Battesimo del Signore - Anno B - 7 gennaio 2018

Scendere con Gesù nel fiume Giordano per imparare ad amare

di fra Vincenzo Ippolito

Amare significa entrare nella vita delle persone che ci sono accanto non nelle grandi occasioni, ma nell’ordinarietà. Amo veramente l’altro se mi immergo nei pensieri che egli vive, nelle preoccupazioni che si porta nel cuore, nei drammi che cela e di cui i suoi occhi sono lo specchio.

Dal Vangelo secondo Marco 1,7-11
In quel tempo, Giovanni proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».
Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».

 

Sotto il nome di manifestazione del Signore la liturgia del tempo di Natale lega tre eventi della vita di Gesù: l’Epifania con l’adorazione dei Magi, il Battesimo del Signore al fiume Giordano per mano del Battista e le nozze di Cana, con la trasformazione dell’acqua in vino. Si tratta di tre momenti nei quali Gesù si rivela a tutti gli uomini Figlio di Dio, Messia e Salvatore del mondo. Oggi ricordiamo l’evento del Battesimo del Signore che determina, in meno di due settimane, un salto di circa trent’anni dalle narrazioni che hanno scandito il tempo di Natale. Guardando a Gesù che si immerge nelle acque, ci è offerto di ritornare al fonte battesimale nel quale siamo rinati, per la potenza dell’acqua e dello Spirito Santo, come figli di Dio, nel grembo della Chiesa che è nostra madre. Il dono della figliolanza divina è gioia e responsabilità ed è in famiglia che si riceve questo dono, si impara a vivere la grazia di quell’evento, mettendo a frutto la potenza dello Spirito di Cristo che da quel momento ha posto in noi la sua dimora.

I necessari passaggi della vita

La festa odierna, con il brano evangelico di Mc 1,7-11, ci conduce nuovamente lungo il fiume Giordano, dove già abbiamo incontrato Giovanni che predicava la conversione ed un battesimo di penitenza per il perdono dei peccati. Era la II Domenica di Avvento (10 dicembre 2017) e la liturgia, attraverso la figura austera del Precursore voleva preparare le strade del cuore alla venuta del Signore nel mistero del suo Natale. Il brano evangelico odierno, invece, introducendo la lettura continua del secondo Vangelo che guiderà il nostro cammino in questo anno liturgico, ci descrive la scena del battesimo del Signore, momento significativo in tutti i Vangeli sinottici, menzionato anche nel Vangelo secondo Giovanni (cf. Gv 1,28). Diversamente da Matteo e da Luca che arricchiscono la scena con particolari che orientano l’evento alla vita pubblica del Redentore, l’evangelista Marco, secondo lo stile che lo caratterizza, è essenziale nella sua descrizione, offrendoci un quadro scarno, ma non per questo privo di incisività e di rimandi esistenziali per la nostra vita di fede. Dobbiamo, infatti, abituarci a questo nuovo modo di raccontare che scandisce il Vangelo secondo Marco, imparando ad andare all’essenziale nella relazione con Cristo e nel tradurre in vita la sua parola di salvezza.

Il quadro narrativo così come ci è presentato è compatto, ha un inizio chiaro – l’espressione che troviamo nei testi originali non è “In quel tempo” introduzione che si premette sempre ai brani liturgici, ma “E avvenne” o anche “Ed ecco” che indica un nuovo racconto – mentre con Mc 1,12 lo Spirito che sospinge Gesù nel deserto indica il cambiamento di luogo e di azione, con l’inizio di un nuovo quadro narrativo. La nostra pericope è quindi formata da appena tre versetti (cf. Mc 1,9-11) che sono una sintesi straordinaria di cosa significa per Gesù iniziare una vita nuova e lasciarsi portare dallo Spirito Santo, in un modo totalmente nuovo, per realizzare la missione affidatagli dal Padre.

