Essere una famiglia

Il mio Natale presso una comunità di accoglienza

dolci

di Silvia Sanchini

A raccontarsi oggi nella rubrica “Diventare maggiorenni” è Desiree che ha trascorso le sue vacanze di Natale in una comunità di accoglienza. Frammenti di una realtà che non è molto lontana da noi perché è fatta di tanti amici che si mettono in gioco.

Arriva sempre il fatidico momento della domanda di un compagno di classe che ti guarda con occhi curiosi: “Cosa farai per Natale?”. È la stessa sensazione che si prova quando, alle scuole elementari, scatta l’ “ora x” del tema: “Parla della tua famiglia”. In passato mi è capitato di dare le risposte più fantasiose a queste domande. Raccontavo di vacanze sulla neve con la mia famiglia, di cenoni della vigilia a base di ricche portate, di alberi di Natale addobbati insieme ai miei genitori. Da qualche tempo non ho più paura però di raccontare un’altra storia: la storia di chi, le vacanze di Natale, le trascorre in una comunità.

Questo, per noi ragazzi e ragazze in comunità, è un periodo particolarmente strano e delicato. Alcuni ragazzi sono tristi. C’è chi aspetta una telefonata che non arriverà mai, chi ha invece la fortuna di poter tornare a casa qualche giorno, chi farà gli auguri ai suoi genitori lontanissimi attraverso una chiamata con Skype.

C’è chi crede nel Natale, c’è chi non crede in niente, c’è chi professa un’altra religione. Mi è capitato spesso di vedere ragazzi piangere il giorno di Natale o di dover consolare la mia compagna di stanza che non vorrebbe alzarsi dal letto e ascolta la sua musica triste a tutto volume.

Io a Natale in comunità invece mi sento proprio a casa. In salotto addobbiamo un albero grandissimo, pieno di luci e colori, che appena entri in casa già ti mette allegria. C’è Carmen, un’educatrice, che dalla mattina presto si mette ai fornelli e prepara un sacco di piatti squisiti. C’è Ahmed che, anche se è musulmano, ci aiuta a preparare il presepe. Chiara ogni anno ci regala i biscotti alla cannella.

Ci vengono a trovare molti amici per il pranzo di festa della comunità: tutti gli educatori e i coordinatori, le assistenti sociali, i ragazzi che sono stati in comunità prima di noi. Tutti insieme apriamo i regali. Semplici, ma per noi molto preziosi. Lisa, la responsabile, scrive un biglietto personalizzato per ciascuno di noi. Gli educatori ce la mettono tutta per farci respirare un clima di festa.

In questo periodo, più di altri momenti dell’anno, sento gli altri ragazzi e ragazze come dei veri e propri fratelli e sorelle. Ci facciamo forza a vicenda, abbiamo più tempo da trascorrere insieme. Non mancano momenti difficili: quando penso ai miei genitori che si trovano in carcere o se mi immagino i miei compagni di scuola che in questo periodo non hanno altri problemi e pensieri se non quello di decidere cosa fare a Capodanno.

Ma in questi cinque anni trascorsi in comunità ho capito che anche questa può, a suo modo, essere una famiglia. E queste feste non vorrei trascorrerle in nessun altro modo che questo: con le persone che la vita mi ha messo accanto in questo momento.




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