Sposi

Senza Cristo, il matrimonio cristiano non esiste

Matrimonio

di Ida Giangrande

Quando prepariamo i nubendi al matrimonio è necessario dire: “Non è sufficiente celebrare il matrimonio in chiesa. Se non c’è Cristo nella vostra quotidianità, il vostro non è un matrimonio cristiano”. È questa la bellezza antica e sempre nuova dell’amore, parola di una sposa.

Cosa significa oggi sposarsi? Come sta cambiando il rapporto tra gli italiani e il matrimonio? E quali nuove sfide sono di fronte alla comunità cristiana? Sono queste alcune delle domande che ci saremmo fatti almeno una volta negli ultimi tempi.

 

La normativa in merito al matrimonio e soprattutto al divorzio, ha subito grossi scossoni negli ultimi anni, dalla legge sulle Unioni civili a quella sua divorzio breve per finire ai cambiamenti in merito all’assegno di mantenimento. In definitiva divorziare oggi è facile come sposarsi e sposarsi è facile come bere un bicchier d’acqua.

 

I dati riguardo al matrimonio sembrano indicare un trend positivo: in Italia, nel 2015, sono stati celebrati 194.377 matrimoni, circa 4.600 in più rispetto all’anno precedente. Certo la percentuale vede un andamento differente da regioni in regione. In Veneto, seppur con numeri sensibilmente inferiori rispetto al 2008, nel 2015 sono state celebrate circa 500 unioni in più dell’anno precedente, per un totale di 14.928.  Nel Trevigiano, sono 193 le coppie che si sono sposate in più nel 2015.
Drastico, però, è il crollo dei matrimoni a Padova rispetto al 2008: quasi mille in meno, il segno più basso di tutto il Veneto.

 

Ma la mia domanda è: ci si sposa più in Chiesa o al comune? Sempre la stessa indagine dell’Istat ci dice che il 2015 segue la scia degli ultimi anni e segna l’aumento dei matrimoni celebrati con rito civile. Sono stati, infatti, 88 mila e costituiscono il 45,3 per cento del totale, con un aumento dell’8 per cento registrato solo quest’anno i matrimoni celebrati con rito civile. «Gran parte di questo incremento – spiega l’Istat – è dovuto alle seconde nozze, o successive, che sono 33.579, quasi 3.000 in più rispetto al 2014. Ma il rito civile è sempre più scelto anche nei primi matrimoni di coppie italiane».

 

Parliamo di seconde nozze, quindi di precedenti divorzi. Perché l’amore coniugale sta diventando una realtà sempre più fluida, estemporanea e passeggera?

 

Grazie al lavoro che faccio mi capita spesso di incontrare persone che dicono così: “Ci siamo sposati dopo dieci anni di convivenza e poi ci siamo lasciati. Il matrimonio è la tomba dell’amore”. Siamo proprio sicuri che sia questa la verità? O piuttosto non siamo noi a non saper vivere l’amore nella sua necessaria definitività? Se scegliamo il rito civile non è per caso perché ci lascia sempre aperta una via di fuga? Io credo proprio di sì.

 

Il matrimonio, la vita coniugale, le sfide educative, non sono una passeggiata di salute. Non è nella natura umana sapere amare una persona per tutta la vita e più di quanto si ami se stessi. L’amore umano avrà sempre un antagonista con cui combattere che è l’egoismo. È per questo che il matrimonio celebrato ai piedi di un altare è determinante. Con il rito sacramentale apriamo la porta a Cristo. Gli permettiamo di prendere stabilmente dimora in casa nostra. Gli chiediamo l’aiuto necessario ad amare il nostro sposo o la nostra sposa, non come noi siamo capaci di fare, ma come ha fatto Lui: fino alla morte e alla morte di croce se necessario. Per questo non è sufficiente forse celebrare il matrimonio una sola volta nella vita, è necessario rinnovare quella promessa ogni volta che ci è possibile. Lo scopo è ottenere la grazia, alimentarla, lasciarci plasmare a immagine di Dio che è la radice di ogni amore, per alimentarci insieme alla sorgente della vita che è l’Eucarestia.

 

Questa è la radice del matrimonio cristiano, avere Cristo in casa. Se non c’è questa disponibilità interiore avremmo fatto una bella cerimonia, ma non ci saremo veramente sposati. Senza Cristo, il matrimonio cristiano non esiste. Quanti sono dunque i matrimoni realmente celebrati?




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