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“Più sottraggo spazio al politicamente corretto e più resto sola”

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I miserabili

Quante volte chiediamo agli altri impegni o azioni che a noi risparmiamo? Ecco la grande “ipocrisia” nascosta dietro la maschera del “politicamente corretto”.

Sembra perfetto, il mondo, visto attraverso i social network: buoni sentimenti, alti valori morali, ispirazioni dall’inestimabile finalità del “bene comune”. Tutti fustigano, senza sconto alcuno, le furbizie dell’italiano medio, le lussureggianti abitudini di certi politici, gli ozi dei dipendenti pubblici, così da un touch sembra passare la costruzione di una nuova coscienza collettiva. Non è male – pensi – il web, se contribuisce ad elevare gli standard del vivere in comunità. Poi, però, se il mondo lo osservi senza la mediazione del web e se depuri la realtà da tutto ciò che attiene alla comunicazione “virtuale”, allora ti accorgi che qualcosa non quadra. Da qualche parte, ci deve essere una falla di sistema, considerate la qualità e la quantità di degenerazioni, depravazioni, cattiverie, furbizie, reati, in cui ti imbatti ogni giorno.

Alcuni lo chiamano “politicamente corretto”, io preferisco ipocrisia. Pensateci bene. Succede molto più spesso di quanto si immagini e sono certa che almeno una volta, a ciascuno di noi, sia capitato di “predicare bene e razzolare male”. Faccio qualche esempio: criticare aspramente “i soliti raccomandati, che passano sempre avanti”, ma chiedere al proprio vicino di casa se conosce qualcuno per aiutare il più giovane dei propri figli a vincere il concorso pubblico. Insultare pubblicamente su Fb quel deputato che “a nostre spese, viaggia gratis, non paga niente e gli danno pure la pensione”, ma mettersi in “gravidanza a rischio” anche se non c’è alcun problema di salute che minacci la gestazione. Censurare, con toni asprissimi, la giustizia italiana “che mette in libertà stupratori e assassini e tiene in galera i ladri di polli”, ma poi fingere di ottenere un congruo risarcimento da un Ente pubblico per un danno all’auto imputato al manto stradale sconnesso, ma in realtà causato da una mera propria disattenzione.

Evito, per decenza, di aprire il capitolo legato a legami sentimentali e unioni familiari, con foto da “mulino bianco”, che ammantano di perfezione rapporti caratterizzati, invece, da tradimenti, litigi, scortesie e disaffezioni. Il punto che vorrei evidenziare è il seguente: quante volte chiediamo agli altri impegni o azioni che a noi risparmiamo? Non è solo una questione linguistica, ma di assoluta sostanza. Nell’evidente necessità di formulare le debite proporzioni, non c’è molta differenza tra il medico che non rilascia la ricevuta fiscale e l’amministratore delegato della multinazionale che porta i propri soldi alle Cayman. Tra chi usa i permessi 104 per un week end all’estero e il senatore che incassa il vitalizio per 10 giorni di legislatura. Io sono schietta. Chi mi conosce, mi ama o mi odia per questo. Eppure c’è tanta autocensura a frenarmi, nei rapporti interpersonali e sui social network. Anche io cedo, qualche volta, all’ipocrisia, che declino in due modalità: taccio o uso parole di circostanza. Non sono immune da uno dei grandi mali del secolo, ma sto cercando di guarire. Mi accorgo, tuttavia, che più sottraggo spazio al “politicamente corretto”, più resto da sola. È il prezzo da pagare per l’emancipazione?

 




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