Il primo dato che emerge subito dalla lettura del brano è la centralità di Cristo. L’Evangelista, infatti, non presenta altri personaggi oltre Giovanni il Battista. Sembra, infatti, che l’Evangelista ci tenga a sottolineare come il cuore della scena sia Gesù Cristo ed in tal modo il battesimo, prima che avere un significato per i presenti, riguardi Lui in prima persona, nell’esperienza unica che Egli fa della potenza dell’amore del Padre, nell’umanità che il Verbo ha assunto nel grembo di Maria. Scrive Marco “Gesù venne da Nazaret di Galilea” (v. 9). In modo semplice ed immediato l’Evangelista descrive uno spostamento di luogo che nasconde un passaggio significativo nella vita del Figlio di Dio fatto uomo. Da Luca che ci descrive, unitamente a Matteo, alcuni quadri dell’infanzia di Gesù, sappiamo che i primi anni della vita del Cristo sono stati scanditi dalla crescita in età, sapienza e grazia (cf. Lc 2,40. 52), oltre che dalla totale sottomissione ai suoi genitori (cf. Lc 2,51). Ora sembra che Marco rompa il silenzio e sulla tela resa bianca dalla predicazione del Battista compaia il Messia promesso ed atteso. Egli è colui che viene e realizzando quanto Giovanni aveva annunciato, durante la sua predicazione – “Viene dopo di me colui che è più forte di me” (Mc 1,7) – mostrando che Dio non si fa attendere e sempre viene incontro all’uomo per donargli la vita e la salvezza.

Gesù viene da Nazaret, scrive Marco, facendoci comprendere che è lì la sua patria, dove ha trascorso il suo tempo di formazione, il noviziato che lo ha preparato alla vita pubblica e alla missione tra le genti. Si tratta di un momento che fa da spartiacque tra la vita nascosta a Nazaret e l’annuncio del Regno (cf. Mc 1,15), un momento di passaggio che segna un nuovo inizio nella vita di Gesù. Ad agire è Lui, il Figlio di Maria e del carpentiere Giuseppe, Egli si rende conto che è giunto il tempo di iniziare a lasciarsi plasmare ancor più potentemente dallo Spirito del Padre perché è arrivato il momento di occuparsi – lo aveva confessato Egli stesso, dodicenne nel tempio – “delle cose del Padre mio” (Lc 2,49). Gesù sembra tagliare in maniera netta con la vita di prima, con gli anni della sua vita nascosta nei quali è stato educato da Maria e da Giuseppe o, per meglio dire, che è ormai il tempo di mettere a frutto ciò che ha imparato tra le pareti della sua casa di Nazaret. Gesù è cresciuto, è ormai adulto, deve aprirsi al progetto del Padre e compiere la sua opera, nella forza che lo Spirito gli infonde. deve iniziare la sua missione tra le genti, gettandosi nella storia con la stessa dinamica che ha fatto sua nell’Incarnazione, vincendo ogni paura con la certezza che non sarà mai solo, perché il Padre è con Lui, sempre. Sarà questa l’esperienza anche dell’apostolo Paolo che scriverà “Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l’ho abbandonato” (1Cor 13,11). Gesù ha abbandonato ciò che aveva scandito la sua vita di un tempo, senza per questo ripudiarla. Esiste, infatti, una stretta relazione tra le due fasi della sua esistenza. Difatti, mentre la vita pubblica è la chioma del grande albero della vita terrena del Signore, gli anni di Nazaret rappresentano come le radici, donano linfa alla predicazione e all’annuncio della salvezza, ma rimangono nel terreno, sconosciute ai più. Il terreno della vita del Signore, nutrimento dei suoi anni di annuncio è la relazione filiale con il Padre, la sua frequentazione della Scrittura, il culto del suo popolo che scandisce la sua fede. Gesù ha trascorso ben trent’anni nella formazione, forgiando il suo Cuore all’obbedienza e avendo come maestri impareggiabili di docilità e di totale confidenza in Dio i suoi Genitori. Il suo è come il volo di un uccello dal nido, necessario ed inevitabile per vivere nella volontà di Dio così da piacere a Lui solo. Per Gesù partire significa lasciare Nazaret che è e rimarrà la sua patria, ma da vedere con gli occhi di chi riconosce che il tempo della formazione e della crescita è terminato, perché bisogna navigare in mare aperto e lasciare il porto. Nazaret per il Figlio di Dio fatto uomo è sinonimo di affetti e di relazione importanti, ma Colui che chiederà di non permettere a nulla e nessuno di rallentare la corsa della sequela, Egli per primo vive il distacco e il lasciare casa, parenti, fratelli, case e campi per il Vangelo (cf. Mc 18,29). Totalmente libero, Gesù è proteso a fare ciò che il Padre gli chiede.

