XIV Domenica del Tempo Ordinario - Anno A - 9 luglio 2017

Gesù ci insegna a rifugiarci nel cuore del Padre

coppia

di fra Vincenzo Ippolito

Se nella nostra vita c’è posto solo per noi stessi, non riusciremo né a pregare e neppure saremo in grado di vivere le nostre relazioni all’insegna della lealtà e della bellezza. Come Dio non si rivela a coloro che credono di bastare a se stessi, così, nel rapporto di coppia, se non si crea un clima di umile accoglienza, non si cresce nella relazione e il rapporto non è rivelativo.

Dal Vangelo secondo Matteo 11,25-30
In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

 

La liturgia della Parola della XIV Domenica del Tempo Ordinario ci offre una pagina evangelica di una straordinaria ed inusuale profondità. Siamo abituati a leggere brani della vita di Gesù che narrano incontri e dispute, miracoli e guarigioni, insegnamenti e conversioni. Alcune volte, rare nei Sinottici – non così nel Vangelo secondo Giovanni – siamo invitati ad entrare nella vita segreta di Cristo, nel mistero della sua divina identità. Sono questi, potremmo dire, i Vangeli del Cuore di Gesù, pericopi che descrivono gli intimi moti del Signore, i pensieri che lo abitano, i sentimenti che lo muovono. Si tratta di brani che, superando il primo stadio – ciò che Cristo compie – come anche il secondo – quanto il Salvatore dice – ci conducono nella stanza interna dell’animo del Signore, nel suo cuore, dove ogni sua parola è generata, ogni sentimento suo nasce e muove i primi passi. Con la pagina evangelica odierna siamo attratti a penetrare lì dove il Padre pone la sua compiacenza, nella sorgente profonda della vita del Signore che arde dal desiderio di ristorare il nostro cuore alla fonte cristallina della sua grazia, immergendosi nel mare della divina misericordia che lava i nostri peccati e ci rende immacolati e santi al cospetto del Padre. Perché non lasciarsi attrarre da Cristo? Perché non eliminare ogni impedimento nell’andare da Lui? È così difficile lasciare che il suo amore ci seduca e la sua voce ci spinga a gustare il favo stillante del suo Cuore che contiene ogni dolcezza?

Nel cuore del Signore

Passare dal Vangelo della scorsa domenica (cf. Mt 10,37-42) a quello odierno (cf. Mt 11,25-30) è simile al cambiamento che avvertiamo quando dal caos di una folla ci trasferiamo su un alto monte. Dal chiasso alla solitudine, dal frastuono al silenzio, dall’esteriorità abitata da tante voci al luogo segreto del cuore, dove ciascuno incontra Dio e si lascia avvolgere dalla sua tenerezza, è questo il cammino che la liturgia ci propone. Con le ultime battute del capitolo decimo si è concluso il discorso missionario e, con il successivo, inizia una nuova sezione caratterizzata dalla rivelazione del Regno, cuore della missione di Gesù. Egli, in fatti e parole, attraverso i miracoli e i segni prodigiosi, prima annuncia il Regno (Mt 8-10), dopo averne indicato la logica con il discorso della montagna (cf. Mt 5-7), poi ne spiega le particolarità (Mt 11-13), in seguito Egli stesso in maniera indefessa lavora per istaurare tra gli uomini il regno di giustizia e di pace voluto dal Padre (Mt 14-18), fino al suo ritorno alla fine dei tempi (Mt 19-25).
Non è difficile entrare nella dinamica del testo evangelico odierno, per giungere nel sacrario del Cuore di Gesù e conoscere i suoi sentimenti di filiale obbedienza al Padre e di sviscerata carità per noi uomini. Il Maestro, pronto a partire per predicare (cf. Mt 11,1), risponde ai messaggeri inviati da Giovani il Battista (cf. Mt 11,2-6), che motivano il suo giudizio sul Precursore (cf. Mt 11,7-15). Attento a quanto accade intorno a Lui, Gesù si rende conto di come le folle peccano di puerilità dinanzi all’annuncio della buona Novella, proprio come i fanciulli che giocano in una piazza (cf. Mt 11,16-19) e rimprovera le città dove, pur avendo operato tanti miracoli, non è fiorita la fede (cf. Mt 11,20-24). Proprio la durezza delle città di Corazìn e di Betsaida, spingono Gesù a rientrare in se stesso e a rivolgersi al Padre con la lode, il ringraziamento ed il giubilo del suo cuore.

