L’intervista

Riscoprire la bellezza della famiglia? Si può. La parola d’ordine è complementarietà

di Ida Giangrande

“Bisogna ritornare alla bellezza antica e sempre nuova dell’amore”. Parola di padre Marco Antonio di Brita, sacerdote della diocesi di Ariano Irpino Lacedonia e autore del libro “La famiglia cristiana, la più bella icona della Trinità”.

Le note della sue voce si perdono nella dolcezza di un temperamento docile mentre mi parla di famiglia. E lì, in quel suo raccontare così leggero e alla portata di tutti, mi sembra di sentirgli dire “amore”, ogni volta che pronuncia “famiglia” o “coppia”. Termini molto spesso usati, troppo spesso abusati, ma l’obiettivo di padre Marco e del suo libro “La famiglia cristiana, la più bella icona della Trinità” è proprio recuperare le radici sacre e inviolabili di queste parole.

Gli domando come nasce in lui il desiderio di scrivere un libro dedicato alla famiglia e senza pensarci su, lui mi risponde a bruciapelo che è sempre appartenuto al suo DNA, perché ha vissuto un’infanzia straordinaria, in una famiglia straordinaria e perché, guardando il mondo con gli occhi di un sacerdote, non si può non passare attraverso la famiglia. “Lo hanno fatto i grandi Papi – mi dice – da Giovanni Paolo II a Benedetto XVI, fino a papa Francesco, e anche prima di loro. Non si può parlare d’amore alle giovani coppie, ai genitori, senza parlare di famiglia, del modello di famiglia voluto e sognato da Dio”. Se scorro l’indice del libro mi accorgo che padre Marco non ha paura di affrontare anche i temi più delicati. Allora gli domando: “Perché nel rapporto uomo-donna, chiama in causa l’emancipazione femminile? Che ruolo ha giocato questa nella relazione tra gli sposi?”.

Sembra essere preparato a questa domanda, anche qui mi risponde senza pensarci. Forse decenni di confessionale gli hanno permesso di raccogliere l’esperienza dei fatti dal loro incedere ordinario ed è proprio da lì che nascono le sue parole, dalla conoscenza delle persone. “L’emancipazione femminile – mi dice – ha avuto un grande valore, di cui possiamo distinguere due aspetti uno positivo e uno negativo. C’era indubbiamente bisogno che la donna fosse riscattata da un modello sociale bieco, che le imponeva di restare all’ombra dell’uomo, che fosse un padre o un marito. La donna, nella sua estrema e incommensurabile bellezza e armonia, grazie all’emancipazione femminile è stata rivalutata nella sua dignità. In quella stessa dignità creaturale che Dio le ha consegnato nella notte dei tempi, quando scelse di crearla a partire da una costola di Adamo. Una costola, tratta dal fianco dell’uomo, perché stesse al fianco dell’uomo, non avanti e nemmeno indietro, ma al suo fianco. Ma come tutte le cose belle, anche questa aveva un limite ed è stato superato. Si è abusato del concetto stesso di emancipazione e oggi è come un fiume che rompe gli argini e travolge tutto. Quella che era la lotta per il riscatto morale e sociale della figura femminile è diventata una lotta tra l’uomo e la donna. Questo è il dissidio. L’uomo e la donna sono i pilastri del creato, se essi sono l’uno contro l’altro, tutto è destinato a perire nel segno dell’instabilità”.

“C’è una soluzione a tutto questo?”, gli domandò.

“Certo che c’è!” mi risponde in maniera ottimista con un bel sorriso. “Dobbiamo recuperare il concetto di complementarietà. La donna e l’uomo sono fatti per completarsi, non per opporsi. Sono come le tessere di un puzzle. Insieme si arricchiscono, si completano, collaborano per una società più bella, perché una società bella è fatta di famiglie”.

Famiglie, penso e quasi mi rattristo perché sembra che a furia di volerla cambiare, la famiglia stia scomparendo. Non glielo chiedo, ma da sacerdote è abituato a carpire le parole inespresse. Lui intuisce i sussulti del mio cuore e dice: “Da anni la Chiesa sta mettendo in luce un verità insondabile, già presente negli atti degli apostoli: la bellezza e la potenza racchiusa e custodita nel grembo di ogni famiglia. Esse sono piccole cellule della Chiesa. Per chi crede come noi, la famiglia è una realtà completa dove l’umanità si trasmette attraverso la fede. L’uomo e la donna sono espressione della presenza di Dio, sacerdoti dell’amore e non scomparirà mai, mai fino a che l’uomo avrà respiro”.

