Adolescenti a rischio, baby gang e la perdita del senso di Dio

solitudine

Gli ultimi fatti di cronaca che hanno per protagonisti giovani ragazzi poco più che bambini, ci costringono a riflettere approfonditamente sullo stato di salute del nostro sistema. Il vuoto affettivo tra le cause principali, ma a ben guardare c’è qualcos’altro: la perdita del senso di Dio.

In questi giorni più che mai sentiamo parlare di adolescenti a rischio, baby gang, violenza e deviazione. Da madre sento il cuore gemere. Sono solo ragazzi, che si macchiano le mani del sangue di loro coetanei. Tutto questo non passerà senza aver lasciato profonde ferite nella loro anima.

Sociologi e psicologi sembrano essere tutti concordi nel dire che il fenomeno è la diretta conseguenza di un vuoto affettivo ed educativo: quello della famiglia. Premesso che sono perfettamente d’accordo con questa lettura, mi spingerei però oltre e indicherei anche l’analfabetismo religioso tra le cause della deviazione adolescenziale di cui siamo tristemente spettatori.

Sta per concludersi il decennio indetto dall’Episcopato italiano per il 2010-2020 sul tema “Educare alla vita buona del Vangelo”. All’inizio del decennio si respirava un clima di particolare attenzione alla questione dell’emergenza educativa poi, come spesso capita, l’emergenza è diventata normalità.

Non siamo ancora in tempo di bilancio ma gli ultimi fatti di cronaca richiamano la nostra responsabilità educativa. Interpellano la nostra coscienza, ci costringono a domandarci quale parte abbiamo noi in questo fiume di aggressioni e devastazioni.

È di appena qualche settimana fa l’esortazione di papa Francesco che, in occasione della festa del Battesimo di Gesù, ha detto: “Cari genitori, voi portate al battesimo i vostri figli. Questo è il primo passo per quel compito che voi avete, compito della trasmissione della fede”. Ha continuato con le sue paterne raccomandazioni: “Vorrei dirvi una cosa che tocca a voi: la trasmissione della fede soltanto si può fare in dialetto, nel dialetto della famiglia, nel dialetto di papà e mamma, di nonno e nonna. Poi verranno i catechisti a sviluppare questa prima trasmissione con idee, spiegazioni”.

Il Papa richiama dunque la nostra responsabilità nell’educare alla fede, ma la fede non è un insieme di norme e regole, non è una disciplina. La fede non si insegna, essa si trasmette, anche attraverso il linguaggio. E allora cari genitori da dove ripartire? Dall’acquisizione di una dato: i nostri figli non hanno più il senso di Dio. Hanno smesso di cercarlo. Non ne hanno più bisogno. Questo è il dato. I ragazzi di oggi non si pongono contro Dio e contro la Chiesa, hanno imparato a vivere senza Dio e senza la Chiesa. E non saprei dire da un punto di vista educativo cosa è più grave.

Qual è il consiglio dunque? Ripartire da qui, dal prendere coscienza del fallimento di una generazione che ha cercato e cerca tuttora di costruire un’altra verità, più facile, più a misura d’uomo. Negli ultimi decenni si è prodotta una rottura nella trasmissione generazionale della fede cristiana nel popolo cattolico e perciò sia noi che i nostri figli cerchiamo contenuti, metodologie, strategie per imparare il mestiere del genitore che non appartengono alla verità dell’amore. Tutto questo ci porterà a diventare sempre di più un surrogato di famiglia, un surrogato di persona. Dobbiamo tornare a Dio. Ecco l’emergenza. Il luogo dove ogni bambino può efficacemente imparare la presenza benevola di Dio, non è prima di tutto la Chiesa o l’oratorio, quanto piuttosto gli occhi della madre e quelli del padre. È dai genitori che i figli ricevono il primo annuncio, l’orientamento fondamentale dell’esistenza verso Dio.

I giovani estranei alla fede sono in verità figli di genitori che non hanno dato più spazio alla spiritualità. Genitori che hanno continuato a chiedere i sacramenti della fede, ma senza fede nei sacramenti. Hanno portato i figli in Chiesa, ma non hanno portato la Chiesa ai loro figli, hanno favorito l’ora di religione ma hanno ridotto la religione ad una semplice ora. Hanno chiesto ai loro piccoli di pregare e di andare a Messa, ma di loro neppure l’ombra tra i banchi. Mi chiedo dunque: possiamo scandalizzarci di questa perdita di civiltà che la nostra società sta registrando con le baby gang?

Vorrei poter concludere questo mio articolo con qualche consiglio pratico come uso fare di solito, ma qui purtroppo non ce ne sono di consigli pratici. C’è solo un augurio che posso farvi e consentitemi di farlo prendendo in prestito le parole di un santo, Giovanni Paolo II: “Non abbiate paura, aprite le porte del cuore a Cristo”. Cari genitori nella misura in cui saprete fare questo, imparerete anche a trasmettere la fede ai vostri figli.




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Giovanna Pauciulo

Sposa e madre di tre figli, insieme al marito Giuseppe è referente della Pastorale Familiare per la Campania, ha conseguito il Master in Scienze del Matrimonio e della Famiglia presso il Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II. Conduce su Radio Maria la trasmissione “Diventare genitori. Crescere assieme ai figli”. Collabora con Punto Famiglia su temi riguardanti la genitorialità e l’educazione alla fede dei figli. Con Editrice Punto Famiglia ha pubblicato: Vivere la Prima Eucaristia in famiglia (2018), La Prima Comunione di nostro figlio (2018).

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