Non possiamo che stupirci dinanzi a quanto Gesù compie. Noi, nelle difficoltà e nelle prove, quando avvertiamo intorno a noi rifiuto e diffidenza, ci chiudiamo nella tristezza e sentiamo la morte del cuore perché la freddezza degli altri ci raggela e ci porta ad allontanarci. In Gesù, invece, non si verifica questo, anzi più incalza la difficoltà e maggiormente Egli si rifugia nel cuore del Padre, non per essere consolato, come spesso facciamo noi – quante volte le nostre condivisioni sono un continuo lamento nel quale cerchiamo solo di essere confermati nella rettitudine dei nostri propositi! – quanto per vivere in comunione con Lui tutte le situazioni della sua esistenza terrena e per ritrovare nuova forza e coraggio per gettarsi nuovamente nella mischia e vivere l’amore fino alla fine. Matteo ben sottolinea questo annotando “in quel tempo” (v. 25) che non è una semplice indicazione temporale, ma indica come Gesù, proprio quando ha fatto esperienza della durezza e dell’indifferenza della citta di Corazìn e di Betsaida, proprio allora Egli si apre alla lode e al giubilo. L’Evangelista ci dona di entrare nel cuore del Signore, lì dove i discepoli sono continuamente invitati a penetrare, inconsapevoli di trovare lì la sorgente che zampilla di Spirito Santo. Dovremmo sentire le vertigini nel leggere quanto Matteo ci trasmette, trasalire di intima gioia vedendo come il Figlio si rivolge al Padre con tutta la tenerezza e l’abbandono che il suo cuore di uomo permette di avere al Verbo eterno, che da sempre abita sul seno del Padre. Noi, consapevoli o inconsapevoli, varchiamo la soglia del Cuore del Signore ogni qual volta iniziamo a pregare, perché in quei momenti noi partecipiamo al dialogo filiale che Cristo vive con il Padre e godiamo della tenerezza divina che il Figlio sperimenta in quell’abbraccio che lo rinfranca, nello scambio che lo ricrea, nel silenzio che lo pacifica, nello sguardo che lo fa sentire profondamente amato da Colui che dell’amore eterno è la fonte infinita.

