Educare alla fede

Desideriamo davvero che i nostri figli siano santi?

Famiglia Martin

di Giovanna Pauciulo

Che vuol dire educare alla santità nel terzo millennio? Un esempio ci viene offerto dalla Chiesa che proclama santi una coppia di sposi: Luigi e Zelia Martin genitori di Santa Teresa di Gesù Bambino.

I genitori di Teresa di Lisieux, erano riconosciuti già santi dalle loro figlie, è la stessa Teresa a dirlo quando nel definirli diceva: “Il buon Dio mi ha dato genitori più degni del cielo che della terra”. Pensando a questa famiglia che è vissuta nel XIX secolo, in condizioni sociali molto diverse dalle nostre possiamo avere la tentazione di ritenere inadeguata la loro testimonianza per il nostro tempo così segnato dall’assenza di Dio, dal benessere, dall’uso e abuso della dignità umana, da un diverso ruolo della donna, ma la Chiesa li ha proclamati santi e ce li indica non perché dobbiamo imitare materialmente le scelte che hanno fatto, ma perché essi sono il segno che Dio in ogni tempo accompagna la sua Chiesa e dove trova una disponibilità può piantare nuovamente la sua tenda come fece con la ineguagliabile disponibilità della Vergine Maria, grazie al suo sì la salvezza è giunta  a noi. Guardiamo perciò con questo spirito a Luigi e Zelia Martin, la loro è una santità vissuta nel contesto di una normale famiglia, fatta di quelle opere che appartengono alla vita coniugale e familiare. Niente di eccezionale, almeno in apparenza. E tuttavia, a ben vedere è proprio questa santità feriale che rappresenta una provocazione, uno stimolo per noi genitori. Ci sono santi che hanno compiuto grandi opere… questa santità ci affascina ma nello stesso tempo potrebbe anche non coinvolgerci perché la sentiamo troppo distante da noi. Di fronte alla testimonianza dei Santi Martin, invece, non possiamo accampare scuse, il loro stile di vita ci interpella, riguarda proprio noi che siamo chiamati ad una vita ordinaria. Luigi e Zelia insegnano i sentieri della santità che il Vaticano II ha chiesto a tutti i battezzati: la fedeltà con cui hanno vissuto, la costante ricerca della volontà Dio, l’obbedienza nella prova. Le lettere di Zelia illustrano assai bene cosa vuol dire farsi santi nel quotidiano. La vita della famiglia Martin è piena di impegni e di preoccupazioni, intessuta di gioia e di sofferenze, in tutto questo i santi coniugi non staccano mai lo sguardo da Dio: è questo il cuore della loro spiritualità.

“Dio il primo servito”, questa frase ci dice bene quale fosse il posto di Dio nella casa dei Martin e di conseguenza ci esplicita anche il loro modo di concepire la vita di carità che vivevano i santi coniugi e la loro famiglia, basti pensare che in quel tempo la borghesia non apriva le porte di casa ai meno abbienti e invece una volta a settimana i Martin ospitavano i poveri nella loro casa. La Signora Martin se vedeva un povero per strada gli chiedeva di seguirla a casa, gli dava un pasto caldo, lo rivestiva e poi insieme con il marito si preoccupavano di sostenerlo …anche la piccola di casa aveva un ruolo speciale a Santa Teresa infatti era stato affidato il compito di accogliere una volta alla settima i poveri.

Ma questa della carità, dell’attenzione verso i poveri è solo un aspetto di come la famiglia Martin ha declinato il primato di Dio nella vita. L’aspetto secondo me più qualificante, che meglio segna la loro santità soprattutto genitoriale, che li ha guidati nell’attenta educazione alla fede delle bambine, è stata la certezza che tutto è nelle mani di Dio, Lui è il primo padre di tutti e soprattutto dei figli. 

