CORRISPONDENZA FAMILIARE

di don Silvio Longobardi

Un fiore di speranza tra le macerie di Amatrice

22 Maggio 2017

Peregrinatio ad Amatrice

Una breve sosta della peregrinatio ad Amatrice. Scrive don Silvio oggi nel suo blog: “Tra le persone che hanno accolto in chiesa le Sante Reliquie c’era anche una giovane che il prossimo 3 giugno celebra le nozze. Ha perso il lavoro ma non la voglia di vivere. Abita in una frazione di Amatrice ma è voluta venire proprio per consegnare il suo matrimonio ai Santi genitori di Teresina”. Questa storia è come un fiore di speranza che germoglia nella terra irrigata dal dolore.

Cari amici,

oggi vi racconto l’esperienza che abbiamo fatto ad Amatrice, una delle molte tappe di questa lunga peregrinatio ma al tempo stesso unica. Siamo arrivati nel piccolo paesino, nascosto tra i monti, al confine di Lazio, Abruzzo e Umbria. Un borgo che custodisce una tradizione antica di arte e di humanitas ma oggi conosciuto ovunque a causa del terremoto che il 24 agosto 2016 lo ha completamente distrutto. Non potevamo non passare per questo luogo che oggi si presenta come un vero Santuario del dolore.

Ci accoglie don Savino, classe 1947, parroco da nove anni. È un religioso, fa parte della Famiglia dei discepoli, un Istituto religioso fondato nella prima metà del Novecento da padre Giovanni Minozzi, originario di Petra, una frazione di Amatrice. Il suo parlare è schietto, parla di una carità straordinaria ma accenna anche a coloro che si sono arricchiti. Nelle sue parole non c’è alcuna denuncia rancorosa, i suoi occhi sono illuminati dalla speranza. “A nessuno è mancato il cibo, ancora oggi la Protezione Civile garantisce i pasti quotidiani. Ma tutto questo non basta. Ci sono persone che hanno perso tutto, anche la speranza. Non hanno solo bisogno di una casa nuova ma di ritrovare la gioia di vivere. Che dire a quell’uomo che ha visto morire la moglie e il figlio ed oggi vive nella più angosciosa solitudine e si domanda perché lui è ancora lì e a che serve la sua vita?”. Una delle tante storie che riemerge tra le macerie. Don Savino non conosce sosta. È degno figlio di quel padre Minozzi che proprio nella sua terra ha voluto costruire la prima Casa di accoglienza di una vasta rete di solidarietà che ha seminato in tutto il Mezzogiorno d’Italia. “Quando ha iniziato non aveva nulla tra le mani ma aveva un cuore pieno di fede e perciò capace di sognare. È di questo che anche noi abbiamo bisogno”.

Siamo arrivati nel tardo pomeriggio di una giornata riscaldata dal sole. Nella piccola chiesa, un prefabbricato inaugurato a fine novembre, c’era solo un piccolo gruppo di fedeli. Don Savino spiega, come a giustificare la scarsa presenza, che Amatrice era un paese di 2mila abitanti raccolti in una miriade di frazioni. Attorno al borgo centrale, che contava 900 persone, si trovavano (l’imperfetto è d’obbligo) 70 frazioni. Una frammentazione che già prima rendeva difficile gli incontri comuni. A causa dei crolli oggi è ancora più difficile ritrovarsi tutti insieme. Con lui e il vice-parroco ci sono due suore, appartenenti alle Ancelle del Signore, il ramo femminile dell’opera fondata da padre Minozzi. Entrambe sono scampate al terremoto, e non sanno ancora come e perché sono ancora vive. Una di loro dice con candore che quella sera del 24 agosto era così stanca che neppure si è accorta del terremoto, quando si è svegliata si è trovata sotto il cielo e sopra le macerie. Non sa dire che cosa è davvero successo. L’altra si è svegliata sotto le macerie, a parte un braccio, stava bene ma non poteva muoversi, non vedeva alcuna via d’uscita. Sentiva tutto ma non poteva parlare perché l’aria era irrespirabile a causa dei calcinacci. Attendeva la morte, pregando. E invece sono arrivati i soccorritori. Ed ora è lì per testimoniare … ma lo dice con pudore, come per non offendere la memoria di tutte quelle altre persone che sono morte sotto quelle macerie.

Abbiamo recitato il Rosario e subito dopo abbiamo celebrato la Messa dei Santi Luigi e Zelia. Il Vangelo di Cana (Gv 2, 1-11) ha un sapore tutto particolare in questa terra e in questo particolare momento di dolore. “Non hanno vino”, dice la Vergine Maria che, accortasi del disagio, interviene con discrezione, senza farsi notare. Si rivolge a Gesù, chiama in causa Colui che è venuto proprio per liberare l’umanità dalla paura e restituire l’uomo a se stesso. Dove c’è una croce, dove c’è un disagio possiamo essere certi di trovare anche Maria, la Madre di Gesù.

Alla sua materna intercessione affidiamo questa terra e queste famiglie, lo facciamo con la stessa ingenua fiducia di Luigi e Zelia che hanno attraversato molte prove – e anche la dolorosa esperienza della guerra – senza mai perdere la fiducia in Dio. Scrive Zelia:  “Mia sorella mi ha raccontato cose che fanno sanguinare il cuore; i poveri malati muoiono a migliaia. Soltanto all’Ospizio di Le Mans se ne seppelliscono quasi ottanta al giorno e vi sono ambulanze dappertutto” (LF 63, 30 dicembre 1870).

Prima di ripartire, don Savino ha eletto i santi Luigi e Zelia a patroni delle famiglie della sua parrocchia, ha affidato ai Santi Coniugi, i giovani che si preparano al matrimonio e le famiglie che camminano con fatica. Tra le persone che hanno accolto in chiesa le Sante reliquie c’era anche una giovane che il prossimo 3 giugno celebra le nozze. Ha perso il lavoro ma non la voglia di vivere. Abita in una frazione di Amatrice ma è voluta venire proprio per consegnare il suo matrimonio ai Santi genitori di Teresina. La sua storia è come un fiore di speranza che germoglia nella terra irrigata dal dolore. Abbiamo consegnato al parroco un segno della nostra concreta condivisione, raccolta attraverso le tappe precedenti della peregrinatio. “Tornate di nuovo”, ci dicono prima della partenza. L’ultimo sguardo a quel grande edificio costruito da padre Minozzi e inaugurato nel 1919 che ha dato accoglienza a tante generazioni di orfani. Oggi appare completamente distrutto ma sono certo che risorgerà.

Vi scrivo da Ars, la città del Santo Curato, ultima tappa della nostra lunga peregrinatio. Questa sera saremo a Lisieux e domani consegneremo il Reliquiario. Ringrazio tutti e ciascuno per la preghiera con cui avete accompagnato questa esperienza. Il Signore vi doni pace e gioia.

Don Silvio




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