Ti rendo lode, Padre” (v. 25) dice il Figlio, rivolto totalmente a Dio con quella umanità assunta in obbedienza alla paterna volontà. “Ti rendo lode, Padre” è la voce che sgorga limpida dall’animo del Figlio diletto non turbato dall’indifferenza degli uomini, né scosso dalla difficoltà della missione. Nulla può separare il cuore del Figlio dal cuore del Padre che rimane porto sicuro, rifugio saldo, baluardo incrollabile. Gesù loda il Padre, non si lamenta per il rifiuto che riceve, per i sorrisi beffardi che sperimenta, degli sguardi prezzanti dei benpensanti, per quanti credono di conoscere il mistero di Dio perché esperti nella lettera della Scrittura che, priva dello Spirito, uccide (cf. 2Cor 3,6). “Ti rendo lode, Padre”. Il Figlio sa e vuole solo lodare, perché il Verbo è venuto nel mondo per insegnare all’uomo la lode e l’orientamento totale della vita verso Colui che è la fonte di ogni grazia e di ogni bellezza, della vita in abbondanza e della gioia senza fine. Scandire l’esistenza con la lode significa vedere, nelle vicissitudini della propria vita, la mano provvidente di Dio che ordina gli eventi in un modo a noi misterioso. La lode di Cristo nasce dalla fede, dal credere che, oltre il mistero di iniquità che l’uomo vive, Dio prepara un futuro di speranza e, abitando le nostre debolezze e fragilità, ci spinge sempre oltre l’orizzonte che riusciamo a scorgere con i nostri sguardi. Il Maestro non riesce a fare altro che lodare, perché nulla nella vita, per quanto voglia apparire doloroso, può offuscare il volto raggiante del Padre che ci comunica la gioia in abbondanza.
Ti rendo lode, Padre” sussurra il Figlio ed è il vocativo Padre a determinare tutta la bellezza del suo dire, così da indicare che Egli, pur immerso nella predicazione, sente il desiderio, avverte il bisogno di rigenerarsi nella relazione che lo lega al Padre. Gesù non può far a meno di Lui, è un bisogno impellente parlargli, lodarlo, avvertire su di sé la sua mano, sentire il suo occhio che guida e protegge, cura e vigila. Il suo non è il grido del bambino che cerca aiuto perché gli risolva le situazioni problematiche che vive, ma è la voce del figlio che, adulto nella sua umanità, vuol rigenerare la sua volontà di piacere a Dio nel modo più degno di Lui e possibile all’uomo, perché solo nel fare la volontà di Dio Padre l’uomo realizza la sua vita e può aspirare a sperimentare la gioia. E che tutto nasca dalla fede lo si nota dal vocativo che segue “Signore del cielo e della terra”. Il Figlio incarnato riconosce la sua strutturale dipendenza dal Padre, lo confessa Signore di ogni creatura, crede che con la sua mano potente sostiene nella vita ogni cosa. Non si sente antagonista di Dio, al pari di Adamo ed Eva, l’idea di essere creatore di se stesso lo ripugna perché lo esclude da quell’amicizia amorosa che lo fa sentire vivo per la forza dell’amore che il Padre gli infonde.
Quello che manca nella nostra vita di fede è la consapevolezza della figliolanza divina che si attinge dalla preghiera come dialogo amoroso e incontro trasformante con Dio. Nella preghiera, Gesù ci prende per mano, donandoci il suo Spirito – Spirito del Figlio che ci rende figli del Padre e fratelli tra noi – ed è Lui che ci introduce nell’amicizia con il Padre. È il Paraclito che fa fiorire sulle nostre labbra la lode ed il ringraziamento, è Lui che ci fa essere, seguendo il Maestro, testimoni della bellezza di avere Dio come nostro Padre. Figli nel Figlio è questo il segreto della gioia evangelica che Cristo dona ai suoi discepoli.

Noi come preghiamo personalmente, in coppia e come famiglia? Invochiamo lo Spirito, nostro Maestro interiore e ci lasciamo portare da Lui? Che posto occupa la lode ed il ringraziamento nel nostro dialogo con il Signore? Il Credo è una formula che utilizziamo solo la domenica durante la celebrazione eucaristica o precede il nostro incontro orante con Dio, nel quale riconosciamo in Lui come Creatore e Signore, il Dio uno e trino della nostra vita? Gesù è nostro Maestro nella preghiera, guardiamo a Lui per essere introdotti nel cuore del Padre? Usiamo la sua voce, facciamo nostri i suoi sentimenti, portiamo a lui le situazioni delle persone che ci sono accanto o che si affidano alla nostra preghiera?

I piccoli al primo posto nel cuore di Dio

Ogni figlio ha bisogno di parlare con il proprio padre, pena la non affermazione della sua identità di figlio ed è questo che Gesù sperimenta nella preghiera. Proprio perché il suo cuore è sempre orientato verso il Padre, Egli riesce a dialogare con Lui anche tra le folle, perché ogni tempo è buono per una parola da scambiare familiarmente con Lui. Un esempio di come si possa parlare con il Signore non solo nel segreto, ma anche tra gli impegni della vita è Francesco di Assisi. Quando si trovava in mezzo alla gente, sentendosi visitato dalla grazia del Signore, si copriva il capo con il mantello “per non rimanere senza cella” (1Cel 94: FF 681) – scrive il suo primo biografo – ovvero per non essere privo di un luogo dove poter stare cuore a cuore con il Padre.

