III Domenica del T. O. – Anno C

Mamma, papà, mi parlate di Gesù?

Educare-alla-fede

di fra Vincenzo Ippolito

Perché è così difficile tra sposi rompere il ghiaccio e dire “Questa sera preghiamo un po’?” con la stessa naturalezza del confidare “Ho freddo, mi stringi un po’ a te?”. La preghiera è una questione vitale. Insegnare ai figli l’arte della preghiera e del dialogo con Dio, senza demandarlo ad altri è compito dei genitori che proprio come l’evangelista Luca con Teofilo, devono ascoltare i propri figli ed interpretare la vita che gli narrano avendo come lampada Dio e la sua Parola viva che è Gesù.

Dal Vangelo secondo Luca (1,1-4.4,14-21)

Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto.

In quel tempo, Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode. Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto:

«Lo Spirito del Signore è sopra di me;

per questo mi ha consacrato con l’unzione
e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,
a proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
a rimettere in libertà gli oppressi
e proclamare l’anno di grazia del Signore».

Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».


 Il commento

Guidati dall’evangelista Luca entriamo oggi nella sinagoga di Nazaret per incontrare, nascosti anche noi tra i presenti, il Figlio del falegname (cf. Lc 4,22) che dimostra, nel vigore dei suoi trent’anni, la consapevolezza che solo Lui può vantare di essere Figlio di Dio. Dinanzi allo sguardo stupito di chi lo conosce fin da bambino, Gesù si presenta come l’Unto di Dio, consacrato per fasciare le piaghe dei cuori spezzati, per liberare gli oppressi ed annunciare l’anno della misericordia del Signore. Siamo nella pagina programmatica di tutto il Vangelo secondo Luca, nella misericordia si svela il vero volto di Dio, l’unica acqua capace di restituire all’uomo la dignità filiale che il peccato cerca in ogni modo di distruggere. Anche noi, attraverso i segni liturgici, siamo oggi a Nazaret, ascoltiamo dalla bocca di Gesù la proclamazione del profeta Isaia e, fissando gli occhi su di Lui, ci sentiamo attratti a pregarlo perché ciascuno sperimenti la liberazione e la gioia che la misericordia fa abitare nel cuore.

Alle sorgenti del Vangelo

Anche questa domenica – lo notavamo già nella festa del Battesimo di Gesù (cf. Lc 3,15-16.21-22) – la liturgia ci offre un collage non solo di versetti diversi, ma questa volta anche di capitoli differenti. Si tratta, infatti, di una cucitura di quattro versetti del capitolo primo (cf. Lc 1,1-4) a cui si aggiungono otto versetti del capitolo quarto (cf. Lc 4,14-21). Ecco perché, per una buona comprensione del testo evangelico proposto dalla liturgia, è sempre necessario vedere la citazione riportata. Nel nostro caso i due testi si rifanno a diversi contesti. Il primo (cf. Lc 1,1-4) all’inizio del Vangelo, è un prologo indirizzato a Teofilo – si tratta di un discepolo di Luca a cui l’evangelista indirizzerà anche la sua seconda opera, gli Atti degli Apostoli – dove vengono offerte le coordinate essenziali dell’opera (finalità e modalità di ricerca), che richiamano i grandi lavori letterari degli storiografi del mondo antico; il secondo testo, invece, è già un pezzo della storia di Gesù che, nella sua cittadina, testimonia la consapevolezza della sua missione e richiama la Scrittura come promessa di Dio che Egli realizza nell’oggi della storia. Tra i due testi ci sono ben tre capitoli (cf. Lc 1,5-4,13) che coprono un lasso lungo di tempo, ovvero l’infanzia del Signore (cf. Lc 1-2) e la preparazione prossima della sua predicazione (cf. Lc 3). L’unica lettura liturgica di brani diversi in questa terza Domenica del Tempo Ordinario serve per comprendere meglio la prospettiva dell’Evangelista che il prologo offre ed utilizzarla come chiave di lettura per ogni pagina dell’opera lucana. È necessario, infatti, leggere il Vangelo secondo le indicazioni che esso stesso ci offre, altrimenti si rischia di travisare quanto l’Autore vuole trasmettere.