Molti genitori oggi dimenticano questo primato della paternità di Dio, siamo sempre pronti a rivendicare autorità e possesso sui figli, fino a costruire con loro una relazione conflittuale. Per i Martin era chiaro che non poteva esserci realizzazione per le loro figlie se non attraverso la crescita della loro coscienza di essere figlie di Dio il quale va amato sopra ogni cosa. I Martin genitori di nove figli, 4 dei quali morti in tenera età hanno avuto una vita piena di gioie, di confidenza e di una sconfinata fiducia in Dio che non hanno mai ripudiato soprattutto nel dolore e nella sofferenza per la morte dei figli. Zelia in particolare ritrova nell’angoscia la rassegnazione e la speranza fino a provare gioia per avere dei figli in cielo. In questa lettera alla cognata ella fa il suo atto di offerta nonostante il dolore:

 “Quando chiudevo gli occhi dei miei cari figlioletti e li mettevo nella bara, provavo un dolore molto grande, ma sempre rassegnato. Non rimpiangevo i dolori e gli affanni sopportati per loro. Molti mi dicevano: «Sarebbe stato molto meglio non averli mai avuti». Non potevo tollerare questo linguaggio. Non trovavo che i miei dolori ed affanni potessero essere commisurati con la felicità eterna dei miei bambini. Poi essi non erano perduti per sempre: la vita è corta e piena di miserie, li ritroveremo lassù. È soprattutto alla morte del primo che ho sentito più vivamente la felicità di avere un bambino in Cielo. Perché il buon Dio mi ha mostrato in una maniera sensibile che gradiva il mio sacrificio”. (LF 72, 17 ottobre 1871)

La certezza del Cielo non impedisce al suo cuore di madre di soffrire. Ma questa stessa fede è quella che senza parole e senza sermoni diventa educazione alla fede e perciò testimonianza di santità. Sono strazianti le pagine in cui con estrema lucidità ella scrive di come, senza risparmiarsi, ha accudito fino all’ultimo respiro i suoi figli. In queste righe scrive al fratello circa la dipartita del secondo Giuseppe di soli otto mesi:

“Sono veramente scoraggiata, non ho nemmeno più la forza di curarlo, è una cosa che strappa il cuore vedere una piccola creaturina soffrire tanto. Non ha che un grido lamentoso”. (LF 35, 23 agosto 1868)

Mi rassegno alla volontà di Dio, sebbene sia ben duro perdere una così graziosa figlioletta” (LF 52, 24 febbraio 1870)

Quale dolore struggente deve essere per una madre stringere tra le braccia il proprio figlio esanime! Non c’è esperienza più devastante. A Zelia è toccato viverla ben quattro volte. In occasione della morte della piccola Elena e poi della prima Teresa scrive al fratello e alla cognata raccontando loro gli ultimi istanti di vita delle sue due bambine, morte a distanza di otto mesi l’una dall’altra. Leggendo queste righe è ancor possibile sentire tutto il dolore di questa madre: “Al mattino le abbiamo domandato se voleva prendere il suo brodo: ha detto di sì, ma non lo poteva inghiottire. Tuttavia, ha fatto uno sforzo supremo dicendomi: «Se lo mangio, mi vorrai più bene?». Allora l’ha preso tutto, ma ha sofferto terribilmente e non sapeva che fare. Guardava una bottiglia di pozione che il dottore le aveva ordinato e voleva berla dicendo che quando l’avesse bevuta tutta sarebbe guarita. Poi, verso le dieci meno un quarto, mi ha detto: «sì, presto guarirò, sì subito…». Nello stesso momento, mentre la sostenevo, la sua testolina mi è caduta sulla spalla, i suoi occhi si sono chiusi e cinque minuti dopo non viveva più …Questo mi ha fatto un’impressione che non dimenticherò mai, non mi aspettavo quella brusca fine nemmeno mio marito. Quando è rientrato ed ha veduto la sua povera figlioletta morta, si è messo a singhiozzare esclamando: «Mia piccola Elena, mia piccola Elena!». Poi insieme l’abbiamo offerta al buon Dio”. (LF 52, 24 febbraio 1870)

Ci sono pagine di questo tipo per ciascuno dei figli, pagine in cui si sente la fatica dei santi genitori di accogliere la volontà di Dio ma al contempo fare il loro atto di fede. I lutti hanno aumentato la fiducia in Dio fino a sconfinare nella consapevolezza che tutto ciò che Lui permette è cosa buona, come vediamo in questo passaggio:

“Io sono salita subito nella mia camera, mi sono inginocchiata ai piedi di San Giuseppe e gli ho domandato la grazia che la piccina [Teresa] guarisse, pur rassegnandomi alla volontà di Dio, se voleva prenderla con sé. Io non piango spesso, ma mi scendevano le lacrime mentre facevo quella preghiera. (LF 89, marzo 1873) Insomma, ho fatto tutto quello che era in mio potere per salvare la vita della mia Teresa; ora se Dio vuole disporre altrimenti, mi sforzerò di sopportare la prova con la maggiore pazienza possibile. Ho veramente bisogno di rianimare il mio coraggio, ho già molto sofferto nella mia vita”. (LF 90, 30 marzo 1873)