Non bisogna credere che il dialogo orante ricercato e vissuto da Gesù sia un estraniarsi dalla realtà. La vita di orazione non è fuga perché chi prega, con l’aiuto di Dio, riesce ad entrare più profondamente nella storia. È quanto apprendiamo dalle parole che il Maestro rivolge al Padre. Egli ha scoperto, nella sua esperienza di ministero, che i misteri del regno vengono rivelati non ai sapienti e ai dotti, ma ai piccoli. Sì, Gesù si stupisce dinanzi al progetto del Padre perché riconosce nella storia il progressivo rivelarsi della volontà e del progetto di salvezza del Padre. Il Figlio di Maria riesce ad avere questo sguardo penetrante e non si ferma all’apparenza degli eventi. Se le città di Corazìn e di Betsaida non hanno accolto la sua parola e si sono chiuse all’annuncio del regno è perché Dio non fa violenza all’uomo, si propone, senza mai imporsi. Egli si rivela ai piccoli e agli umili, a quanti, consapevoli del proprio naturale bisogno di Dio, Creatore e Signore, prestano fede alla sua parola e gli aprono il cuore. Questo perché “Dio resiste ai superbi e fa grazia agli umili” (Gc 4,6). Invece, coloro che, dotti e sapienti in questo mondo, si vantano della propria intelligenza e cercano sempre di porre al centro se stessi. Non capiscono che i doni concessi loro dal Signore servono per cercare Lui e manifestare la sua santità e bontà tra gli uomini. Invece, facendo un cattivo uso dei doni di doni, se ne appropriano e si vantano come se non li avessero ricevuti dall’Alto. Quante volte questo capita anche a noi! Chiamati ad accogliere il regno, ne siamo esclusi perché il nostro cuore non è semplice e puro.

Per dialogare con Dio e accogliere la sua paternità – è lo stesso Gesù ad insegnarlo – bisogna avere un cuore da bambino, disarmato dinanzi all’amore che riceve. Se nella nostra vita c’è posto solo per noi stessi, non riusciremo né a pregare e a relazionarci con il Signore e neppure saremo in grado di vivere le nostre relazioni all’insegna della lealtà e della bellezza. Come Dio non si rivela a coloro che credono di bastare a se stessi, così, nel rapporto di coppia, se non si crea un clima di umile accoglienza, non si cresce nella relazione e il rapporto non è rivelativo, io non mi faccio conoscere dall’altro/a perché la persona che mi è accanto, centrata su si sé, non mi fa spazio nella vita. Fare spazio a Dio e all’altro rappresenta il punto di partenza di ogni autentico rapporto, sia esso tra amici e tra fidanzati, tra sposi o in un gruppo che vuol crescere insieme. L’umiltà è la virtù cardine che costruisce la comunione e la relazione ad ogni livello, perché solo se mi riconosco bisognoso, l’altro/a potrà entrare nella mia vita ed essere parte del mio cuore. In caso contrario si vivrà di pretese come la pretesa della comunione, ma come attuarla se mancano i presupposti? Quante volte i figli non parlano perché non si sentono accolti e compresi? Quante volte i genitori si chiudono e gettano la spugna dinanzi ad adolescenti che mettono fuori la testa dal sacco prima del tempo e si sentono adulti. La reciproca umiltà costruisce e, qualora da parte di qualcuno/a non venga attuata la propria né apprezzata l’altrui, bisogna avere pazienza, attuando quella carità che è paziente perché trae forza dal cuore di Dio che è sempre misericordioso e pronto al perdono.
Dobbiamo chiedere al buon Dio di guarire il nostro cuore dall’autoreferenzialità, dal sentirci indispensabili, dalla volontà di avere tutte le situazioni sotto controllo. In questo modo come potrà il Signore stupirci, con la potenza del suo amore che si rivela dove e come a Lui piace? Costruiamo relazioni belle solo se Dio ci disarma e noi ci lasciamo disarmare, se ci presentiamo poveri e spogli di noi stessi e delle nostre pretese, se togliamo le maschere e ci doniamo nella povertà e nella debolezza che ci caratterizza come creature bisognose di Dio e degli altri. Tutti siamo piccoli, ma è necessario riconoscerci tali, senza la paura di non essere accolti, privi del timore di non farci spazio e di non riuscire nella vita. È Dio la difesa degli umili, Lui il baluardo dei poveri, lo scudo dei deboli, la salvezza dei senza voce, il rifugio degli sfiduciati. La nostra povertà è il luogo dove il Signore manifesta la sua onnipotenza, proprio come la vita del Cristo, perché allora mentire e far credere a noi stessi e agli altri di non avere bisogno di nulla?