“Ma uno sguardo alla cronaca mi fa quasi tremare” replicò d’impulso. “Come giustifica quello che sta accadendo in giro. Non c’è giorno che non sentiamo di qualche violenza sulle donne? Non c’è giorno in cui non ci viene raccontato dell’ennesima vittima di un fidanzato geloso o di un marito malato?”.

“Se non facciamo altro che parlare di odio, come è possibile generare amore!” mi risponde facendo spallucce. “Certo molte donne vengono stuprate ogni giorno, ma molte, moltissime altre no. Molte donne vengono uccise, ma molte altre vengono amate. Perché raccontare solo ciò che è brutto? I fenomeni di cui parla lei vanno inquadrati nella cornice di una generale tendenza a parlare male e del male. Lo vedo anche quando vengono trattati i fatti di cronaca sempre così pieni di un’eccessiva puntualizzazione dei particolari anche i più brutali e inquietanti. Sembra di essere sempre sulla scena del crimine, ma tutto questo è condizionante. Non fa bene. Da qui la vita vista come un oggetto, che posso prendere, usare e magari rompere quando voglio. Certo non possiamo dare la colpa solo ai media, potremmo parlare anche dell’assenza di genitori educanti, della distrazione fornita dal lavoro che spinge il papà e la mamma a stare fuori casa anche quando sono rientrati. La lista è lunga, ma possiamo ricominciare da qui: torniamo a parlare della bellezza dell’amore. Certo le cattive notizie aumentano l’audience. È tutta una questione di share, ma in questo modo tutto ciò che è negativo diventa modello di comportamento, la normalità. Bisogna aiutare le persone a riscoprire le radici dell’amore, della buona notizia”.

Sorrido intimidita: un analisi così semplice del vissuto ordinario, mi fa sentire vittima di una comunicazione mediatica che mi imbottisce di messaggi negativi con la mia silente, acquiescente e ignorante approvazione.

“Una famiglia nuova, dice nel suo libro. A quale tipo di novità fa riferimento?” gli domandò.

Alla bellezza antica è sempre nuova, come avrebbe detto sant’Agostino. In fondo ciò che è antico acquisisce sempre più valore, ha presente gli oggetti di antiquariato? Sono cose che si rivestono di una novità diversa a seconda delle epoche che attraversano. La complementarietà, la bellezza della diversità, l’armonia dell’amore fondato sul rispetto, sull’ammirazione e sulla fiducia: ecco la novità. Sono cose nuove per i nostri giorni. Non siamo più abituati a ricercare queste cose nelle relazioni sentimentali. Lo dice anche il Papa nell’Amoris Laetitia, quando suggerisce di recuperare un linguaggio di grazia, dove si chiede “per favore”, dove ci si saluta al mattino, ci si chiede scusa, si prega insieme prima di mangiare. Non tutto quello che apparteneva alla famiglia patriarcale è da buttare, prima c’era un rispetto che oggi mi sembra non ci sia più. Ecco io direi famiglia nuova nel senso di un ritorno alla bellezza antica e sempre nuova dell’amore”.

Le mie domande sono finite e anche l’intervista è giunta al termine. Saluto padre Marco, lo ringrazio per aver scritto questo meraviglioso libro e poi devo tornare alla mia vita, ma mentre cammino per strada e torno a casa dove la mia famiglia mi aspetta, mi scopro stranamente rincuorata. Padre Marco mi ha ricordato che la battaglia è ancora tutta da combattere e che la Chiesa è schierata in prima linea nella difesa della sacralità della famiglia. Alzo gli occhi al cielo, mi lascio accarezzare dal vento, la brezza leggera di fine estate e finalmente mi sento al sicuro. So di dover combattere la mia buona battaglia da sposa, da madre, ma so anche che la Chiesa mi accompagna e combatte con me. Il futuro poi non è nelle mani di Dio.

Scheda libro:

libro_famiglia_cristiana

 

Titolo: La famiglia cristiana, la più bella icona della Trinità
Autore: Marco Di Brita
Casa editrice: EDI (Editrice Domenicana Italiana)
Anno di pubblicazione: 2017




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