IV Domenica del Tempo Ordinario - A - 29 gennaio 2017

Ripensiamo i nostri tempi di ascolto a livello personale, familiare e di coppia

tempo riflessione

di fra Vincenzo Ippolito

Come per i discepoli è stato necessario allontanarsi e lasciarsi sedurre dalla parola del Maestro, così anche noi dobbiamo seguirlo, accostarci a Lui, non solo confondendoci con le folle quando Egli insegna al popolo, ma seguendolo nel segreto perché il silenzio apra il nostro cuore all’ascolto e al confronto con Lui senza la paura di essere giudicati, senza la fretta di avere tante cose da fare.

Dal Vangelo secondo Matteo (5,1-12)
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».

Gesù è il Regno di Dio, la sua vicinanza determina la nostra conversione, la sua chiamata il nostro cammino di sequela. Le immagini evangeliche della scorsa domenica, meditando Mt 4,12-22, scorrono ancora dinanzi ai nostri occhi e l’incedere di Cristo nel venirci incontro lungo il mare della vita è il tratto più bello di Dio che è l’Emmanuele, con e per noi sempre.

Oggi, saltando alcuni versetti (cf. Mt 4,23-25), entriamo nel vivo della predicazione di Gesù, leggendo e meditando il brano evangelico delle beatitudini, a buon diritto considerato la charta magna della vita cristiana. Dal Regno alla logica del Regno: è questo il passaggio che ci attende. Se, infatti, Gesù è il Regno di Dio in mezzo a noi, il suo pensare ed agire rappresenta la logica del Regno e tutta la sua vita è normativa per il discepolo perché “Chi dice di dimorare in Cristo, deve comportarsi come lui si è comportato” (1Gv 2,6). Facendo nostro il monito di Paolo ai Filippesi – “Abbiate in voi gli stesi sentimenti che furono in Cristo Gesù” Fil 2,5 – entriamo nel mistero della vita del Signore, chiedendo che il suo Spirito ci doni di partecipare alla pienezza della sua grazia e della sua gioia.

Vedere gli altri con gli occhi del cuore

Primo dei cinque discorsi che Gesù dona ai discepoli durante la sua vita pubblica, i dodici versetti che costituiscono il brano liturgico odierno sono l’inizio del cosiddetto “discorso della montagna” (cf. Mt 5-7), una raccolta di vari insegnamenti, con molta probabilità pronunciati dal Maestro in occasioni diverse. L’unità dei tre capitoli è data dalla figura di Gesù, seduto in cattedra, al pari di Mosè, nel gesto solenne di insegnare ai discepoli e alle folle il pieno compimento della legge antica. Quel suo: “Avete inteso che fu detto, ma io vi dico …” (Mt 5,21) rappresenta proprio l’annuncio definitivo della salvezza e la realizzazione della nuova ed eterna alleanza che Dio vuole stipulare con il suo popolo, attraverso il suo Figlio.

In primo luogo, Gesù vede le folle e sale sul monte (v. 1). Si tratta di due azioni che, conseguenziali nel testo greco, mostrano come a determinare l’insegnamento del Maestro sia la gente che lo ricerca, desiderando ascoltare la sua parola e guarire da ogni malattia ed infermità. Il cuore del Signore è sempre proteso alle necessità dei suoi. In Lui c’è lo sguardo del Dio dell’esodo che vede la durezza della schiavitù d’Israele ed interviene per liberare i suoi eletti. Come un giorno il Nazareno “vedendo le folle, ne sentì compassione” (Mt 9,36), così ora Egli guarda in profondità il desiderio di quella gente, entra misteriosamente in empatia con loro, ne assume i disagi e le preoccupazioni, si carica del loro anelito di salvezza e di liberazione dal male. Le azioni del Maestro non sono slegate dal contesto in cui si trova, disancorate dalla storia, anzi, tutt’altro. Incontrando l’uomo, Gesù entra, con la potenza del suo amore a cui nulla è impossibile, in ogni cuore e cerca di consolare e risollevare, nell’abisso di compassione che dentro lo muove. E se l’Apostolo potrà scrivere che “l’amore di Cristo ci spinge” (2Cor 5,14), quanto più Cristo stesso sarà spinto dall’amore in ciò che opera, perché ogni uomo sperimenti la gioia di sapersi amato da Dio che è suo Padre.