Teresa di Lisieux, la piccola, grande Santa patrona delle missioni cresce a questa scuola. In fondo la sua santità rappresenta il pieno e perfetto compimento di questa esperienza maturata in famiglia. La testimonianza dei coniugi Martin è una forte provocazione per gli sposi, la loro santità risplende in mezzo agli affanni e i molteplici problemi che accompagnano la vita di una famiglia. Non cercano una vita tranquilla, non fuggono i problemi, essi imparano a convivere con la sofferenza che li accompagna come una fedele amica. Eppure non si scoraggiano mai, non gettano mai la spugna, anche quando le loro preghiere restano inascoltate. Questo accade perché vivono ogni cosa alla presenza di Dio e nelle prove confidano sempre in Dio. Quella dei genitori Martin è una fede che legge gli eventi anche quelli più dolorosi e che non perde occasione di affermare il primato della paternità di Dio.

La santità vissuta diventa anche testimonianza. La santità è di Dio e la concede ai suoi amici ma è anche un ideale che i genitori devono saper proporre. Zelia legge frequentemente la vita dei santi alle proprie figlie, ella sa di non poter proporre agli altri quello che non appartiene al suo vissuto interiore. Anche se non lo dice spesso, per quella discrezione condita di umiltà, è certamente questo il suo ideale di vita.

Scrive al fratello: “Tuttavia, prima di desiderare la santità per gli altri, farei bene a prenderne io stesso la strada, cosa che non faccio; ma alla fine bisogna sperare che questo avvenga”.

La santità è l’ideale di vita che propone alle sue figlie e agli altri, è l’obiettivo a cui i genitori cristiani devono tendere con tutte le forze, senza fermarsi a metà strada e senza lasciarsi ingannare dagli onori del mondo. Scrive ad esempio al fratello Isidoro: “Vedo con piacere che sei molto stimato a Lisieux stai per diventare una persona di merito; ne sono felicissima, ma prima di tutto desidero che tu sia santo”. E così pure alle figlie Maria e Paolina: “Bisogna servire il buon Dio, mie care figliolette, e procurare di meritare di essere un giorno nel numero dei santi dei quali celebriamo la festa”. In un’altra occasione confida alla figlia Paolina: “Quest’anno andrò ancora a trovare la Santa Vergine di buon mattino, voglio essere la prima ad arrivare, le offrirò il mio cero, come al solito, ma non le domanderò più figliolette; la pregherò che quelle che mi ha dato siano tutte sante e che, quanto a me, le segua da vicino, ma bisogna che siano molto migliore di me”.

Zelia parla spesso dei suoi santi desideri nelle sue numerose e bellissime lettere alla figlia Paolina, alla quale confidava tutte le cose che accadevano e tutte le preoccupazioni per le altre figlie, trattandola a volte come una sorella e non come una figlia, troviamo delle vere e proprie catechesi, pensieri più grandi di quelli che la figlia poteva comprendere. Tra queste confidenze emerge anche il desiderio di lasciare le cose della terra per dedicarsi a quelle celesti.

“Bisogna, mie care figliolette, che ora vado ai Vespri per pregare in suffragio dei nostri cari parenti defunti. Verrà un giorno in cui vi andrete per me, ma debbo fare in modo da non aver troppo grande bisogno delle vostre preghiere. Voglio farmi santa: non sarà facile, vi è molto da sgrossare ed il legno è duro come una pietra. Sarebbe stato meglio mettercisi prima, mentre era meno difficile, ma infine, «è meglio tardi che mai» “. (LF 110, 1° novembre 1873)

Parlando della figlia Maria scrive a Paolina: “Spero che Maria sarà una buona ragazza, ma la vorrei santa e vorrei santa anche te, mia Paolina. Anch’io vorrei farmi santa, ma non so da che parte incominciare; c’è tanto da fare che mi limito al desiderio. Dico spesso durante la giornata: «Mio Dio, come vorrei essere santa!». Poi non compio le opere! Però è tempo che mi ci metta. (LF 154, 26 febbraio 1876)

