Anfaa

Cosa ha spinto quella donna a Trieste ad abbandonare per strada la sua neonata?

di Donata Nova e Frida Tonizzo

Un’altra neonata trovata abbandonata per strada. L’appello dell’Anfaa: “Non lasciamo sole le gestanti in gravi difficoltà. Preveniamo gli abbandoni e gli infanticidi”.

Nei giorni scorsi una bambina appena nata è stata trovata abbandonata per strada. Inutili i soccorsi e la corsa in ospedale: la piccola è deceduta subito dopo il ricovero. Non è uno dei tanti casi di ordinaria amministrazione dei Paesi poveri nel mondo. Succede a Trieste, in seno ad una famiglia normalissima e in un quartiere come tanti altri. Di fronte a questi drammatici avvenimenti di cronaca restiamo annichiliti, ma il giusto moto di condanna che sorge spontaneo nei confronti di chi ha compiuto questo tragico gesto, viene accompagnato da un sentimento di dolore e di compassione. Cosa può aver spinto una donna (peraltro giovanissima) a un’azione del genere, se non la solitudine e la profonda disperazione?

Casi come questi mettono in discussione tutte le parti in gioco, a iniziare dai mezzi di comunicazione. È facile stigmatizzare l’accaduto, bisogna invece diffondere una corretta informazione sulle possibilità concesse dalla legge alle donne che, per una serie di ragioni, non possono allevare i propri figli. Forse non tutti sanno che in Italia le donne, sposate o meno, ivi comprese le extracomunitarie senza permesso di soggiorno, che non intendono riconoscere il proprio nato, hanno diritto a partorire in assoluta segretezza negli ospedali e nelle strutture sanitarie garantendo, in tal modo, a se stesse e al neonato, la necessaria assistenza e le opportune cure.

Nel caso in cui non sia stato effettuato il riconoscimento, l’atto di nascita del bambino è redatto con la dizione: “Nato da donna che non consente di essere nominata”. L’ufficiale di stato civile, dopo aver attribuito un nome e un cognome al bambino, procede entro dieci giorni alla segnalazione al Tribunale per i Minorenni ai fini della dichiarazione di adottabilità ai sensi della legge 184/1983.

In tal modo, a pochi giorni dalla nascita, il piccolo viene subito inserito in una famiglia adottiva, individuata dal Tribunale per i Minorenni, fra quelle che hanno presentato domanda di adozione al Tribunale stesso.

Sono circa 300 all’anno i neonati non riconosciuti che, grazie a queste disposizioni, vengono adottati. Va, peraltro, segnalata una progressiva diminuzione dei neonati non riconosciuti dichiarati adottabili.

Su richiesta della partoriente, che non ha ancora deciso in merito al riconoscimento del proprio nato, il Tribunale per i Minorenni può anche disporre la sospensione della dichiarazione di adottabilità per un periodo massimo di due mesi. Per le infrasedicenni sono previste proroghe ulteriori.

È importante, inoltre, che le istituzioni competenti svolgano adeguatamente i loro compiti per garantire il sostegno adeguato alle donne in grave difficoltà. Psicologi, assistenti sociali, educatori, ecc, devono aiutare le gestanti prima, durante e dopo il parto, accompagnandole a decidere responsabilmente sulla possibilità di riconoscere o meno il proprio nato.

Al fine di tutelare pienamente i diritti di queste donne, un’ottima iniziativa è stata assunta dalla Regione Piemonte. In Piemonte, infatti, la Regione, con la legge n. 16/2006, ha trasferito a quattro Enti Gestori (Comuni di Torino e di Novara, Consorzi dei servizi socio-assistenziali dell’Alessandrino e del Cuneese) le competenze relative agli interventi socio-assistenziali riguardanti: “Le gestanti che necessitano di specifici sostegni in ordine al riconoscimento o non riconoscimento dei loro nati e al segreto del parto – interventi che – sono erogati su richiesta delle donne interessate e senza ulteriore formalità, indipendentemente dalla loro residenza anagrafica”.

Riteniamo invece negativo, come sempre più spesso avviene a seguito di questi tristissimi avvenimenti, tornare a sollecitare l’attivazione di culle/ruote termiche.

Questo tipo di misure oltre a deresponsabilizzare le istituzioni, rischiano di incentivare i parti in ambienti non idonei, privi della più elementare assistenza sanitaria, con gravi pericoli per la salute e per la sopravvivenza della donna e del neonato stesso. Inoltre le culle/ruote che nell’intenzione dei loro promotori, avrebbero dovuto rappresentare un valido intervento per contrastare l’abbandono dei neonati, si sono rivelate inefficaci a realizzare questo obiettivo, in quanto rarissimi sono stati i neonati lasciati in queste culle nel corso degli anni.

Per scongiurare altri drammatici abbandoni e/o infanticidi l’Anfaa (Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie)  ritiene indispensabile che al più presto il Ministero della Salute, d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni assuma le necessarie iniziative per la piena attuazione della normativa vigente in materia di tutela del diritto alla segretezza del parto. È necessario inoltre promuovere campagne informative al riguardo e attivare tavoli di lavoro multidisciplinari che vedano la partecipazione di tutti gli attori coinvolti: Amministrazioni regionali e comunali, Autorità giudiziarie, Operatori sanitari e sociali, nonché le Associazioni di volontariato impegnate nel settore al fine di individuare e realizzare percorsi condivisi.




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