Noi abbiamo lo sguardo miope, ci lasciamo facilmente frenare nel mirare l’orizzonte della vita nostra ed altrui, non così Gesù. Egli guarda lontano, lontano ed in profondità. Dinanzi a Lui siamo un libro aperto ed Egli non ci scruta, né ci giudica, ma ci guarda con lo stupore di chi ama, la compassione di chi si strugge di tenerezza, il desiderio di chi tiene a cuore la nostra vera gioia. La forza del salire di Gesù sul monte è in ciò che, attraverso i suoi occhi, si è impresso nel suo animo. Quella folla per Lui non è anonima. Gesù sa leggere l’anelito del cuore di ognuno perché è il buon Pastore, conosce le pecore una per una, le chiama per nome e le conduce fuori (cf. Gv 10). Il suo occhio “scruta le menti e saggia i cuori” perché ciò che muove il suo sguardo è l’amore, la compassione, la potenza della misericordia perché l’amore vero mi spinge a conoscere dell’altro le parole non dette ed i pensieri celati. L’amore è la forza che dell’altro mi fa scoprire ogni cosa. Se gli occhi non sono permeati d’amore io guarderò nell’altro, ricercandolo, ciò di cui avrò bisogno, non quanto egli necessità per avere la vita in pienezza. Se non sono spinto verso l’altro/a dal desiderio di donarmi e di farmi suo prossimo, come Gesù, buon samaritano dell’umanità, la mia vita sarà arsa non dal fuoco di Dio, ma dalla fiamma dell’egoismo, la stessa che divora nel regno delle ombre i dannati. Gli occhi sono le finestre dell’anima, ma più sono segno di un cuore puro, maggiormente permetteranno all’altro di entrare e di prendere dimora nel proprio cuore. Solo chi guarda con gli occhi del cuore, lascia che l’altro gli si imprima dentro, nella gioia della sua vita e ancor di più nella difficoltà della sua giornata. Come i chiodi trapasseranno le membra del Cristo ingiustamente condannato, facendo divenire il suo corpo martoriato una sola cosa con la croce, così ora quei volti, quelle voci, le loro mani tese per richiedere aiuto si imprimono profondamente in Gesù, nel suo animo, unendosi alla certezza che abita il suo cuore di Figlio, al suo desiderio di obbedire al Padre per essere con Lui una sola cosa.

Cosa guardano i miei occhi dell’altro/a? Sono superficiale, fermandomi alle sue risposte fugaci oppure entro nel silenzio della persona che amo, nei suoi pensieri, interpretando i moti del suo cuore? Mi accorgo delle sue inquietudini, dei momenti di gioia oppure tutti i nostri giorni sono avvolti dal grigiore della monotonia? Intendo la sofferenza e la ricerca di comprensione che, nei modi più diversi, lei/lui mi lancia con i suoi sguardi? C’è sempre qualcosa più importante di noi, del tempo che vorremmo trascorrere insieme? Come guardiamo i nostri figli, con l’attenzione di chi custodisce o la preoccupazione di chi tutto vuol gestire?

Ogni decisione parte dal cuore

Gesù guarda le folle e sale sul monte, Matteo non lo specifica, ma è chiaro che quel suo gesto è frutto di una determinazione, di una volontà. Cristo legge nello sguardo della folla ciò di cui ha bisogno e trascina tutti verso un luogo in disparte per renderli partecipi del mistero del Padre. Egli vede, discerne, sceglie e poi opera. Nessuna superficialità in Cristo. Egli sa bene ciò che vuole perché la capacità di discernimento lo guida, il desiderio di donare salvezza lo motiva, la volontà di rivelare il Padre come sorgente dell’amore lo sostiene. Nel cuore di Gesù avviene l’incontro tra la volontà del Padre marcata a fuoco dallo Spirito nel battesimo e nella lotta del deserto e il desiderio di salvezza che le folle imprimono nell’animo del Signore, mosso a guardarle con compassione. È lì, nel suo cuore, che avviene la legatura tra ciò che Dio vuole e quanto gli uomini necessitano; è lì, nel suo cuore che si originano le scelte del Cristo, proteso a realizzare nella storia la salvezza che sta nel riflettere quanto nel suo animo si imprime. Gesù salva l’uomo quando partecipa al cuore del discepolo il desiderio del proprio cuore di lasciarsi marcare a fuoco dallo Spirito di Cristo: Gesù salva l’uomo perché opera nella storia l’unità tra la volontà di Dio Padre e le necessità degli uomini, impresse nel suo animo. Il programma della vita di Gesù è tutta nel suo cuore, in quell’incontro che lì avviene tra l’amore il Padre vi infonde e ciò che dell’uomo Gesù lascia si imprima.