Prima di tutto il Vangelo non è uno scritto anonimo – lo dice espressamente san Luca, indirizzando a Teofilo il frutto della sua accurata indagine – quanto, invece, è opera di un autore ispirato – si tratta di un lavoro a due mani, di Dio e dell’uomo (cf. Dei Verbum 11) – indirizzata ad una comunità, nel nostro caso ad un singolo, per rivelare in Gesù Cristo l’amore del Padre. Leggere e meditare la Scrittura significa entrare in questo flusso di vita nuova che il Risorto effonde nel cuore stesso della sua comunità. Quando leggo la Scrittura, io non solo vedo come altri hanno incontrato Dio, corrispondendo, in maniera proporzionata alla propria docilità, all’amore rivelato da Gesù Cristo, ma sono interpellato ad entrare nella dinamica che il Testo esemplifica e propone. Il Vangelo, come anche gli altri testi ispirati, sono scritti per noi, per me che leggo. Il Teofilo a cui Luca indirizza la sua opera, sono io se mi lascio guidare dalla fede in Cristo, è la mia famiglia se, leggendo insieme il Vangelo, lasciamo scendere quella Parola come balsamo di vita nuova nelle gioie e nelle difficoltà piccole e grandi della nostra giornata. Amica di Dio – è questo il significato del nome proprio Teofilo – è la mia comunità religiosa o parrocchiale quando celebriamo l’Eucaristia e ci lasciamo ammaestrare dal Signore che parla e spezza la sua vita nel Pane, effonde il suo amore dal Calice. La Parola che scende sopra di me – come nel caso di Giovani il Battezzatore nel deserto, cf. Lc 3,2 – è scritta per me, perché cresca la mia fede, la carità mi infiammi ed i fratelli, attraverso la mia gioia dilagante, rendano gloria al Padre che è nei cieli. Sì, la Scrittura è la lettera di Dio per me – diceva san Gregorio Magno – e più la leggo, più io cresco con lei – Divina eloquia con legente crescun, la Parola di Dio cresce con coloro che la leggono, diceva sempre san Gregorio – ed in lei mi conosco e conosco il mio Dio e Signore come sorgente dell’amore misericordioso di cui il mio cuore sente estremo bisogno.

Luca sa di non essere il primo a porre mano ad un racconto su Gesù e, nel farlo si fida dell’esperienza di coloro che lo hanno preceduto, ascolta la voce dei primi testimoni oculari, di coloro che, nel cuore della comunità, divennero ministri della Parola. È l’esperienza di fede a generare in noi la vocazione al servizio nella comunità-Chiesa. Dalla vita condivisa con Cristo nasce il ministero di quella Parola che rende vivo ancora oggi Gesù attraverso l’annuncio. La Parola scritta dallo Spirito nella viva carne del Figlio di Dio fatto uomo, il fuoco del suo Amore che ci immerge nel roveto ardente della rigenerazione e della purificazione, fa sorgere in noi l’urgenza della missione, la necessità dell’annuncio come dono gratuito di Dio all’altro attraverso la parola. Chi incontra Gesù gusta il sapore del sale, la luce della vita che scaccia le tenebre dell’errore e della morte, sperimenta il vero senso dell’esistenza e la gioia della pienezza di vita nell’amore, vive nella speranza e nella letizia e, non riuscendo a tenere per sé quanto ha ricevuto, diviene di quella Parola ministro e servo. È la Parola contenuta nel cuore che trasborda nell’annuncio, se nel cuore non hai Cristo, semini parole vuote, non spargi il buon grano, ma la zizzania del tuo tornaconto. Come le api, la Parola sciama, ovvero mette dimora in altri cuori, senza per questo abbandonare il primo alveare. Ma la Parola è il riverbero dell’evento che trasmette, la traduzione verbale di una storia che è proposta di salvezza. Se ascolti con fede, partecipi della grazia rigeneratrice dell’evento narrato, non apprendi nuove informazioni, ma divieni tu nuovo, per l’effusione dello Spirito Santo che rende la parola umana Parola di Dio, come nel grembo della Vergine la carne di quel corpicino che cresce in nove mesi è del Verbo uscito dal silenzio del Padre. Cristo mi rende servo della Parola se mi lascio abitare, consumare, vivificare, purificare, santificare dalla Parola viva ed efficace, più penetrante di una spada a doppio taglio (cf. Eb 4,12). In me sarò la Parola stessa a parlare se ne sono colmo, ad agire se il suo Spirito è in me.