Le partenze sono momenti importanti nella vita di ciascuno di noi. Non lascia forse l’uomo la sua casa per essere una sola carne con la sua sposa? Lo dice la Scrittura: “L’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne” (Gen 2,24). Così anche i figli, per essere maturi devono uscire dalla gabbia dorata dei loro affetti e librarsi nel cielo della vita, vivendo l’avventura dell’imprevedibile e anche il disorientamento della novità, altrimenti non si diventa adulti. Dobbiamo sapere, illuminati dallo Spirito di Dio, quando è il tempo per andare, per uscire, per partire, per distaccarsi da luoghi e persone, rapporti belli, ma che non possono bloccare in noi la corsa della Parola del Padre, l’obbedienza alla sua voce. Dobbiamo imparare a saper vivere le novità, ad essere decisi come Gesù nel perseguire il bene, nel seguire la volontà di Dio. Non si tratta di un uscire senza meta, ma di andare sorretti dalla grazia del Signore e dal desiderio che ci brucia nel cuore di compiere la sua volontà che è per noi sorgente di gioia e di pace vera.

La grazia di Dio nell’acqua

Conoscendone lo stile, non stupisce che l’Evangelista, narrando la scena del battesimo, non ci offra notizie particolareggiate che possano esaurire le nostre curiosità. Scrive unicamente “[Gesù] fu battezzato nel Giordano da Giovanni” (v. 10). Sappiamo, da quanto lo stesso Marco aveva detto in precedenza, che Giovanni “battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati” (Mc 1,4) e che molti “si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati” (Mc 1,5). Stupisce il fatto che Gesù si sia assoggettato ad un rito penitenziale, Lui che non conosceva peccato e sulle cui labbra non ci fu inganno. Il battesimo, per coloro che lo ricevevano dalle mani del figlio di Zaccaria ed Elisabetta, era l’inizio di una vita nuova, più radicalmente rispondente alla volontà di Dio, codificata nella Legge dell’Antico Testamento, una tappa di passaggio che portava a impetrare la misericordia di Dio sui peccati commessi per vivere nella grande tradizione dell’Israele fedele e pio. Conversione è proprio questo, decidere di cambiare vita, ritornando indietro, lì dove ci si era allontanati da Dio per riallacciare con Lui un rapporto rinnovato di amicizia, di amore ed obbedienza. Per Gesù il battesimo ha, invece, un significato diverso. Prima di tutto manifesta la solidarietà di Dio nei riguardi degli uomini che sono immersi nelle acque del peccato. Egli non solo cammina sul mare, ma entra consapevolmente nel mistero del nostro errore e se ne fa carico, come accadrà sul Golgota, assume il peso dei nostri dolori, partecipandovi spinto dall’amore che nutre per noi. Chi ama non resta impassibile dinanzi a qualunque difficoltà che la persona amata vive, anzi, più i problemi sono gravi, le situazioni insormontabili e non facilmente ravvisabili le soluzioni e più chi ama se ne fa carico, ne assume l’amarezza, sposandone le conseguenze per quanto tragiche possano apparire, infondendo tutto il suo amore e la gioia di donarsi senza paura perché la vita della persona amata sperimenti l’aurora che solo l’affetto vero e sincero concede. L’amore è per se stesso forza di solidarietà, capacità di abitare l’altrui debolezza, grazia di condividere la disarmonia che si soffre, sorriso di compassione dinanzi al dolore, parola di consolazione che nel buio riesce a ravvisare sempre la presenza misteriosa della luce che viene dall’Alto. Gesù entra nell’acqua del Giordano non per farsi sommergere dal nostro errore, dalla tristezza del nostro peccato, dal malumore delle nostre lamentele, dalla durezza del cuore che sempre si ribella a Dio e alla sua volontà. Gesù non ha paura di entrare a contatto con noi, perché, come nel caso dell’emorroissa e degli altri numerosi ammalati da Lui sanati, non è il nostro male a contaminarlo, ma la sua grazia che ci salva, perché vince il nostro peccato e ci restituisce la dignità perduta con la caduta di Adamo ed Eva. Cristo entra nell’acqua, sceglie di farsi battezzare per contagiare la sua gioia, trasmettere la sua pace, passarci la sua grazia, comunicarci la sua misericordia, far vincere in noi la potenza del suo amore a cui nulla è impossibile. L’acqua che Egli lambisce con il suo corpo santo ha da Lui ricevuto la grazia della santificazione e noi, immergendoci in essa, riceviamo la grazia che ci rigenera, la potenza che ci salva, la misericordia che sconfigge il nostro peccato e ci rende figli della luce e del giorno. A chi serve la solidarietà se non risana, la compassione se non risolleva, l’amore se non guarisce, la vicinanza se non consola? Gesù entra nel mistero della nostra vita e dall’interno ci risolleva. In tal modo il mistero del suo battesimo rappresenta una tappa importante del suo cammino di incarnazione. Egli vuole entrare nella nostra vita, condividere i drammi che ci portiamo dentro per essere l’Emmanuele, il Dio con noi e per noi, per farci conoscere che Dio ama l’uomo non a parole, ma facendosi prossimo ad ogni uomo e che è capace, misteriosamente, di cambiare la nostra vita, facendo in noi meraviglie con la potenza del suo Spirito.

