di Silvia Sanchini

“Il futuro che cambia è una somma di piccole cose”

Silvia nel suo blog ci racconta la storia di Alessandra, cresciuta da sola con una madre che non la accudiva. Da piccola si vergognava anche solo di invitare un’amica per la merenda. In comunità scopre di riuscire a studiare, la sua passione. Si laurea e anche la mamma cambia vita.

La chiamano resilienza. Per me si tratta di coraggio, tenacia, fiducia. E, soprattutto, motivazione. Una forza interiore che ti trascina nella giusta direzione. Un desiderio di riscatto e rivincita. Non so come sia possibile, ma in comunità mi era più facile studiare che a casa, anche se mi giravano intorno altri 8 ragazzini e altrettanti educatori.

A casa era tutto difficile. La mamma, le sue crisi, il disordine. A volte si dimenticava anche di prepararmi da mangiare. Ho sempre pensato che una mamma dovesse essere per eccellenza la persona capace di prendersi cura degli altri, e naturalmente dei propri figli. Mia mamma non era così, non sapeva prendersi cura neanche di se stessa. E questo mi faceva rabbia e paura allo stesso tempo.

Eravamo solo io e lei, non sapevo a chi o cosa aggrapparmi.

Sono cresciuta con tante insicurezze, sentendomi diversa da tutte le mie amiche, vergognandomi anche solo di invitarle a casa nostra per una merenda.

Solo in una cosa riuscivo bene: studiare.

Mi piaceva leggere, scrivere, inventare storie…era la mia valvola di sfogo. Il mio mondo felice e ancora incontaminato. In comunità mi incoraggiavano in questo.

E finito il mio percorso insieme a loro, a 19 anni, è successa una cosa che mai mi sarei immaginata: ho deciso di iscrivermi all’Università.

Ero sicura che non ce l’avrei fatta, che non ne sarei stata all’altezza, ma ho sentito dentro di me la spinta giusta per provare. Mi aveva insinuato il dubbio il responsabile della comunità, un giorno, con una domanda a bruciapelo: “Perché non ci provi?”. Il pomeriggio lo passavo chiusa in biblioteca a studiare, tornavo a casa la sera. Anche mia mamma, che dopo tanti anni di terapia stava un po’meglio, mi incoraggiava. Grazie all’assistente sociale aveva trovato un piccolo lavoro, faceva le pulizie in un ufficio.

Avevo un pensiero ricorrente: dimostrare che essere stata in comunità non era uno stigma, che avere avuto un passato difficile non significava che il mio futuro fosse altrettanto cupo. Ero stanca di sentirmi dire “poverina”, volevo che le persone cominciassero a vedermi come una ragazza uguale a tutti gli altri, con le stesse identiche possibilità. Non per cancellare le mie ferite, ma perché tutti si meritano una seconda opportunità. Volevo fare finalmente delle scelte giuste per me. Due anni fa mi sono laureata. Quel giorno c’erano tutti: gli educatori della comunità, i miei amici, mia madre.

Penso che sia stato il giorno più bello della mia vita.

“Il futuro che cambia è una somma di piccole cose”, canta Niccolò Fabi, il mio cantante preferito.

Sì, forse è questa, semplicemente, resilienza.




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