Quanto nelle nostre famiglie è necessario meditare sui primi versetti del Vangelo secondo Luca! In essi ci viene donato il segreto della trasmissione della fede e la gioia di apportare il proprio contributo per la sua saldezza nell’esistenza dei fratelli. I genitori sono ministri della Parola per la grazia della nuzialità sacramentale. Hanno sperimentato la presenza amorosa di Dio nella loro vita attraverso l’altro/a e sono divenuti testimoni dei prodigi operati dal Signore nella loro vita. Ministri della parola d’amore che, nel sacramento, si sono scambiati tra loro e con Dio, sono i primi maestri della saldezza della fede dei loro figli, chiamati a spezzare la Scrittura, insegnare l’arte della preghiera e del dialogo con Dio, senza demandarlo ad altri. Sono i genitori che, al pari di Luca con Teofilo, devono ascoltare i propri figli ed interpretare la vita che gli narrano avendo come lampada Dio e la sua Parola viva che è Gesù. È necessario ritornare ad una educazione alla fede a misura di famiglia e di comunità, a piccoli gruppi, proprio come ci indica la prima Lettura delle liturgia odierna, dove il popolo, sotto la guida di Esdra, fa della Scrittura un cibo spezzato per tanti sì, ma in piccoli gruppi. Volesse il Signore, in questo anno della misericordia, far sorgere nei cuori l’esigenza ancor più impellente di circoli di lettura orante del Vangelo nelle case – iniziative lodevoli in molte parrocchie, ma non così incisive da condurre le famiglie ad una esperienza di incontro con Dio con la sua Parola! – lì dove la vita ferve ed inchioda! Volesse la Vergine, prima ministra della Parola, ispirare ai genitori un appuntamento settimanale per leggere con i figli il Vangelo della domenica, offrendo piste di concretizzazione e di preghiera semplice, ma incisiva. Dobbiamo abbandonare l’idea che ci troviamo in una società dove i valori cristiani vengono automaticamente trasmessi dalla consuetudine – le attuali discussioni su proposte di legge lo testimoniano – ma dobbiamo ritornare ad un lavoro diretto di annuncio in famiglia e con le famiglie. I genitori devono essere veramente testimoni e ministri nella piccola chiesa che è la loro famiglia, investiti del sacerdozio regale di Cristo a condurre i figli a non vergognarsi del Vangelo che è potenza di Dio (cf. Rm 1,16).

Sotto le ali dello Spirito

È sabato ed ogni ebreo osservante si mette in ascolto di Dio. Così anche Gesù, si reca in sinagoga, come suo solito – è il perpetuarsi di un’azione ricorrente nella sua vita che dice la cadenza della sua fede, il ritmo della liturgia settimanale appreso in famiglia, come il pellegrinaggio annuale a Gerusalemme (cf. Lc 2,41) – e partecipa attivamente alla vita di preghiera in sinagoga. L’Evangelista ci tiene a specificare ora (cf. Lc 4) come anche in precedenza (cf. Lc 4,1) che il motore dei pensieri e delle azioni in Gesù, la sua forza è lo Spirito Santo. “Gesù ritornò nella Galilea con la potenza dello Spirito” (Lc 4,14). Dopo il battesimo, che rappresenta l’unzione ricevuta dal Padre, il Figlio di Dio fatto figlio dell’uomo vive la dolce compagnia del Paraclito nella sua vita. Concepito per opera dello Spirito nel seno della Vergine (cf. Lc 1,35), l’uomo Gesù si lascia docilmente guidare, non pone ostacolo alla grazia, nessun impedimento trova in Lui la volontà del Padre. Come non perdersi nella contemplazione di questa dolce armonia nella vita del Signore!