È nel cuore che ogni decisione viene presa. La scelta, ogni scelta, piccola o grande che sia deve essere la sintesi tra ciò che il Padre fa comprendere e quanto è giusto compiere. In Gesù le decisioni non sono il frutto della ricerca del proprio tornaconto perché nel discernere cerca il bene che sta nel compiere ciò che al Padre piace. In ascolto di Lui che gli fa comprendere la sua volontà nella storia – anche la cattura del Battezzatore era stata per Gesù segno della volontà divina di iniziare la propria missione – si sceglie sul serio quando non si guarda a se stessi, ma a ciò di cui gli altri hanno bisogno. Il salire di Gesù sul monte risponde, quindi, alla sua volontà di essere per le folli Maestro e Signore, il nuovo e vero Legislatore che non vuole ingraziarsi la gente, come il demonio gli aveva indicato nel deserto (cf. Mt 4,1-11), soddisfacendo ogni richiesta, pur se sbagliata, che le folle presentano. Il Dio di Gesù Cristo non è un tappabuchi – l’espressione è di Dietrich Bonhoeffer, pastore luterano, morto in un campo di concentramento nazista nel 1945 – perché risponde alle attese profonde dell’uomo, alle quali spesso non sembra che neppure lui dia seguito. Come una madre ascolta quanto che il suo bambino chiede, ma discerne ciò che deve esaudire perché non tutte le richieste, pur se buone, non sono sempre legittime. Così anche Cristo, sceglie di assecondare le nostre richieste, non esaudendo superficialmente i nostri bisogni, ma andando al cuore delle nostre reali necessità. Non volge la sua attenzione al momentaneo, ma risale alle cause delle nostre situazioni di dolore e di sofferenza e immette nel tessuto della nostra storia l’amore del Padre, la relazione figliale con Lui che assicura la certezza di non essere soli e di sapersi sempre accompagnati dal Signore, in ogni momento della vita.

È così difficile imparare da Gesù a scegliere, guardando negli occhi le persone che amiamo? Egli sale sul monte, senza cadere nella tentazione di assecondare le richieste superficiali della folla ed io, noi nell’educare i nostri figli come ci comportiamo? Esiste un linguaggio, quello dell’amore che non ha bisogno di parole, lo usiamo nella relazione di coppia o facciamo finta di non capire quello che l’altro non riesce a dire per vergogna o per viltà? Ci sono momenti in cui lo sguardo dell’altro chiede attenzione, intimità, cura, tenerezza e custodia e noi rispondiamo con superficialità, presi da tante cose? Perché non riusciamo, talvolta, a ritagliarci dei tempi e degli spazi per vivere come coppia e come famiglia la gioia dello stare insieme e la spensieratezza di sentirsi amati, sempre al primo posto nella vita dell’altro?

La grazia dell’intimità

Gesù – nella struttura teologica del Vangelo di Matteo, diversa da quella di Luca che presenta un discorso analogo non sul monte, ma in pianura (cf. Lc 6,17-49) – sale sul monte come il nuovo Mosè che recherà al popolo le tavole della nuova legge. Nel gesto di Cristo vediamo il suo desiderio di condurre i suoi in un luogo appartato – così accadrà sul monte della Trasfigurazione con Pietro, Giacomo e Giovanni (cf. Mt 17,1-8) – per entrare nell’intimità con il Padre. Se il popolo d’Israele, uscito dall’Egitto, ebbe paura di avvicinarsi al Sinai e demandò a Mosè il compito di entrare in relazione con Dio, ascoltando la sua voce di tuono, ora, invece, con Cristo tutti sono invitati a salire nel luogo dove il Padre rivela la sua volontà attraverso il suo diletto Figlio. Ogni uomo è chiamato ad avvicinarsi con fiducia a Cristo per contemplare in Lui la definitiva rivelazione di Dio. Gesù è insieme il mediatore e la pienezza della rivelazione perché Dio non fa conoscere delle cose su di Lui, ma se stesso e il mistero della sua volontà (cf. Costituzione dogmatica sulla divina Rivelazione, Dei Verbum 2) e, facendolo conoscere, lo dona come partecipazione alla sua natura divina. Gesù sale, capofila di una cordata che valica i secoli e giunge fino a noi, perché è Lui a tracciarci la strada verso il Padre, chiamandoci a calcare le sue orme, perché senza di Lui non si cammina nella luce e la gioia resta una meta desiderata, mai raggiunta.

