Speciale Giornata per la Vita

Aborto, il dramma della donna

di don Silvio Longobardi

Quando parliamo di aborto dobbiamo considerare anche le mamme, e ciascuna con il suo dramma. Sono proprio loro che, più degli altri, portano il peso di quella scelta e spesso restano schiacciate dal rimorso.

L’ impegno per la vita è anche un impegno a favore della donna, nasce dal desiderio di custodire l’alleanza tra la mamma e il suo bambino, la prima alleanza della società. La legittima preoccupazione per la sorte del bambino non ci fa dimenticare l’angoscia della madre, la persona che più di ogni altra è chiamata a portare il peso di quella nuova vita. Tante volte noi che ci occupiamo della vita nascente veniamo accusati di trascurare la donna, di non tenere in considerazione le sue ragioni e le sue paure.

La decisione di abortire non è mai presa a cuor leggero, vi sono situazioni in cui l’ignoranza e la superficialità hanno un’oggettiva prevalenza, ma il più delle volte l’aborto è la conclusione di una drammatica e dolorosa lotta interiore. Giovanni Paolo II riconosce che vi sono casi in cui “la decisione di disfarsi del frutto del concepimento non viene presa per ragioni puramente egoistiche e di comodo, ma perché si vorrebbero salvaguardare alcuni importanti beni, quali la propria salute o un livello dignitoso di vita per gli altri membri della famiglia” (EV 58).

Sappiamo bene che in questi casi il peso ricade solo sulla donna, è lei che deve decidere, come se l’esistenza di quel bambino fosse dipeso solo da lei. Quante volte dinanzi a questi problemi la donna è lasciata sola? La donna è, insieme al concepito, vittima dell’aborto, di una cultura e di una società che scarica su di essa le proprie contraddizioni. Troppo spesso, come ha scritto Giovanni Paolo II nella Mulieris Dignitatem, la donna “paga essa sola, e paga da sola” e spiega: “L’odierna opinione pubblica tenta in diversi modi di annullare il male di questo peccato; normalmente, però, la coscienza della donna non riesce a dimenticare di aver tolto la vita al proprio figlio, perché essa non riesce a cancellare la disponibilità ad accogliere la vita, iscritta nel suo ethos dal principio” (MD 14).




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