Parlando di Leonia dice: “Leonia è, come sempre, contentissima di essere vestita di bianco; finora il lato materiale la colpisce più di quello spirituale, tuttavia sente tanto parlare dell’altra vita che ne parla spesso a sua volta, ma tutto questo non fa che sfiorarla. Insomma, speriamo nella misericordia di Dio verso questa ragazza”. (LF59, 14 maggio 1876)

Potremmo domandarci ma perché questa santa madre segue con straordinaria attenzione la formazione spirituale delle sue figlie, di ciascuna di esse? Non ha altro da fare? In realtà Zelia dirige un’azienda, è un’imprenditrice gestisce la casa con tante figlie eppure è attenta non ha certo tempo da perdere se lo fa è perché ha la consapevolezza che da questo dipende la maturità della persona. Ancora citazioni tratte dalla miniera di santità che sono le sue lettere.

Zelia si preoccupa di coinvolgere le figlie fin dalla più tenera età: “Paolina domenica era alla processione, vestita di bianco, come Maria. Tutte  e due avevano i capelli arricciati, con una corona in testa” (27 giugno 1865). E così pure la primogenita: “L’altro giorno facevo il mese di Maria con lei e le dicevo di pregare il buon Dio per te; ella ha interrotto piangendo la sua preghiera: voleva vedere il suo «ton-ton»! (16 maggio 1864).

Nelle lettere che scrive a Paolina non mancano mai i suggerimenti ad una vita spirituale più intensa: “Ti raccomando, mia Paolina, di prepararti a fare bene la tua Pasqua e di pregare molto per tua sorella” (aprile 1873). Qualche mese dopo: “Ora bisogna che tu non ti occupi d’altro che di prepararti alla tua seconda comunione” (1° luglio 1873).

A proposito di Celina scrive: “Impara benissimo ed io me ne rallegro. In poco tempo impara a memoria una lezione di catechismo o un brano della Storia Sacra e tuttavia non ci si affatica troppo” (Lettera a Paolina dell’ottobre 1875). “Sono molto contenta di Celina; è una bambina eccellente che prega il buon Dio come un angelo, impara bene ed è molto docile con Maria. Certamente se ne farà qualche cosa di buono, con la grazia di Dio” (lettera a Paolina del 5 dicembre 1875). Zelia segue con speciale premura Leonia e segnala con gioia i più piccoli passi che vede fare: “Leonia ha lucrato il suo Giubileo ed ha ricevuto l’assoluzione: aveva paura di non essere abbastanza ben preparata; queste disposizioni mi hanno fatto piacere” (14 marzo 1875). La figlia riceverà la Prima Comunione qualche mese dopo, e precisamente il 23 maggio. L’anno dopo, Zelia annota: “Per la sua seconda Comunione ha pregato con molta pietà durante la messa” (maggio 1876). Queste poche annotazioni sono sufficienti per comprendere che creare un ambiente impregnato di religiosità è solo la necessaria premessa per educare alla santità. Certo, in quel contesto anche le piccola Teresa “talvolta si vuole unire a fare delle pratiche”. Ma l’educazione alla fede è guidata personalmente da Zelia che segue con costante attenzione la crescita di ciascuna delle sue figlie. Ed è questo il segreto.

Teresa, l’ultima, la più piccola, la prima Santa riconosciuta di questa famiglia, in fondo  è il capolavoro educativo di Zelia. È vero che alla morte della mamma aveva quattro anni e mezzo, ma la sua testimonianza ha influito non poco. È significativo questo piccolo episodio che riguarda la piccola Teresa, che ha poco più di due anni: “Alcune settimane or sono, una domenica pomeriggio, era stata condotta a passeggio. Non era andata a sentire «La Metta», come dice lei. Rientrando si è messa a piangere rumorosamente, dicendo di voler andare alla Messa; ha aperto la porta e, sotto l’acqua che cadeva a torrenti, è scappata in direzione della chiesa. Le siamo corsi dietro per farla rientrare a casa ed i suoi singhiozzi sono durati un’ora buona. In chiesa mi dice ad alta voce: «Io ci sono stata alla Metta, io!». Ho pregato molto il buon Dio». Quando suo padre rientra, la sera, e non lo vede fare la sua preghiera, gli domanda: «Perché dunque, papà, non fai la tua preghiera? Sei stato forse in chiesa con le signore?»”.