Dimmi, o Diletto dell’anima mia, Dimmi, ti prego, il segreto di questa tuo abbandono perché anch’io mi sento ardere dentro dallo stesso desiderio che vedo realizzato in te. Quale la sorgente di questa tua docile accoglienza, di questa tua incondizionata capacità di farti plasmare, guidare, parlare, muovere? Lo vorrei anch’io, ma il peccato mi blocca, la debolezza mi frena, le cadute mi scoraggiano. Come sei bello, o Diletto dell’anima amante, nell’abbraccio dello Spirito che ti unisce al Padre in tutto, come sei bello, nel silenzio di chi non discute e non si ribella al minino cenno della grazia, come sei bello nel gesto di chi si abbandona perché si sente amato e sa che l’amore riversato nel cuore determina la necessità di far vincere in sé l’amore dell’Altro, lo Spirito amore. Mostrami il tuo volto ed io sarò raggiante di luce, mostrami il tuo viso ed io sarò infiammato di santi desideri di cielo, mostrami il tuo sguardo ed io vedrò il Padre che in te trova compiacenza!

Lo Spirito scende su Gesù (cf. Lc 3,21-22), lo riempie, in Lui agisce (cf. Lc 4,1) e gli si dona come potenza (cf. Lc 4,14). La vita cristiana è sotto la potenza e l’azione dello Spirito di Cristo perché “Se uno non ha lo Spirito di Cristo non gli appartiene” (Rm 8,9). La famiglia è il luogo dove bisogna sperimentare la permanente dimora del Paraclito che scende, riempie, plasma, unisce, rafforza. Dobbiamo credere in questa Presenza sempre, riconoscerla, ascoltare il suo sussurro, la sua voce flebile che, per chi ha fede, è voce di tuono. “Se uno non ha lo Spirito di Cristo non gli appartiene”. Come si può essere discepoli di Gesù senza la sua potenza che è lo Spirito Santo? Come seguire la sorgente dell’amore senza venire intrisi dal suo zampillare l’acqua del Consolatore? È come seguire un comandante con l’armatura dell’esercito nemico, cavalcare un mulo credendolo un veloce destriero. “Se uno non ha lo Spirito di Cristo non gli appartiene”, sì non appartiene a Dio e non appartiene alla persona che ha scelto di amare. È lo Spirito, la sua potenza che mi fa amare ed agire, mi spinge all’offerta ed al sacrificio, mi rende fedele nel poco, come anche nel molto.

Ho bisogno della tua potenza, Gesù, della pienezza del tuo Spirito! Senza Te che in me vivi ed agisci grazie a Lui, sono nella disperazione, perché Lui è la mia gioia, la gioia tua riversata in me; senza Te che, in Lui, addestri le mie mani alla guerra, le mie dita alla battaglia, io sono vinto dal male, precipito nel baratro, i flutti di morte mi sommergono nel vortice della tribolazione. La mia famiglia ha bisogno del tuo zampillare forza, della tua effusione di letizia, della seminagione del tuo amor divino. Potenzia il mio amore con il tuo, rafforza i miei passi sulla strada del bene, illumina gli occhi della mia mente per evitare i miraggi, il mio cuore per non piegarmi al male che mi insidia.