Gesù non solo riconosce che i piccoli accolgono il Vangelo ed il mistero del suo regno, ma Egli stesso, nella piccolezza della sua umanità, si sente raggiunto dall’amore infinto del Padre, la natura umana assunta diviene luogo del rivelarsi di Dio, tenda del suo incontro con l’uomo, santuario della sua presenza che dona gioia, specchio della sua bontà per ogni creatura. È bello vedere che Dio si serve di noi e della nostra piccolezza per rivelarsi agli altri. Non è forse questa la scoperta continua che facciamo ogni giorno nelle piccole e grandi gioie delle nostre famiglie? In un sorriso, in una richiesta umile, in una tenerezza ricercata e donata, in un silenzio che mendica attenzione e cura, per chi sa vivere la gestualità come linguaggio dell’amore, Dio si rivela e crea relazioni sempre più vere e profonde. Più noi affiniamo la nostra vita a Dio e più Egli si rivelerà in noi.
Dove, però, Gesù manifesta la sua piccolezza come abbandono totale ed obbedienza filiale è quando giunge a dire “Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza” (v. 26). Non c’è vera piccolezza se non nell’affidarsi con fiducia totale alle mani dell’altro. Cristo sa che la volontà del Padre è per Lui sorgente di vita e di gioia e non ha paura di abbandonarsi a Lui, di gettarsi nel suo abbraccio, senza presumere di capire ciò che Dio chiede e vuole. Si è piccoli quando la fiducia non si sposa con la pretesa di avere spiegazioni. Il bambino si fida di chi lo conduce per mano, a patto che si senta amato da chi lo sta guidando. Nella vita ci basta l’amore di Dio. Lui sa dove siamo diretti, Egli conosce dove è bene andare. La cosa più difficile è non avere riserve, dire a Dio sempre di Sì, perché Egli desidera veramente il nostro bene più di quello che noi crediamo o desideriamo.

Perché è così difficile seguire Gesù e la sua e nostra dolce Madre nel dire il nostro Eccomi senza paura? È così difficile rimettere tutto nelle mani del Padre e avere una fiducia sconfinata nella sua provvidenza? Quando noi diciamo No a Dio, confessiamo il nostro Si al nostro egoismo: ne siamo coscienti? Perché non lasciare che lo Spirito faccia fiorire sulle nostre labbra, come espressione di un cuore totalmente a Lui abbandonato “Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza”? Cosa ci impedisce di fidarci della persona che ci sta accanto? Possiamo dire di meritare la fiducia degli altri? Ci sono stati dei momenti in cui, abbandonati in Dio, abbiamo sperimentato la sua provvidenza e ci siamo dovuti ricredere per la nostra poca fede?