“Dopo l’inizio della Quaresima vado alla messa delle sei e la lascio spesso sveglia. Quando parto, mi dice: «Mamma, starò buona, buona». Effettivamente, non si muove e si riaddormenta”. (LF 130, 14 marzo 1875)

È la stessa madre di Teresa che percepisce la straordinarietà della figlia e annota: “Teresa ha delle risposte molto rare per gli anni che ha. Supera Celina che pure ha il doppio di età. Celina l’altro giorno diceva: «Come è possibile che Dio sia in una così piccola ostia?». La piccina ha detto: «Non è tanto straordinario, poiché il buon Dio è onnipotente?» «E cosa vuol dire onnipotente?». «Ma vuol dire che può fare tutto quello che Egli vuole!…»”. (LF 201, 10 maggio 1877)

Teresa ha ricevuto una grazia speciale che l’ha accompagnata fin dai primi passi, ma questi episodi confermano una verità che spesso viene trascurata: ciò che si semina nella primissima fase della vita ha una forza persuasiva che non ha eguali.

Cari genitori, a partire dall’attenzione che hanno avuto questi sposi per la santità delle loro figlie assumiamoci un impegno, proviamo a descrivere il capolavoro di santità che sono i nostri figli, cerchiamo di ricordare qual è il consiglio spirituale che più spesso gli diamo? Forse scopriremo alcuni aspetti importanti di cui essere grati ma potremmo anche scorgere alcune lacune o superficialità del nostro impegno genitoriale.




Aiutaci a continuare la nostra missione: contagiare la famiglia della buona notizia

Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).

CONTINUA A LEGGERE



ANNUNCIO

ANNUNCIO

1 risposta su “Desideriamo davvero che i nostri figli siano santi?”

Riconoscere il primato della paternità di Dio è il primo passo verso la santità La famiglia Martin, non è una famiglia di altri tempi. Credo che Dio abbia voluto dare un segnale moto forte alla nostra società moderna con la canonizzazione di questa coppia. Zelia è una donna e una mamma lavoratrice; proprio come ce ne sono tante ai nostri giorni; un’imprenditrice. La loro è una santità vissuta nel contesto di una normale famiglia, fatta di gesti e parole che appartengono alla vita coniugale e familiare. Niente di eccezionale, almeno in apparenza. Questa santità ci affascina e ci coinvolge proprio perché i Martin possono benissimo essere una delle nostre tante famiglie dove entrambi i genitori lavorano, si occupano della casa e dei figli. Cosa hanno allora i Martin di diverso? Essi riconoscono e affermano incondizionatamente il primato della paternità di Dio. Hanno accettato e compreso che l’uomo non può rendere vano il disegno divino. L’hanno accettato al punto da affermare di fronte alla morte di ben quattro dei loro figli in tenera età: “La vita è corta e piena di miserie, li ritroveremo lassù… ” Toccante e sconvolgente la morte della piccola Elena, minuziosamente raccontata da Zelia. Nessuna mamma resta indifferente a tale straziante racconto e non si commuove fino alle lacrime. I Martin ci aiutano a comprendere come si passa dall’angoscia alla rassegnazione e alla speranza. Aveva proprio ragione Santa Teresa quando affermava che: “Il buon Dio mi ha dato genitori più degni del cielo che della terra”. In un’epoca dove i valori fondamentali su cui poggia la famiglia sono derisi e calpestati, i Santi coniugi Martin ci insegnano che l’ambiente familiare, illuminato dall’opportuno insegnamento dei genitori, costituisce la migliore preparazione dei figli alla vita. L’esperienza di comunione e partecipazione deve caratterizzare la vita quotidiana della famiglia per diventare un’insostituibile scuola di vita. In un’epoca dove si parla di omofobia e di gender, la famiglia, intesa come l’unione dell’uomo e della donna atta alla procreazione di nuovi uomini accompagnati da una diligente opera educativa, è il luogo privilegiato e il santuario dove si sviluppa tutta la grande ed intima vicenda di ciascuna persona umana. Zelia propone la santità alle sue figlie e agli altri come ideale di vita; è questo l’obiettivo cui i genitori cristiani devono tendere con tutte le forze, senza fermarsi a metà strada e senza lasciarsi ingannare dagli onori del mondo. “Come Zelia, anche noi preghiamo… vorrei farmi santa, ma non so da che parte incominciare; c’è tanto da fare che mi limito al desiderio”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Per commentare bisogna accettare l'informativa sulla privacy.