Abbiamo bisogno di tempo per crescere nella familiarità con lo Spirito e per sentirci amati dal Padre. Siamo bravi a confessioni simili a quelle di Pietro (cf. Lc 9,18-21), ma nell’ora della prova, sulle nostre labbra nasce spontaneo il rinnegamento, perché l’amore non è forte come la morte. Abbiamo bisogno di tempo per pregare e sentire le braccia del Padre misericordioso su di noi, le sue mani che stringono il nostro collo incapace di accogliere il dolce giogo della croce di Cristo, il suo alito che sfiora il nostro volto, mentre ci bacia. Tanto uno vale, per quanto uno prega! Se non c’è preghiera la lampada della vita si spegne, possiamo fare, ma non è lo Spirito ad agire in noi perché manca la consapevolezza che nasce dalla docile accoglienza dell’amore. Le difficoltà nelle famiglie nascono perché la fede vacilla. Se Dio non guida il timone della nostra vita, lo scontro con qualche scoglio è assicurato nel buio della notte. È necessario scoprire lo Spirito all’opera nella vita dell’altro, scoprirlo e aiutare l’altro nella incondizionata docilità ed abbandono a Lui. Perché è così difficile tra sposi rompere il ghiaccio e dire “Questa sera preghiamo un po’?” con la stessa naturalezza del confidare “Ho freddo, mi stringi un po’ a te?”. La preghiera è una questione vitale. Se non si prega la morte è assicurata ed i comandamenti divengono una legge gravosa perché manca la relazione amorosa con Dio che dona senso e forza ad ogni sacrificio.

Unti per la missione

La sinagoga è il luogo dove la Parola di Dio risuona con potenza e convoca il popolo, formandolo nella fedeltà all’alleanza (è così anche la nostra famiglia? Siamo convocati dall’amore di Dio? Tra noi la sua voce crea rapporti nuovi che hanno Cristo come fondamento?). Gesù si alza e riceve il rotolo del profeta Isaia. Si tratta di una consegna, di una traditio (trasmissione) dalla mani dell’inserviente (cf. v 20) a quelle di Gesù. Anche per Lui, la Scrittura è un dono da accogliere con piena disponibilità di cuore e di mente. Se riuscissimo a considerare un dono la Parola di Dio, una possibilità offerta per crescere nella comunione con Lui, un’occasione di ascolto docile della voce del Signore che conduce sulla strada del bene. Il Vangelo che io stringo tra le mani non è mio, lo ricevo dalla Chiesa che lo legge per me, spezzandomi la Parola della scrittura come Gesù lungo la via per Emmaus. È la Chiesa che custodisce il deposito della fede trasmessa. Essa è madre che dispensa, maestra che guida ed ammaestra, sorella che consiglia ed accompagna, voce che scuote e richiama la verità, medico che fascia le ferite ed effonde la medicina della misericordia e del perdono in nome di Dio, con l’autorità di Cristo Signore. Per gli sposi la Chiesa è garante dell’indissolubilità dell’amore, testimone del dono concesso nel sacramento, sostegno concreto per camminare sulla via della reciproca accoglienza che genera la vita.

Deve cambiare il nostro modo di vedere la Chiesa e di vivere nella Chiesa. Non è, infatti, una società perfetta retta da un sovrano assoluto, ma una famiglia dove il padre è il primo a servire e a dispensare l’amore. Le parrocchie devono riscoprire la dimensione familiare della vita, lavorare sulla trasmissione della fede, sui rapporti mai formali, ma di reciproca stima ed amicizia. Medesimo lavoro deve attuarsi nelle comunità religiose dove il modello familiare è stato sempre alla base della vita comune e delle relazioni improntate alla sincerità e al rispetto reciproco. Non è un caso che i termini padre, madre, figlio, fratello, sorella si riscontrano anche nella vita di fede, segno della comune appartenenza a Cristo Signore. La società odierna vive la crisi delle figure genitoriali, non solo i padri e le madri sembra che non vengano accolti come punti di riferimento, ma essi stessi non vogliono imbattersi nell’avventura educativa, preferendo vivere da eterni giovani, come compagni dei loro figli. È il livellamento che nasce quando non si vive la dinamica del dono offerto ed accolto. Il dono mi responsabilizza nei riguardi di me stesso e degli altri; il dono mi chiede mi mettermi in gioco e di non nascondermi, né esimermi dal ruolo educativo che la vita mi ha dato perché in precedenza l’ho scelta. C’è crisi di maternità e paternità responsabile anche nelle nostre comunità cristiane e religiose, siamo tutti figli che non vedono padri e quando li hanno cercano di fuggirne l’autorità e con essa l’amore.

