Donna

E se avessi avuto una figlia femmina?

mamma

di Giovanna Abbagnara

Capita spesso di sentirmi in difficoltà prima di concepire e generare un articolo, dal momento che anche come giornalista manifesto la mia femminilità e la mia capacità di generare vita nuova. Le idee si affollano nella mia mente e vorrei scrivere di tutto e di più per questo otto marzo. Scelgo questo oppure quel pensiero … ma no, meglio quell’altro! E così dinanzi al mio pc penso e ripenso nel continuo desiderio di dar vita e trasmettere vita con le parole che scrivo.

Spesso i confronti tra me e mio marito su nostro figlio si concludono con una domanda: “E se avessimo avuto anche una femmina?”. L’espressione che si dipinge sul suo viso, seguita dall’esclamazione “Voi donne siete troppo complicate!” è l’epilogo del colloquio mentre io ripenso allo smarrimento che spesso vedo negli occhi delle adolescenti quando parlo con loro e raccolgo nell’otre del mio cuore le paure, il loro non sentirsi belle, magre, adeguate in ogni situazione. È complesso l’iter che conduce una donna alla piena consapevolezza del suo essere femmina. Oggi più di ieri, le figure di riferimento che dovrebbero aiutare una bambina e poi una adolescente a tirare fuori tutti i doni che sono propri dell’universo femminile sono anch’esse vittime della cultura del corpo. Non occorre essere sociologi né fini pensatori per accorgersi che ai giorni nostri tutti i messaggi rivolti alle bambine si concentrano esclusivamente sul loro aspetto, sul modo di offrirsi e presentarsi agli altri. Le vedi allora fin dall’età di nove anni terrorizzate di mangiare qualsiasi cosa in grado di attentare alla loro linea. La figlia di una mia cara amica per i suoi diciotto anni ha chiesto un seno nuovo, più voluminoso. Qualche anno prima anche la mamma si era sottoposta allo stesso intervento chirurgico perché il seno era diventato cadente dopo l’allattamento dei figli. Questa cura del corpo, diventa poi offerta per cercare consensi, per dirsi che tutta quella fatica ha un senso. E così si cade nella promiscuità. Si fa sesso con più ragazzi perché sei più in gamba e più riscuoti successo, più sei ammirata dalle altre amiche.

Sembra che nessuno si preoccupi più di indicare a queste adolescenti ciò che è invisibile agli occhi. Anche le mamme sono vittime della legge dell’omologazione dettata dai media. Le vedi sulla spiaggia mamma e figlia di quattro anni esibire lo stesso costume rigorosamente alla moda, mamma e figlia di tredici anni scambiarsi la sigaretta al tavolino di un bar nell’illusione di costruire una complicità che non fa altro che uccidere quella dimensione di maternità necessaria ad ogni figlio per affrontare la tempesta dell’adolescenza.

In questa latitanza abbiamo bisogno di ripartire dalla capacità di ogni donna di generare vita nuova in ogni ambito della loro vita, da quello domestico a quello professionale, nella società come nella vita ecclesiale. Abbiamo bisogno di riferimenti chiari, precisi, non perfetti ma che non hanno paura di tirare fuori tutti quei doni che strutturalmente appartengono a quello che Giovanni Paolo II chiamava genio femminile. E così davanti ai miei occhi scorrono i volti delle tante donne che sono state e sono i miei fari nella notte.

Proprio ieri sera mentre chiedevo ad una mia amica clarissa, suor Maria Grazia, di accompagnarmi nella preghiera in questo momento molto difficile, lei con una tenerezza tutta femminile mi rispondeva: “ormai sei incastrata tra i grani del mio rosario”. E quante volte affannata mi sono seduta davanti a quella poltrona dove mia nonna trascorreva sempre affaccendata gli ultimi anni della sua vita, e le chiedevo un consiglio dopo un litigio con mio marito e lei mi rispondeva: “adesso asciugati il volto, vai a casa, prepara una bella cena e sorridi quando lui torna”, riportandomi alla mia capacità di fare spazio perché l’altro si senta accolto e rigenerato dalla mia tenerezza?  

Vorrei dar ragione della forza e della tenerezza di queste donne, della determinazione che dimostrano, dell’impegno che maturano, della caparbietà che portano avanti. Vorrei descriverne i silenzi e le lacrime, le ansie e le parole, gli sguardi ed i sospiri. Vorrei narrare le mille e mille storie di donne che lottano e combattono per la giustizia, per un futuro migliore delle generazioni che in loro prendono carne e vita. Dalla prima donna, Eva, all’ultima che sta nascendo ora nella parte più sperduta di questo meraviglioso e avventuroso universo, passando per la donna che, da credente, guardo ed ammiro, prego e contemplo, c’è un mistero grande che non si può ridurre ad un concetto o ad una parola.

Dire donna significa dire amore e tenerezza, accoglienza e dono. Dire donna significa collegare mente e cuore alla bellezza della voce e del tratto, allo sguardo ed al sorriso, alla determinazione e alla forza. Dire donna significa parlare di coraggio, da non ridurre al potere e alla violenza, ma come capacità di trarre dal cuore ciò che gli è proprio. Dire donna vuol dire lavoro ed impegno, sacrificio e silenzio. Dell’universo femminile oggi non si metterà in luce che un tratto, un aspetto, una luce. Ma proprio facendo questo, si dimenticheranno le altre infinite possibilità di cui una donna è portatrice per la capacità sua propria di essere solo e semplicemente donna.

Sì, solo e semplicemente donna, come Maria, la Madre del Signore che nell’ordinario della vita accoglie una parola che la rende donna vera e madre; donna come Caterina da Siena che combatte con la forza della sua presenza in una Chiesa dove gli uomini non riescono ad andare al cuore dei problemi e si perdono nei mille rivoli di questioni oziose; donna come la mia amica Delfina, che da diciassette anni vive con la sua famiglia in una casa di accoglienza, ha cinquantatre anni, quattro figli e ha fatto da mamma a circa trenta bambini in questi anni. Non ha mai fatto un colore ai capelli, non si trucca e ostinatamente si rifiuta di eliminare quei peli superflui che ha sulla bocca. Ma è straordinariamente bella. La sua femminilità esplode in pienezza quando la vedo guardare e sorridere ai suoi figli della Provvidenza. È una donna.




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3 risposte su “E se avessi avuto una figlia femmina?”

Come un pittore riempie con i colori la tela bianca così queste parole esprimono ciò che ogni donna porta nell animo.. grazie di aver dato verbo a ciò che la bellezza della donna è

La cosa più bella di questo articolo è che riesce ad arrivare diritto al cuore… grazie cara Giovanna, sei una perla preziosa

Cara Giovanna,essendo madre di due figli maschi spesso penso anche io la stessa cosa: ” se avessi avuto una figlia femmina…” poi, rammento che la vita non è fatta di “se” e comprendo con grande difficoltà che pur essendo diventata mamma mi manca e mi mancherà sempre questa esperienza unica di condivisione e di complicità che è presente solo nel mondo femminile.Forse sarei stata più consapevole del mio ruolo o maturato una capacità maggiore di relazioni al femminile.
Lo sguardo alle altre donne, madri e anche sante può essere di aiuto per capire, ma, non dimentichiamoci del detto antico che afferma : “alcune esperienze o le fai o non le capisci mai”.
Cosa ci resta? La consapevolezza del limite, storie e volti di donne da scrutare per “rubare” emozioni e comportamenti di una realtà che non è nel nostro vissuto.

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