Giunto sul monte, Gesù si siede, per attendere chi è disposto ad ascoltarlo e a lasciarsi istruire da Lui. Nel primo versetto i quattro verbi – vedendo, salì, sedutosi, si avvicinarono – ben dimostrano come l’azione dell’uomo sia una risposta all’iniziativa del Maestro perché l’avvicinarsi dei discepoli è la conseguenza della possibilità offerta da Gesù di salire con Lui per essere ammaestrati. Egli esercita sui discepoli una straordinaria forza di attrazione perché dalle sue labbra sgorga la parola di vita. Cristo ci vuole con sé come Lui è con il Padre. Solo lontano dal frastuono e dal chiasso può parlarci dei misteri del Regno. Conducendo i discepoli in un luogo isolato – lo farà più volte durante i tre anni di predicazione e di vita condivisa con loro – gli parteciperà la bellezza della vita solitaria vissuta nella ricerca del Padre, la gioia della contemplazione del suo volto di luce, l’ascolto di Dio lì dove nulla e nessuno potranno distrarre la nostra attenzione, rubare dal cuore il seme buono o spargere zizzania nel campo che Dio coltiva con amorevole cura.

Dobbiamo ripensare i nostri tempi di ascolto a livello personale, familiare e di coppia, perché abbiamo bisogno di ritagliarci momenti e cercare luoghi perché la parola del Signore si sedimenti nel nostro cuore e inizi a germinare. Come per i discepoli è stato necessario allontanarsi e lasciarsi sedurre dalla parola del Maestro, così anche noi dobbiamo seguirlo, accostarci a Lui, non solo confondendoci con le folle quando Egli insegna al popolo, ma seguendolo nel segreto perché il silenzio apra il nostro cuore all’ascolto e al confronto con Lui senza la paura di essere giudicati, senza la fretta di avere tante cose da fare. Prendersi tempo non è solo necessario nel rapporto con Cristo, ma anche nel rapporto di coppia, non si può sempre e solo scappare perché ci sono mille cose da fare per sé e per i figli. Dobbiamo saper vivere la domenica come il giorno del Signore e della nostra famiglia, nel quale dare spazio a noi e alla nostra crescita, non ingolfando il tempo che Dio ci offre, per stare insieme e goderci la bellezza della vita che il Signore ci elargisce. Darsi tempo è quello che bisogna insegnare ai figli, insegnare ad avere dei luoghi per ristorare il cuore, per parlare ad un amico, per dialogare con Dio. Non c’è cosa più brutta di zittire l’altro/a quando sta per parlare o smontare le sue speranze quando ci chiede attenzione, tempo, cura, spazi condivisi lontani dai più per godere l’amore che il Signore mette nel cuore. Gesù ci insegna la cura dell’interiorità, la custodia dell’intimità, la gioia del parlare cuore a cuore, sapendo di donare all’altro, nelle parole, la propria vita.

Riusciamo a ritagliarci tempi e spazi per stare insieme, per pregare e godere della gioia della presenza dell’altro/a? Il silenzio non solo guarisce dal frastuono del mondo che ci impedisce di pensare con la nostra testa, ma è la possibilità che doniamo a noi stessi pe riprendere in mano le redini della nostra vita. Quale cura abbiamo del silenzio? Ci sono dei momenti in cui ci basta lo sguardo dell’altro, la tenerezza di un abbraccio, la gioia di ascoltarlo senza che nessuno ci distolga? Poniamo dei momenti, scegliamo dei luoghi come coppia e come famiglia per pregare, vivere il sacramento della Riconciliazione, ci dedichiamo più a noi, senza farci distrarre da altre cose? La domenica è il tempo per noi o il giorno in cui recuperiamo quello che non siamo riusciti a fare durante la settimana?

