Vita

“Abortire è come morire, solo che non smetti mai di farlo”

tristezza, aborto

foto: @di ker_vii - Shutterstock.com

Storia di L. raccontata da Ida Giangrande

A poche settimane dalla 40° Giornata per la Vita la storia di morte e resurrezione di una madre. “Oggi lo so, mio figlio mi ha perdonata, ma io? Sarò mai capace di perdonare me stessa?”.

Quello che mi colpì quando entrai in quell’ospedale fu quella statua. Una statua della Vergine Maria racchiusa in una nicchia scavata nelle pareti bianche. Guardai il corridoio: una linea lunga con una serie di porte alcune chiuse, altre aperte. Da qualcuna di esse proveniva il pianto di un neonato. Le interruzioni di gravidanza spesso si fanno proprio lì, nel reparto di ostetricia e ginecologia, e per un beffardo gioco del destino dove alcuni bambini nascono altri muoiono.

Non dovrebbe stupirmi. In fondo non è questo che accade nei nosocomi di tutti il mondo? Lì dove l’uomo cammina sulla linea di confine tra la morte e la vita qualcuno vive e qualcun altro invece muore.

Sorrisi facendo spallucce: quando ti trovi in condizioni come la mia non puoi fare altro che sorridere ironicamente. Mia madre mi sollecitò ad entrare, il medico mi stava già aspettando e fu solo questione di pochi minuti. La trafila mandata a memoria: indossa un camice, stenditi sul letto, una leggera anestesia e poi via per un viaggio all’inferno.

Nessuno te lo dice prima. Ti fanno credere che l’aborto è una soluzione indolore per il bambino e per te. In giro ne senti parlare come di una conquista dell’emancipazione femminile. Un diritto acquisito che deve essere garantito. Ma intanto io sono lì e mentre la vita scivola via dal mio grembo insieme al sangue che fuoriesce a fiotti, a me sembra di entrare in un buio profondo e freddo. Un supplizio lento che consuma la vita, corrode l’anima, e ti ritrovi dopo anni a soffrire di ansia e di crisi di panico senza sapere perché.

Se ti guardi allo specchio ti vedi come la terra del deserto, arida, senza vita. Il volto di una persona anziana, avvizzita, con la pelle solcata da profonde rughe e lo sguardo senza vita. “Avrai altri figli!” ti ripetono quelli che lo sanno, quei pochi a cui è stato detto, perché se l’aborto è un diritto della donna, quando lo si fa è meglio non farlo sapere in giro: troppa vergogna, troppe domande, troppe spiegazioni. L’anima sa ciò che la ragione vuol negare, e quando comprendi la grande ipocrisia che si nasconde dietro ogni aborto è troppo tardi. Non puoi fare nulla per tornare indietro, impari a mentire di fronte alle loro parole. Sorridi, inclini un po’ la testa, distogli lo sguardo in un’aria vaga. Menti e continui a mentire facendo credere che te ne sei convinta anche tu, che abortire era l’unica soluzione possibile, e in realtà stai mentendo anche a te stessa. Poi avviene sul serio, un’altra gravidanza in una condizione diversa. Certo ora sei sposata, c’è una casa, un marito, una condizione stabile, ma tu in fondo sei la stessa. Alzi gli occhi al cielo e quasi non ti sembra possibile che proprio il grembo che era stato la tomba di uno dei miei figli poteva essere la culla dell’altro.

Abortire è come morire, solo che non smetti mai di farlo. Sei madre ancora, questa volta lo stringi tra le braccia, ti sforzi di amarlo di più di come dovresti perché ti senti in colpa, mentre ogni anno nel giorno della sua morte vai ad accendere una candela per rinnovare quel dolore e continuare a sentirti in colpa, perché sentirti in colpa vuol dire condividere il buio insieme a quel figlio cancellato.

Ma da qualche parte quel Signore che è dentro di te, ti dona il coraggio di spingere lo sguardo oltre l’orizzonte, dove la morte diventa vita, il peccato è perdonato e le catene sono spezzate. Mi è stato detto che il mio bambino mi ha perdonata, che è seduto sulle ginocchia di Dio, cullato dai santi e vegliato dagli angeli. Ma io? Riuscirò mai a perdonare me stessa? Non so rispondere a questa domanda, so solo che se qualcuno mi avesse detto prima cosa sarebbe successo dopo nella mia anima, forse non avrei mai abortito mio figlio.

La mia psicologa dice che devo ripercorrere la via del dolore. Dopo svariati anni da quel giorno ho saputo che l’ospedale dove ero andata per l’interruzione di gravidanza aveva chiuso i battenti, mancanza di fondi, tagli al personale, solite scuse. Mi sono detta che era l’occasione giusta, che era giunto il momento di affrontare le mie colpe ed ho trovato il coraggio di ritornare lì, in quel posto abbandonato dove la mia anima era rimasta sepolta. L’ho ritrovata ferita in mezzo ai calcinacci e agli utensili in disuso e me la sono ripresa così com’è, acciaccata, indelebilmente ferita, ma pur sempre la mia anima.




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2 risposte su ““Abortire è come morire, solo che non smetti mai di farlo””

Come in molte situazioni che si presentano in questa valle di lacrime, occorre distinguere e riflettere sui singoli casi. Per giungere alla decisione di interruzione di una gravidanza evidentemente ci sono molti fattori che possono influire a compiere tale gesto: età, situazione sociale, modalità per cui si rimane incinte ecc.ecc. Eppoi,diciamocelo, ci sono anche modalità per non rimanere incinte… Sono un papà, viva la vita

Grazie per questa storia vera. Sono quasi tutte simili, nel dolore e nella rinascita. Gli uomini devono difendere la vita farsi stimare dalle donne per creare una mentalità pro life. Gli abortisti non capiscono ma noi continuiamo a difendere le donne.

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