Eutanasia

Il macabro rituale si ripete: un altro italiano è volato in Svizzera per morire

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Foto: © ikontee - Shutterstock.com

a cura della Redazione

“Ho avuto per un periodo due assistenti, pagandole grazie all’aiuto di amici e a una festa per raccogliere i fondi. Questa situazione non poteva durare a lungo”. Scrive così in una lettera denuncia, Loris Bertocco, 67 anni, l’ennesimo italiano recatosi in Svizzera per cercare la morte.

Una malattia può inibire le facoltà del corpo umano, ma ad uccidere l’anima è la solitudine statale, sociale e civile. Lo abbiamo detto tante volte ma ora la denuncia arriva direttamente dal protagonista dell’ennesimo caso di suicidio assistito. Lui è Loris Bertocco, 67 anni, veneziano. Era rimasto paralizzato e cieco dopo un brutto incidente stradale avvenuto il 30 marzo del 1977.

Lo racconta lui stesso in una lettera-denuncia inviata a “Repubblica” dove, descrivendo dettagliatamente tutta la sua storia, non manca di denunciare il vuoto materiale e affettivo delle istituzioni e del sistema sanitario.

La mia situazione familiare non mi permette di avere dei possibili sostegni: mia sorella ha una grave sclerosi multipla ed è invalida al 75% e non mi può essere sicuramente di aiuto e mia madre ha appena compiuto 80 anni e quindi non posso in questo momento contare per ovvi motivi sul loro aiuto. – spiega Bertocco nella lettera – Dal 2011 in poi, mancando il supporto di mia moglie e avendo bisogno di assistenza 24 ore su 24, ho tentato di accedere ad ulteriori contributi straordinari della Regione Veneto per casi di particolare gravità. Ho lottato con la Regione per quasi due anni senza ottenere il risultato che speravo. Ho avuto per un periodo due assistenti, pagandole grazie all’aiuto di amici e ad una festa per raccogliere i fondi necessari. Questa situazione non poteva durare a lungo e quindi, finiti i fondi, mi sono trovato nella condizione di pagare una sola assistente. Alcuni amici mi hanno sostenuto nelle giornate festive e nelle situazioni di emergenza o di malattia dell’assistente. Mi sono trovato comunque varie volte senza assistenza da solo a letto, senza potermi lavare o andare in bagno e rischiando di essere ricoverato in istituto”.

Da qui la disperazione che lo conduce a prendere un decisione drastica e dolorosa: la morte assistita. “Qualcuno ha provato a convincermi che questa scelta poteva essere rimandata, che c’era ancora tempo. – si legge nella lettera – Li ringrazio per questo tentativo e per essermi stati vicini, ma il mio tempo è terminato. Il muro contro il quale ho continuato per anni a battermi è più alto che mai e continua a negarmi il diritto ad una assistenza adeguata”.

Se avessi avuto la possibilità di giovarmi di due persone qualificate e motivate, soprattutto in questi ultimi sei anni, la mia vita sarebbe stata un po’ più facile e dignitosa. Mi sono rivolto agli uffici competenti e, al tempo stesso, ho fatto presente la mia nuova situazione ai servizi sociali e al sindaco del mio Comune (Fiesso d’Artico, in provincia di Venezia). Ho anche sollecitato direttamente in particolare l’assessore regionale che si occupava allora di questi problemi. È venuto a farmi visita, una volta, dopo molte mie insistenze e proteste per le mancate risposte, ma non è bastato. Non ha capito la mia situazione, che è la situazione di tanti e tante come me, a nome dei e delle quali penso di parlare. Perché è così difficile capire i bisogni di tante persone in situazione di gravità, perché questa diffidenza degli amministratori, questo nascondersi sempre dietro l’alibi delle ristrettezze finanziarie, anche quando basterebbe poco, in fondo, per dare più respiro, lenimento, dignità? Domande che spero possano trovare risposta al più presto affinché tante altre persone con grave disabilità possano usufruire dell’assistenza personale e di un reddito per vivere libere, con dignità, evitando l’abbandono o il ricovero definitivo in qualche istituto”.

Di fronte a storie come questa c’è da chiedersi se non siamo tutti colpevoli della morte di Loris. Se non siamo tutti un po’ complici di questo gesto. Una legge non potrà cambiare le cose se continueremo tutti ad essere silenziosi e indifferenti spettatori di una società che, quando non riesce e a sopprimerla nel grembo, nega la disabilità fino a spingerla al suicidio. E allora chiediamocelo: quanto siamo socialmente colpevoli di questa disperazione?




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