La tavola della nuova legge è il cuore di Gesù

Se paragoniamo la pagina evangelica odierna alle descrizioni dell’Antico Testamento sul dono del Decalogo, ci renderemo conto che Gesù, a differenza dell’antico patriarca, non reca tra le mani nessuna tavola di pietra, con sopra incise le parole scritte dal dito di Dio. Questo non significa che la legislazione offerta da Cristo sia un insegnamento orale, portata lontano dal vento, se il cuore del discepolo non è pronto a custodirlo gelosamente. Di altra fattura, invece, è la pietra ben intagliata dove i discepoli possono leggere ed apprendere la via della gioia. A differenza di Mosè, infatti, Gesù è mediatore e legislatore al tempo stesso, ma nulla stringe tra le mani perché la sua vita è il rotolo su cui è scritta la nuova legge, il suo cuore è il libro del compimento di ogni norma antica. È la persona di Gesù la nuova e definitiva Thorà, di cui le antiche prescrizioni erano solo un presagio, una sbiadita figura. Ma ora “Le cose vecchie sono passate, ne sono giunte di nuove” (2Cor 5,17) perché Gesù, con le beatitudini, fa l’esegesi della sua vita, orienta l’attenzione dei discepoli verso di Lui perché è Lui la norma a cui obbedire, è Lui la legge da accogliere per avere la luce della vita. Il Maestro non apre il libro di Mosè come gli scribi e i farisei per trovarvi risposte e indicazioni concrete, ma spalanca il suo cuore perché sviscera la volontà del Padre che Egli vive, quella che ha vissuto e che vivrà, per donare ai discepoli parole di luce. Difatti, il cuore di Gesù è la tavola della legge nuova, nella viva carne del Figlio di Maria, il dito di Dio ha scritto la logica del Regno. Il discepolo deve guardare verso di Lui. Le tavole del Decalogo erano solo figura del cuore del Signore, della sua vita dove lo Spirito, giorno dopo giorno, ha marcato a fuoco la certezza dell’amore del Padre, le indicazioni essenziali per ricomporre la disobbedienza dei progenitori ed ottenere la vita senza fine.

Gesù è la nostra unica legge, la sua vita è normativa per il credente che deve chiedersi non “Cosa comanda la legge di Mosè?”, ma “Cosa avrebbe fatto Gesù al mio posto?”. La sequela, infatti, non è una imitazione esteriore del comportamento di Gesù, ma un cammino progressivo di assimilazione della dinamica del suo pensare e della logica interna del suo agire. Le beatitudini non sono un codice di comportamento, ma la descrizione delle situazioni umane che, nella sua vita terrena, Gesù ha fatto proprie, vivificandole con la forza del suo Spirito e vivendole nella relazione filiale con il Padre. Le beatitudini non sono il primato della morale, ma dell’amore che orienta diversamente l’esistenza, perché Dio è tutto ed ogni situazione è vissuta senza uscire dall’orizzonte della sua volontà. Avere nell’orizzonte della propria storia Dio e la forza del suo Spirito, è il segreto per essere come Gesù, testimoni della gioia che nessuno potrà mai rubare.

Gesù è tutto per noi

Le beatitudini sono l’esegesi della vita del Signore, spiegano i sentimenti che abitano nel cuore di Cristo e conducono il discepolo a scelte simili al Maestro. Ciò che Egli ha fatto nella sua vita è contenuto nelle otto situazioni che l’Evangelista dona per insegnarci a guardare a Lui sempre, prendendo sopra di noi il suo gioco ed imparando ad avere ristoro e pace da Lui “mite ed umile di cuore”. Frutti dello Spirito, le beatitudini divengono la vita di Cristo in noi. Quando ci lasciamo guidare da Gesù, quando il suo Spirito ci abita e, per la forza della fede, ci conduce a scelte coraggiose, possiamo dire che il nostro vivere è Cristo. Egli è la beatitudine del Padre, accoglierla è un gioco da bambini dal momento che “a chi è come loro appartiene il Regno dei cieli”.

 




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