Guardando Gesù che scende nel Giordano impariamo che amare significa entrare nella vita della persona che ci sono accanto non nelle grandi occasioni, ma nell’ordinarietà. Amo veramente l’altro/a se mi immergo nei pensieri che egli/ella vive, nelle preoccupazioni che si porta nel cuore, nei drammi che cela e di cui i suoi occhi sono lo specchio. Amo veramente se mi immergo nella vita della persona che condivide con me la grazia del sacramento nuziale, se non pretendo che mi faccia entrare nel suo cuore, ma se mi incarno con l’amore che bussa e attende di essere accolto senza pretese. Cristo mi insegna a scendere dal mio piedistallo, sul trono dal quale spesso guardo e giudico, ordino e intimo perché un amore che crea distanze non è amore, un affetto che non entra nel buio di una vita che anela alla luce, pur non riuscendoci, non è autentico. Tutti abbiamo bisogno di essere salvati dalle sabbie mobili del nostro orgoglio, dalla melma che nostro egoismo. Gesù ci mostra che è possibile essere liberati solo se ci facciamo carico del peso che l’altro ha sulle spalle, che la schiavitù della paura può essere vinta solo a prezzo di sporcarsi immergendosi nella vita dell’altro che, per quanto difficile, ha straordinarie possibilità di risorgere con la forza del Risorto. Il Figlio di Dio si immerge nell’acqua tutto interamente, altrimenti che incarnazione sarebbe la sua, che amore rivelerebbe, che solidarietà vivrebbe. Così anche noi, se non ci immergiamo, ci sporchiamo nella vita dell’altro, se non penetriamo nel suo cuore inquieto, non riusciremo mai a comprendere l’acqua agitata della sua interiorità e saremo portati sempre a vedere dall’esterno, mai a condividere dal di dentro e così vedere le situazioni non dal nostro punto di vista, ma da quello di chi la vive e spesso la subisce senza risolversi. Non posso dire di amare, sembra dirci Gesù, se non entri, ti immergi, ti bagni, ti sporchi e metti la tua testa nel mare del cuore della persona che ami, semplicemente per immettere nel tessuto della sua vita quell’amore insopprimibile che dentro di te, per la forza di Dio è un fuoco divoratore.

