Baby gang

“Dietro le baby gang, l’assenza della famiglia”

bullismo

a cura delle Redazione

Violenza brutale e immotivata ai danni di ragazzini inermi e per opera di coetanei: è il triste fenomeno delle baby gang. Una questione non solo napoletana, che interpella soprattutto adulti, educatori e genitori. Sull’argomento abbiamo sentito don Francesco Riccio, responsabile della pastorale giovanile della Campania.

Sono crocchie di ragazzini dai 9 ai 12 anni, le mani armate di spranghe, catene, coltelli e il cuore che vomita violenza. Le aggressioni si susseguono come una moda che si diffonde a macchia d’olio, tra Napoli, Roma e Torino. Ovunque la parola d’ordine è: far paura.

Bambini o poco più, che pur di farsi sentire da quel mondo di adulti troppo distratti, troppo indaffarati, stanchi di essere genitori, alzano la voce, si comportano da soldati in guerra.

Ma c’è anche un altro inquietante retroscena dietro il triste fenomeno delle baby gang: l’ombra oscura della criminalità organizzata che tenta di fare incetta di manodopera a buon mercato, sfruttando la miseria e il miraggio di facili guadagni. È così che i ragazzi dimostrano ai boss di saperci fare. È così che tentano di scappare dall’anonimato: accerchiano, offendono, umiliano e poi picchiano forte fino quasi ad uccidere.

Un fenomeno preoccupante che si estende in molte regioni d’Italia ma sembra far parlare di sé soprattutto a Napoli. Per capire meglio il fenomeno che sta interessando il capoluogo partenopeo, e perché la repressione, da sola, non basta, partiamo dai dati. In Campania nascono circa 53.000 bambini all’anno, e il 34,5% di questi nasce da madri con un numero di anni di istruzione inferiore, o uguale, a 8. Madri che hanno a stento completato la scuola dell’obbligo. Il 62,8% delle madri e il 17,4% dei padri campani, poi, non ha un lavoro.

A guardare questi dati viene da chiedersi: il problema dunque è legato all’assenza di un lavoro e alla mancanza di un’istruzione adeguata? No, secondo il Cardinale Crescenzo Sepe, arcivescovo di Napoli che in un’intervista rilasciata ieri al quotidiano Avvenire, ha individuato la radice del problema: l’assenza di una famiglia. “È la legge della strada, in mancanza della legge della famiglia – ha detto – i genitori per scelta o per necessità non si curano di loro, quasi li ignorano. E questi ragazzi restano vuoti dentro. È crisi economica? No! È crisi di valori. Di chi la responsabilità? Di tutti. Su tutta la società grava il peccato di omissione”, ha dichiarato il Porporato. “In questi anni si è andata sgretolando la famiglia, soprattutto nelle aree più precarie dove è maggiore il disagio, dove anche le condizioni ambientali stravolgono i sentimenti, il modo di pensare e di rapportarsi all’altro, il senso civico, il rispetto delle regole. Così, vivere sopra le righe o avere in dispregio la legge e sentirsi diversi dagli altri componenti della comunità per alcuni diventa una conseguenza quasi naturale, se non motivo di orgoglio”.

Dello stesso avviso è don Francesco Riccio, responsabile della pastorale giovanile della Campania che, raggiunto al telefono, ha dichiarato: “Ci troviamo di fronte a un fenomeno che interessa le grandi città, tutte le grandi città, non solo Napoli. I giovani, anzi potremmo dire giovanissimi, che si rendono responsabili di questi veri e propri atti di violenza, sono ragazzi che hanno alle spalle famiglie frantumante. Una vita fatta di assenze, genitori in galera, genitori single, e ancora, famiglie sperate. Ma il fenomeno è molto più intenso e preoccupante di quello che sembra perché tra i protagonisti di queste baby gang non ci sono solo figli di criminali o abitanti di quartieri malfamati. Spesso si contano anche figli di persone perbene, di famiglie agiate. Allora la domanda sgorga come una conseguenza naturale: cosa spinge questi ragazzi a macchiarsi di crimini così umanamente assurdi come aderire alla logica del branco e accanirsi in dieci su uno solo? La risposta è sotto gli occhi di tutti: genitori in fuga dal proprio ruolo, vuoti educativi e affettivi. La traduzione è: assenza di valori umani e civili. In tutto questo ogni agenzia educativa può fare molto nel ripristino di questi ragazzi, ma la prima agenzia a dover essere ripristinata è la famiglia”.




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