilità che non mi piaceva e continuavo ad urlare e a recriminargli di tutto. Fino a quella sera, quando freddo e impassibile mi disse: “Non ti amo più”. Fu come svegliarsi da un incubo all’improvviso, incontrarlo di nuovo dopo tanto tempo per non trovare più un’anima nei suoi occhi. Una parte di me si rifiutava di credere che fosse vero, mentre l’altra parte inseguiva le distanze che ci separavano. Ormai non dormivamo più nemmeno nello stesso letto, le nostre litigate furiose restavano mozzate dietro una porta sbattuta, nel gesto involontario di chi non sopporta una situazione e preferisce voltare le spalle e scappare. Scappare sì in un’avventura più facile, in un’altra donna, una ventata d’aria fresca capace di regalarti l’ebrezza della libertà perduta, l’illusione della spensierata giovinezza che ritorna com’era prima. Qualcuno mi disse che mio marito mi tradiva, andai a chiedergli spiegazioni. Lui non confermò, ma neppure negò. Tutto quello che lessi nel suo silenzio fu il vuoto del nulla. Decisi che non potevo sopportarlo e gli urali di andarsene. L’infamia che mi aveva buttato addosso non meritava perdono. Ogni ricordo, ogni foto tutto era il presagio di una cattiveria immotivata, il mio amore per lui ora era solo un corpo ferito mortalmente che annaspava nella polvere senza riuscire a respirare. Lo cacciai di casa sì, ma lui non se ne andò mai veramente. Io lo credevo un bambino che aveva scelto la via più facile per combattere i problemi eppure, benché avesse sbagliato nel modo peggiore, fu proprio la sua ritrovata fedeltà a salvarci. Passò le prime notti in garage e poi in macchina sotto la finestra della nostra camera da letto, dove io e le sue figlie dormivamo. A me non importava nulla né di dove stesse, né di come stesse, anche se non facevo che bagnare di lacrime la federe del cuscino, non mi importava! Avevo davanti solo il mio orgoglio ferito, l’amarezza della delusione. Continuavo ad immaginarlo con un’altra, una donna senza volto, lo specchio delle illusioni dove lui poteva guardare la sua immagine e chiedere all’infinito “chi è il più bello del reame?”.  Ma questo era solo ciò che il mio dolore voleva farmi vedere, in realtà il Signore aveva già predisposto una schiera di angeli intorno a noi, mentre nel suo cuore si faceva largo il sapore amaro del pentimento. Nei piccoli centri funziona ancora così, quando due sono in crisi ne parlano tutti, la storia passa di bocca in bocca, diventa un pettegolezzo ghiotto, alcuni si mettono di mezzo, hanno le migliori intenzioni ma finiscono col peggiorare le cose, altri invece non collaborano con il bene, ma fomentano l’odio aizzando l’uno contro l’altro. La voce di Dio è quella che arriva in un brusio tenue. Quasi non ti accorgi che si tratta di Lui. Il mio sposo mi aveva tradita sì, ma prima di me aveva tradito se stesso perché quel gesto non era stato dettato dalla coerenza del cuore, ma dall’egocentrismo, dal desiderio malsano di fuggire. Andò a confessarsi e il sacerdote mi chiamò appena lui fu uscito. Ricordo ancora le parole che mi rivolse, un prete di periferia che parlava con l’autorevolezza di Dio. “Tuo marito sta tornando a casa!” mi disse “e tu gli devi aprire la porta”. Pensavo di avere ogni ragione, anche di fronte a Dio mi sentivo legittimata a lasciarlo. Non potevo immaginare che un matrimonio consacrato nella grazia di Gesù Cristo, non può fermarsi davanti ad un tradimento, per quanto meschino sia, c’è un perdono che va oltre. “Io non ne sono capace!” continuavo a ripetere scrollando la testa. “Tu no!” mi disse il sacerdote, “ma Dio sì! È con la sua grazia che possiamo amare e perdonare”. Credetti a quelle parole, furono come un’ancora di salvezza: se Gesù aveva sposato quella Chiesa che lo stava uccidendo, io forse potevo provare a ritrovare l’uomo che avevo sposato, il padre delle mie figlie. Riaprirgli la porta di casa fu quasi una violenza per me, ma lo feci per obbedienza a Dio, lo feci e quando i miei occhi si appoggiarono nei suoi tutto quello che vidi fu l’ingenuità dello sguardo che avevo incontrato sull’altare quando ci eravamo promessi amore eterno e subito dopo il batticuore del primo innamoramento, quella sensazione di completezza che non è solamente un fatto di sentimenti né di fisicità ma il riconoscimento di quella metà del cuore che ormai ti appartiene. Ha dormito sul divano per molte notti ancora, non mi chiedeva nulla e se i nostri occhi si incontravano cercavano di allontanarsi per imbarazzo, vergogna, dolore. Il sacerdote continuava a ripetermi che era questione di tempo, che ci saremmo ritrovati ma io cominciavo a disperare. C’è chi dice che un vaso rotto non può tornare come prima, è pur vero però che i giapponesi usano incollare i pezzi rotti con colate d’oro e alla fine quel vaso è addirittura più prezioso di com’era prima. Il sole è risorto per noi nel giorno della Prima Comunione della nostra prima figlia. È stato come sentire l’oro scendere giù dal cielo per ricongiungere ciò che noi avevamo mandato in frantumi e oggi di quel periodo non resta altro che un ricordo, una foto venuta male nell’album di famiglia.




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2 risposte su “Tradita e piena di rabbia, ecco come ho trovato la forza di perdonare”

Grazie mille! Avevo davvero bisogno di leggere un tale messaggio di speranza mentre ti senti sprofondare nel buio di un pozzo profondissimo.

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