Consacrato di Spirito per annunciare il Vangelo con la vita

C’è un’altra ragione che giustifica il battesimo di Gesù nel fiume Giordano ed è la necessità che Egli riceva, nella sua umanità, la forza ed il vigore dello Spirito Santo. Il Figlio di Maria, infatti, deve essere consacrato per la missione che ha ricevuto dal Padre e che la permanenza nel deserto, nell’ascolto della Scrittura e nella lotta contro il demonio, renderà sempre più chiara. San Luca, per bocca di Pietro nella casa di Cornelio, lo dirà: “Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui” (At 10,38). Gesù è il Figlio di Dio fin dal suo concepimento – negarlo significa cadere nell’eresia che va sotto il nome di adozionismo – ma nel battesimo la sua umanità riceve l’unzione dello Spirito Santo in vista della missione. Marco descrive bene questo momento nella vita del Signore “E subito, uscito dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba” (v. 10). L’avverbio subito che l’Evangelista riporta indica che Gesù non ha bisogno di confessare i peccati, essendo Egli l’innocente, tutto santo, mentre la descrizione che segue mostra come tutta la sua vita sia sotto la signoria dello Spirito che è il segno della relazione filiale che Egli vive con il Padre. Leggendo bene il testo ci rendiamo conto che l’Evangelista, pur se in maniera scarna, evidenzia proprio questa relazione che Gesù vive con il Padre, nello Spirito Santo. Il Consolatore che scende su Gesù sotto forma di colomba rappresenta il segno concreto dell’amore che il Padre nutre per il Figlio suo unigenito, amore eterno che il Verbo sperimenta da sempre nel seno di Dio, legame intimo di eterna tenerezza che, nel cuore stesso della Trinità, lega il Padre al Figlio, da sempre e per sempre. Lo Spirito è l’amore del Padre che consacra il Figlio fatto uomo, conferma la sua missione, lo abilita alla predicazione, lo spinge all’annuncio del Regno e lo rafforza per non soccombere al mistero dell’iniquità che il demonio semina nel mondo. Gesù ha bisogno dell’amore del Padre per vivere la sua missione tra gli uomini, deve sentirsi sostenuto da Lui e dalla certezza del suo sguardo che precede, accompagna e segue la sua opera, il suo amore è indispensabile perché la parola del Vangelo sia sparsa nei cuori degli uomini. Lo Spirito è la certezza che il Padre non lascia solo il Figlio e il suo discendere su di Lui nel momento in cui Egli vive la sua solidarietà con gli uomini immersi nei gorghi del peccato sta ad indicare che il Padre ama il Figlio nella sua umiliazione iniziata con l’incarnazione e sempre accompagnerà il Diletto del suo cuore in questa discesa progressiva nel mistero dell’umanità fino alla croce perché Egli dia inizio a quel cammino di risalita che conduce tutti i figli di Abramo a ritornare nell’abbraccio del Padre.

All’azione – lo Spirito della compiacenza scende su Gesù – si unisce anche la voce che il Padre rivolge al Figlio, mentre Egli riemerge dall’acqua, in quel gesto che sta ad indicare il motivo del suo incarnarsi, portare l’uomo ad essere risollevato dal peccato per vivere in Dio. “Tu sei il mio figlio, l’amato, in te ho posto il mio compiacimento” (v. 11). È bello per noi contemplare la pienezza dello Spirito che scende su Gesù, vedere come la sua unzione lo profumi di Dio, il suo abbraccio lo circondi della divina tenerezza, la sua luce lo illumini di chiarezza sempre più profonda della divina volontà, la sua mano lo conduce sui sentieri del piacere unicamente al Padre. È bello per noi ascoltare la voce del Padre che conferma il Figlio nella sua umiliazione, sostiene la sua sottomissione, ama la sua solidarietà con gli uomini, si compiace della sua incondizionata obbedienza al suo progetto di salvezza. Su Gesù lo Spirito scende e rimane (cf. Gv 1,33), si costruisce la sua casa, ne fa la sua dimora, la sua sorgente zampillante. È lo Spirito che porta Gesù a non sentirsi mai solo, ma a procedere con coraggio nel fare ciò che piace al Padre, senza che nulla e nessuno possa frenare la corsa del suo amore, la marcia del suo abbandono, la consegna della sua volontà, il sorriso della sua confidenza, la gioia della sua obbedienza, la volontà di ricambiare l’amore ricevuto nella forza dello Spirito-amore che vive in Lui.