Andare da Gesù senza paura

Per conoscere Dio come Padre abbiamo bisogno della rivelazione di Gesù, è Lui che ci introduce nel mistero di Dio e ci fa sperimentare la bellezza del suo volto, entrando nel vortice dell’amore trinitario. Se riuscissimo ad essere profondamente coscienti di quanto il Cristo ci dona! Il Figlio, divenuto nel seno di Maria nostro fratello e redentore, ci porta nel cuore pulsante del nostro Dio, ci apre i misteri del regno, ci fa conoscere il progetto del Padre, il suo sogno su ogni creatura. Gesù è il tesoriere del cuore di Dio, il suo fiduciario unico ed insostituibile. È Lui la porta della nostra salvezza, chi passa attraverso di Lui trova pascolo in abbondanza, salvezza eterna, vita senza fine. Bisogna passare attraverso Gesù per conoscere e sperimentare la potenza dell’amore che il Padre nutre per ciascuno di noi. Ecco perché il nostro brano, iniziato con la lode (vv.25-26) continua con il caldo invito che Gesù rivolge ai suoi perché, attratti dalla sua amorevolezza e bontà, trovino in Lui ristoro e pace. È incalzante il dire del Maestro “Venite a me … imparate da me”. Il suo desiderio di ristorarci è più grande della consapevolezza che abbiamo del nostro strutturale bisogno di andare a Lui per ottenere la vita e la pace.
Stanchi e affaticati, in Cristo troviamo sollievo; incapaci di portare il peso delle nostre preoccupazioni, da Gesù impariamo a ricevere dal Padre la forza per vincere ogni difficoltà con la sua grazia. La mitezza e l’umiltà del suo cuore sono le virtù da chiedere sempre perché ogni gioco divenga dolce, ogni carico leggero.




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3 risposte su “Gesù ci insegna a rifugiarci nel cuore del Padre”

È vero tutto ciò. IO per prima non riesco ad essere mite e umile di cuore nei miei rapporti con il prossimo. tante volte non so affidarmi-fidarmi di Dio aprendogli TOTALMENTE il mio cuore. Ma quando invece ci riesco ritrovo la Pace l equilibrio in ogni caso momento situazione è di conseguenza migliorano anche i rapporti umani…Se non IMPARIAMO AD APRIRE TOTALMENTE IL NOSTRO CUORE A DIO E ALLA SUA VOLONTÀ NOI non riusciamo a costruire rapporti solidi e costruttivi nelle relazioni con gli altri che si tratti del proprio marito fidanzato amico PADRE madre…PERCHÉ IL NOSTRO CUORE LO CHIUDIAMO PER PRIMO ALL AMORE DI DIO PER NOI.

Grazie. Gesù perché dai a tutti la possibilità di conoscerti…e ci salvi…per te e per la fede e per la vita eterna non ci sono privilegiati ne esclusi anche chi lo è. per il mondo con te ha speranza…aiitaci però. A rimanere semplici e umili nell’avita e nella fede…altrimenti…si che perdiamo te.. Cuore di Gesù abbi pieta di noi e rendi cuori nostrisimili al tuo

Cuore di Gesù pensaci tu… non per toglierci nostro dovere .. ma per affidarsi… abbi pietà di noi.,… rendi il nostro cuore simile al tuo

Signore Gesù vivere con Te spesso richiede anche la Croce che c’è
ma è quella del Risorto …
e tu ci ami anche nei momenti più bui e in cui
non riusciamo e non ti vediamo; che ci rialziamo sempre e.poi gioia e..

Signore Gesù, aiutaci a vivere in umiltà e semplicità e in gioia;
senza superficialità e distrazione facendo della nostra vita e del
nostro lavoro uno strumento di amore e dedizione a Te e ai
fratelli nella quotidianità e affidandoci a te… affidando la vita a te..
Senza affanno…. e Ave Maria e avanti !
Maria, Madre di misericordia, veglia su tutti noi, perché non venga resa vana la Croce di Cristo, perché l’uomo non smarrisca la via del bene, non perda la coscienza del peccato, cresca nella speranza di Dio, ricco di misericordia, e sia così, per tutta la vita, a lode della sua gloria.
Amen

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