Famiglia e povertà

In attesa della “I Giornata Mondiale dei Poveri” voluta da papa Francesco

di Ida Giangrande

È prevista per domenica prossima 19 novembre la prima Giornata Mondiale dei Poveri voluta dal Papa e introdotto con un bellissimo messaggio datato 13 giugno 2017. Raccogliamo l’invito del Santo Padre e facciamo un viaggio con chi ogni giorno spende la sua vita con i poveri.

Li vedi vagabondare lungo i corridoi dei mercati ortofrutticoli a fine giornata in cerca di frutta e verdura non venduta, gli scarti di ciò che nessuno ha voluto. Prendono poche cose, quel tanto che serve per mettere a tacere i morsi della fame e poi aprono portafogli vuoti da cui estraggono poche monete contate. Non possono sostenere la spesa sanitaria e spesso si ritrovano a vivere in ambienti non riscaldati a sufficienza. Sono anziani, disabili, ma anche giovani, famiglie: la povertà è una falce che colpisce chiunque. Nessuno è escluso. Nessuno è esente.

Non è certo una novità! Se ripenso all’Italia del dopoguerra la mente mi ripropone le stesse immagini che vedo scorrere oggi alla televisione. Inquietanti e spietate scene di ordinaria disperazione, che feriscono il cuore e fanno sentire impotenti. E mentre la questione viene dibattuta tra i banchi delle aule parlamentari, contesa tra fazioni differenti e ostili, la miseria continua a mietere vittime, consuma le ossa, spezza le speranze del domani.

È a loro, ai bisognosi, che papa Francesco dedicherà la prossima domenica, la I Giornata Mondiale dei Poveri. “Non pensiamo ai poveri solo come destinatari di una buona pratica di volontariato da fare una volta alla settimana, – dice il Santo Padre nel suo messaggio per la Giornata – o tanto meno di gesti estemporanei di buona volontà per mettere in pace la coscienza. Queste esperienze, pur valide e utili a sensibilizzare alle necessità di tanti fratelli e alle ingiustizie che spesso ne sono causa, dovrebbero introdurre ad un vero incontro con i poveri e dare luogo ad una condivisione che diventi stile di vita”.

Incontrarli dunque, condividere la loro strada, non donargli i nostri abiti, ma indossare i loro una volta tanto guardandoli negli occhi. Si dice che gli occhi siano la sede dell’anima ed io l’ho sentita quell’anima quando ho incontrato Katia. Lei è una ragazza giovane e pimpante, i capelli nerissimi, lo sguardo arguto, la pelle bruna. Quando ci vediamo è incinta di circa cinque mesi, è stata accolta da poco in una casa di accoglienza e, a ventiquattro anni, ha già visto ciò che molti non vedranno in tutta la loro vita. Mi basta soffermarmi a guardarla per vedere emergere da quegli occhi le ombre scure di un passato funesto. Madre morta, padre alcolizzato, un alloggio di fortuna messo a disposizione da una zia: un vecchio sottoscala da condividere con topi e scarafaggi. Le pareti ammuffite, un vecchio fornellino a gas e un bollitore, questi sono gli unici oggetti d’arredamento. Qualche volta la zia le porta da mangiare, qualche altra volta no e lei deve arrangiarsi. Trovare lavoro anche come donna delle pulizie non è semplice. Ogni lavoro esige le sue garanzie e lei non ha niente da esibire se non il suo pancione, frutto dell’ennesimo approfittatore. Poi arrivano gli assistenti sociali, e finalmente una casa, un letto vero, un bagno caldo: cose scontate per i più, invece un lusso per molti.

Vivere una giornata con i volontari delle varie associazioni che si occupano del sostegno ai bisognosi è come fare un viaggio all’inferno. Bisogna indurire il cuore e ricacciare indietro le lacrime più e più volte per non ascoltare il grido della sofferenza. Per non cedere di fronte alle situazioni di degrado che si presentano. Quando entro nel piccolo dispensario di una delle associazioni, l’operatrice sta infilando un giubbino addosso ad un bambino di tre anni che nonostante il freddo gelido di novembre, indossa solo una magliettina bianca a mezzo collo. Sua madre, una donna araba, è poco distante da loro e li osserva. Ha uno sguardo dolce, ma leggo una strana malinconia nei suoi occhi. Un senso di impotenza fuso al timore del domani. Porta in grembo un secondo figlio, ma non chiede nulla per lui. È l’operatrice che le domanda se ha pronto un corredino, se le serve una carrozzina, una culla, se insomma questo bambino ha tutto il necessario per venire al mondo. Lei scuote più volte la testa, si sistema il velo e arrossisce. L’imbarazzo è il frutto di un moto interiore che mi permette di leggere la sua storia: la disperazione che ha spinto lei e suo marito ad abbandonare la propria terra, il viaggio della speranza verso una patria sconosciuta e poi l’approdo in un paese dove non c’è posto per loro.

Diverse nazionalità, diverse motivazioni, un’unica radice: l’indifferenza della società, la precarietà del sistema, l’assenza di una politica che abbia a cuore il futuro della famiglia, la dignità della persona. Ci sono situazioni meno impressionanti, ma forse ugualmente dolorose. Sono le storie ordinarie di famiglie ordinarie: si lavora in due, non c’è mai tempo per niente, ma alla fine non si riesce a coprire tutte le spese. Accade anche alla piccola Elena (nome di fantasia), 10 anni. Non andrà in gita quest’anno, pur essendo il suo ultimo anno alle elementari. La spesa è alta, i genitori non possono permettersela. La madre lo confessa con dignità, senza imbarazzo, con il coraggio dell’onestà: “Ci sono altri due fratelli. Una gita lunga costa troppo. Non possiamo”. E come un balsamo, giunge in soccorso la capacità di rinunciare alle cose che desideri per un bene più grande.

Si impara a rinunciare e anche ad accontentarsi dei giochi che costano poco, di quelli che altri non usano più. Ci sono bambini che spesso non hanno nemmeno il coraggio di chiedere. Ne ho vista una in associazione che puntava una bambola col braccino rotto su uno degli scaffali. Uno dei tanti giocattoli usati che qualche mamma esasperata aveva buttato via. Non ha il coraggio di chiedere quella bambina sprofondata in un passeggino malandato, con quegli occhi grandi e marroni e i riccioli nerissimi. La sequenza mi ha lasciata esterrefatta: l’operatrice si inginocchia, le chiede se vuole la bambola, lei annuisce ma senza parlare e quando finalmente l’operatrice gliela porge, la bimba allunga le braccia e la stringe forte con un sorriso radioso sulle labbra. Una conquista, un regalo per lei e anche per me che porto via le immagini e le storie delle persone che ho conosciuto in quella giornata. Le ho guardate negli occhi come suggerisce il Papa e ho sperimentato che: “C’è più gioia nel dare che nel ricevere”.




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1 risposta su “In attesa della “I Giornata Mondiale dei Poveri” voluta da papa Francesco”

Il bene comune e per tutti un segno nelle nostre umile vita grazie per aver raccontato la tua esperienza. Io faccio volontariato e vedere tante persone che a bisogno,mi stringe il cuore. E ringrazio il signiore d’avere un lavoro e un tetto

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