L’alveo della fede dell’uomo Gesù è la comunità di Israele. In essa viene educato e cresce nelle tradizioni dei padri e nell’osservanza della Legge, imparando la preghiera dove la sua figliolanza divina fiorisce e porta frutti di misericordia tra i fratelli. Gesù accoglie la Scrittura come dono, nel flusso vitale del popolo eletto e sa che nella Parola Dio gli parla, lo consiglia e consola, lo sostiene e gli apre il suo progetto. Al pari di Gesù, dobbiamo attingere dalla Scrittura la proposta di gioia che il Padre ci dona. Nella Parola io devo specchiarmi, ricercare la mia identità secondo Dio, formare il cuore secondo il suo disegno. Gesù sa di essere unto, ha vissuto nel battesimo al Giordano la sua investitura e ciò che sente nel cuore viene confermato dalla Parola del profeta che stringe tra le mani. Vita e Scrittura parlano lo stesso linguaggio, rivelano la medesima divina volontà. Cristo legge il brano di Isaia 61,1ss e si rende conto che quanto proclama riguarda la sua vita. La vita di Gesù è la vera esegesi della Scrittura. Lui, in quanto Parola fatta carne, compie e completa la rivelazione (cf. Dei Verbum 3) e la sua vita, culminante nel mistero pasquale, rappresenta la giusta chiave per comprendere ogni brano dell’Antico Testamento. L’esegesi, come scienza teologica che conduce alla giusta interpretazione della Bibbia, non è finalizzata ad un comprensione unicamente intellettuale, quanto, invece, esistenziale. Io sono esegeta se la Scrittura non solo studio di comprenderla con l’aiuto dello Spirito, ma di tradurla in vita. Io capisco la Scrittura con la mente, se il mio cuore è capace di contenerne lo Spirito. Gesù non ha bisogno di commentare il brano proclamato, perché la sua vita ne è la spiegazione, la sua storia è esegesi vivente. Lo dice Egli stesso: “Oggi si compie questa parola che voi avete udita con i nostri orecchi” (Lc 4,21). La Parola attende che le diamo carne, proprio come ha fatto Maria offrendo la sua carne perché la Parola di Dio divenisse concretezza di vita tra i fratelli. Dare carne alla Parola significa leggerla e meditarla nel cuore. Se la parola non diviene carne in me, la mia vita perde il gusto di Dio ed il mio tempo non è gravido dell’Eterno. Gesù restituisce il rotolo perché è la sua vita il rotolo vivente, sulla sua carne lo Spirito ha scritto la Parola definitiva del Padre per ogni uomo, l’unica che non ha bisogno di spiegazioni: misericordia. In questo consiste la sua missione, per questo è stato unto: essere il volto umano della misericordia del Padre.

La misericordia, cuore pulsante del Vangelo

Il brano di Isaia che Gesù legge e realizza con la sua persona, nella carne assunta da Maria, è il programma della sua vita. Egli sa di essere unto per una missione: essere servo, ministro della misericordia del Padre tra gli uomini. Luca, nelle parole del profeta, ravvisa i toni della predicazione successiva del Maestro e la sensibilità che caratterizzerà il suo Vangelo: donare ai povero il lieto messaggio, annunziare la scarcerazione ai prigionieri, ai ciechi la vista, la liberazione agli oppressi, in un’unica espressione, annunciare l’anno di grazia del Signore. È questo il programma del ministero pubblico di Gesù. La consapevolezza che Egli ha della sua unzione in vista della missione ci mette in guardia da ogni messianismo terreno. La misericordia è amore dal basso, in quella dinamica di umiliazione che il Verbo vive ed ama come specifico del suo farsi uomo. C’è un’unica strada per vivere la misericordia, partire dai poveri, un unico Vangelo, quello che libera l’uomo da ogni forma di schiavitù e gli restituisce la dignità di figlio di Dio e fratello di ogni uomo. Questo è l’esercizio da compiere nell’anno della misericordia: ricordare l’unzione per vivere la missione.




Aiutaci a continuare la nostra missione: contagiare la famiglia della buona notizia

Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).

CONTINUA A LEGGERE



ANNUNCIO

ANNUNCIO

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Per commentare bisogna accettare l'informativa sulla privacy.