Dobbiamo imparare a legare meglio il mistero della Trinità nella nostra vita, mettendo a frutto la grazia che abbiamo ricevuto in dono. Se Cristo vive dell’amore del Padre che è lo Spirito Santo, anche noi siamo chiamati a comprendere che la grazia del Consolatore effusa su di noi attraverso i sacramenti della chiesa ci lega al Padre e ci porta a vivere come Gesù totalmente rivolti a Lui per compiere ciò che a Lui piace. Lo Spirito non è staccato dal Padre, ma è la potenza del suo amore che spinge Gesù a vivere di Lui e per Lui. Se guardiamo alla nostra vita, lo Spirito che ci è donato è lo Spirito di Cristo che ci conduce per mano a fidarci del Padre ad affidarci completamente a Lui perché la sua volontà si compia in noi, proprio come è accaduto in Gesù che è il nostro Maestro. Come lo Spirito-amore spinge Cristo a consegnarsi nell’obbedienza, così il Soffio di misericordia e perdono che il Risorto alita sulla Chiesa il giorno di Pasqua (cf. Gv 20,22) rappresenta l’energia nuova che ci porta a mettere la nostra vita a disposizione del Vangelo per la trasformazione della storia in regno di Dio.
Il discepolo di Cristo, guardando il Maestro, è chiamato a fare della volontà del Padre la ragione del suo agire e della docilità allo Spirito la sorgente della sua forza e del suo impegno nel mondo. Ascoltare la voce di Dio è quello che dobbiamo imparare da Gesù. Marco ci tiene a sottolineare che è Lui a vedere i cieli aprirsi e lo Spirito scendere sotto forma di colomba, quasi a dire che l’esperienza è fatta e percepita da Gesù. La relazione con Dio, anche se porta frutti nella comunità domestica ed ecclesiale, è prima di tutto una realtà intima, personalissima con Dio. Gesù vive l’intimità con il Padre e lo Spirito ne è il segno concreto. Dare spazio e tempo a crescere in spessore di intimità significa per ciascuno di noi riuscire ad entrare in empatia con Dio Padre nella forza dello Spirito di Cristo, lasciando che Lui ponga in noi la sua dimora. Solo così la nostra vita, come quella di Cristo, diverrà una sorgente che zampilla dello Spirito e testimonia che siamo tempio vivo della santa Trinità.

Tempo per fare memoria grata

Leggere il brano della presentazione di Gesù al tempio (cf. Lc 2,21-40) nella festa della santa Famiglia significa ripensare a ciò che deve scandire la nostra vita: l’offerta ed il dono di se stessi, l’accoglienza dell’esperienza di coloro che ci hanno preceduto, l’umiltà dell’ascolto e la capacità di aprirsi al futuro il cui significato verrà gradualmente rivelato da Dio nella nostra storia quotidiana. Maria e Giuseppe vivono di meraviglia e di stupore, sanno di non sapere tutto, ma accolgono di vivere nel mistero e di lascarsi portare da Dio. È questo che anche noi dobbiamo imparare, permettendo allo Spirito di guidare i nostri passi e di spingerci interiormente a riconoscere la presenza di Cristo nella vita di oggi per metterci al servizio dell’azione silenziosa, ma potente di Dio nella storia del mondo.




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stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).

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2 risposte su “Scendere con Gesù nel fiume Giordano per imparare ad amare”

Secondo il mio umile e sommesso pensiero si potrebbe dire che Gesù scendendo sul fiume Giordano e facendosi battezzare,da Giovanni il Battista, accoglie su di sè e si carica dei peccati del mondo, Lui che non ha peccato e si fa peccato per noi, per poi andare a scontare sulla Croce del Golgota i peccati di tutta l’umanità. In questo caso le acque del Giordano, osservate da un lato prettamente umano, sono piene delle impurità di tutta l’umanità. Ma la presenza Divina di Gesù purifica le acque della nostra umanità e le rende Limpide e Trasparenti, perchè è Gesù stesso con la sua presenza che rende pure le acque del nostro divenire quotidiano, perchè dove c’è Lui c’è la Luce, rinasce la Speranza della Vita Vera; dove c’è Gesù c’è la Purezza ed il Profumo della Grazia Divina.

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