Natale

Lì dove il sole non si vede… il Natale invece sì

Centro storico di Napoli

di Ida Giangrande

Mancano solo pochi giorni al Natale, la festa del bambino per eccellenza. Eppure in un Paese come il nostro sempre più anziano e avvizzito, dove sono finiti i bambini? Guardiamo a Napoli.

L’Italia è in crisi. Lo sentiamo dire quasi ogni giorno. Di tanto in tanto qualcuno si fa sentire e con la voce ottimista, urla: “Ci sono segni di ripresa”. La gente comune fa spallucce, si guarda nel portafogli e non vede niente, o almeno nessun segno di ripresa.

Poi ci sono le inchieste giornalistiche, quelle brave a mostrare l’altra faccia della medaglia: la gente in fila al negozio di abbigliamento nel giorno in cui iniziano i saldi ad esempio; oppure a quanto ammonta la spesa degli italiani per una vacanza o per il cenone di Natale. Insomma non sai più a chi credere. Ti chiedi: ma siamo in crisi oppure no?

Nell’incertezza, però, chi ha la peggio sono i bambini. Non ci sono soldi per crescerli, quei pochi che ci sono servono per acquistare contraccettivi, pillole del giorno dopo e simili. I figli si fanno con il contagocce sotto gli occhi di una nazione che continua ad invecchiare. Se però capita di sbagliare, c’è sempre l’aborto, lo chiamano IVG, ma è la stessa cosa. IVG sta per “Interruzione Volontaria di Gravidanza”, ma volontaria o no è sempre un’interruzione e “gravidanza” è l’altro modo di dire “vita”.

E intanto anche quest’anno è arrivato il Natale. Nel periodo natalizio mi piace andare a passeggiare nelle stradine di San Gregorio Armeno. Tra le luci e i presepi, ci sono negozietti racchiusi nelle nicchie degli antichi palazzi, con insegne vecchie come i miei avi, che vendono le immagini di Napoli com’era un tempo. E lì puoi sfilare sotto gli sguardi di Totò, Eduardo, Sofia Loren, Massimo Troisi, segni di una tradizione millenaria che ha saputo portare nel mondo la caratteristica, ironica e strafottente disperazione dei napoletani. E tra tante altre ci sono anche fotografie di vita quotidiana. Le carrozzelle di un tempo, piazza del Plebiscito in bianco e nero, e poi eccoli di nuovo: i bambini. Corrono sui marciapiedi di Mergellina con i piedi nudi e i vestiti lerci. Giù al porto con qualche marinaio. Insieme al padre e alla madre in quello che viene definito un basso, case che affacciano direttamente sulla strada, fatte di una stanza o forse due. Sono i poveri di ieri, quelli che mi ricordano quanto l’Italia o almeno la mia Napoli, sia sempre stata in crisi nel vero senso della parola. Figli di pescatori e scaricatori di porto, di gente con le mani callose che combatteva contro la fame, e si spezzava la schiena per assicurare un pasto caldo al giorno. Almeno uno. Eppure erano le famiglie più numerose del mondo. Qualcuno la definisce incoscienza quella tendenza della gente povera a fare figli, ma è forse quest’incoscienza che assicura un ricambio generazionale?

Quello di Napoli è l’altro volto della nostra Italia, forse il più colorito e misterioso. È vero sono di parte, io napoletana doc, innamorata della mia terra. La mia Partenope così bella e dannata. Chiunque può trovare qualcosa di cui sparlare qui, ma tutti ne invidiano il patrimonio culturale e spirituale, dove anche la delinquenza ha un limite e si continua a fare figli anche nell’indigenza, perché “dove mangiano due, mangiano pure tre”.

Nei giorni di Natale puoi salire Via Duomo, visitarne le strade e poi scendere giù verso San Gregorio Armeno, dove gli artigiani più bravi al mondo sono all’opera da sempre per costruire i presepi più belli e più antichi dell’universo. Sì, anche questo è rimasto giù a Napoli, in quella terra di dannati che molti disprezzano, la tradizione legata al presepe permane. E non abbiate paura della vicina Forcella: è Natale anche per i delinquenti. Ovunque sembra essere scomparso il presepe, ma qui i pastori parlano e continuano ad annunciare la venuta di un bambino misterioso.  Ci sono ancora gli angeli che vegliano con le vesti splendenti di broccato finissimo, il profumo del muschio, le pecore con il manto di riccioli grigi. Nell’aria il profumo di zucchero filato e di noccioline caramellate, e qua e là qualche statua profana che attira l’attenzione dei turisti. Ma il protagonista assoluto è ancora lui: il Bambino. Quell’immagine carnosa riprodotta artigianalmente in ogni dimensione, che ti sorride e tende le mani pur essendo nudo. Povero e nudo. Non ha nulla, se non la speranza del domani, e forse i napoletani tra tanti difetti, hanno un pregio. Con l’aiuto della loro santa incoscienza continuano a credere che i bambini sono soprattutto questo: la speranza del domani.




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