Giornata per la Vita

Paola Bonzi: “Siamo tutti responsabili se una donna è costretta ad abortire per motivi economici”

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di Ida Giangrande

Madre di due figli, fondatrice e direttore del Centro di Aiuto alla Vita della Clinica Mangiagalli di Milano: Paola Bonzi, donna coraggiosa, tenera e accogliente che ha fatto della sua vita un canto di lode alla maternità.

È una sottile linea di confine quella che separa la gioia della maternità dalla paura cieca che spinge all’aborto. Centinaia di donne la attraversano ogni giorno, per andare a spegnere la luce di un vita nuova in quell’olocausto silenzioso che si consuma senza sosta negli ospedali di tutto il mondo.

Paola Bonzi ha scelto di restare lì dove la battaglia tra vita e morte si disputa senza esclusione di colpi. Non è una delle tante spettatrici indifferenti, lei è una madre che ha sperimentato la paura, la solitudine e ha scelto di combattere al fianco dei bambini e delle loro madri.

La raggiungo al telefono mentre si sta preparando per celebrare la 40° Giornata per la Vita. Ha una voce calda, di quelle che arrivano direttamente al cuore, annullano le distanze, abbattono ogni difesa e spalancano le porte all’amore. Le chiedo come ha cominciato. Lo faccio con la voce che trema di chi sa che deve entrare in punta di piedi in una storia troppo grande.

“È una scelta di vita”, mi dice con la semplicità che caratterizza la sua personalità. “Quando aspettavo il mio secondo figlio ho avuto qualche problema. Avevo dovuto assumere molti farmaci e i consigli di abortire si sommavano a dismisura. Ho vissuto un tempo molto difficile. Non volevo abortire, ma mi sentivo molto sola. Le paure mi opprimevano, è stata una gravidanza difficile. Quando è nato mio figlio la gioia è stata talmente grande che ho cominciato a desiderare di aiutare le donne che vivevano una condizione simile alla mia. Volevo essere loro compagna di viaggio. Volevo che non sperimentassero la solitudine sulla pelle. Contrariamente a quello che si crede nessuna madre prende una decisione del genere a cuor leggero. Così nel 1983 ho cominciato ad accarezzare il desiderio di entrare alla Mangiagalli, e il 12 novembre del 1984 abbiamo aperto le porte del Cav (Centro di aiuto alla vita).

Ho preparato delle domande, ma la disponibilità che avverto nell’intonazione affettuosa della sua voce, mi permette di andare a braccio: “Quanta influenza ha avuto la fede in questa sua scelta di vita?” le domando.

“È la risposta al mio battesimo. La risposta ad una vocazione. Senza fede non mi so immaginare in questa storia. Non appartengo a nessun gruppo, io mi sento assolutamente integrata nella Chiesa, anzi forse è proprio il Cav che, pur non essendo un’associazione ecclesiale né tantomeno politica, offre l’opportunità di fare esperienza di fede”. Le chiedo se ricorda il suo primo colloquio e subito penso di aver fatto una domanda sciocca, dato che sono passati trent’anni da quando Paola ha cominciato. Invece lei mi risponde con un sorriso straordinario e mi sembra quasi di vederla che si illumina in viso. “Certo che lo ricordo. Non eravamo ancora alla Mangiagalli. La psicologa della 194 mi chiamò e mi disse: «Ho qui una donna che è pronta per abortire. Se lei riesce a trovare un posto per questa donna che vive in una macchina, è probabile che non ci vada». Io le chiesi: «Quanto tempo mi dà?». Lei mi rispose: «Mezz’ora!». Mi sono attivata e sono riuscita a trovarle una casa. Non ho mai conosciuto quella mamma, ma il suo bambino è nato e ora ha 32 anni”.

“Quanti colloqui sono stati effettuati al Cav della Mangiagalli?”, le chiedo tornando alla mia tabella di marcia.

“Intorno ai 27mila ” risponde.

“Quanti bambini sono nati da questi colloqui? È possibile fare una stima?”. Non ha bisogno di pensarci, di impeto le sento dire: “Sono nati 21.200 bambini più quelli di mamme che dopo il colloquio non tornano più, ma tengono il figlio. L’esperienza mi dice che quando una donna vuole abortire non per motivi economici, basta un solo colloquio, spesso non la vedi più. Le donne bisognose, invece, tornano per i sussidi che offriamo. Mi capita di ricevere telefonate di una mamma che non ricordo di aver incontrato e che mi annuncia il settimo compleanno dei suoi gemelli nati proprio dopo un colloquio. Il cuore gioisce anche se i numeri sono freddi. Non trasmettono nulla ma, spesso, sono la prova matematica che a una donna basta poco per convincersi a non farlo. Una donna lo sa che quello lì è suo figlio”.

Sento un nodo alla gola. Per un attimo cerco la voce e non la trovo. Avevo preparato un’altra domanda e invece di getto mi sento dire: “Immagino che non sia facile accostarsi ad una donna che sta per abortire. Cosa dice? Quali parole usa?”.

Sorride e aggiunge: “Parlo con il silenzio. Ascolto molto. La chiamiamo strategia dell’ascolto attivo. Le donne che arrivano qui hanno bisogno di essere ascoltate. Ti consegnano il loro mondo senza nemmeno conoscerti. Sono divise interiormente, distaccate da se stesse. Dopo averle ascoltate, se ho uno spazio, propongo i nostri aiuti. Un colloquio mensile per 18 mesi di tipo psicopedagogico o piscologico. Il percorso sanitario con la nostra dottoressa, la preparazione al parto, gli incontri con l’ostetrica per l’allattamento, il massaggio del neonato, i gruppi bebè. Poi diamo i pannolini fino al primo anno di vita del bambino e un sussidio se la persona ne ha bisogno e ne ha bisogno quasi sempre. Infine ci sono gli alimenti di prima necessità, il corredino e le attrezzature necessarie”.

“È difficile sostenere tutto questo. Come vi procurate i mezzi?”, ormai ho abbandonato il mio pc e vado a braccio. Non è più un’intervista, ma una conversazione tra amiche.

“Comprandoli. – mi risponde seccamente – Abbiamo un bilancio di un milione e cinque/seicento mila euro ogni anno. Un terzo ci viene riconosciuto dall’Asl per le prestazioni professionali, il che vuol dire che un milione è da trovare attraverso raccolte fondi. Chiedere soldi non è facile. Dobbiamo ingegnarci in tutti i modi possibili. Domenica Giornata per la Vita vendiamo le primule ad esempio. In primavera faremo un concerto. In novembre il galà per la vita”.

“Negli ultimi tempi è stata pubblicata la relazione del Ministero della Salute sulla 194 che evidenzia il calo degli aborti in Italia ma l’aumento della pillola del giorno dopo. Come commenta questi dati?”.

“Non è vero che gli aborti sono diminuiti” squittisce. “Il nostro Paese ha un tasso di natalità bassissimo. Stiamo invecchiando velocemente. Gli aborti clandestini sono una voce non considerata in questa relazione. Anche le pillole del giorno dopo si possono ottenere clandestinamente. Magari gli aborti fossero diminuiti!”.

La nostra conversazione giunge al termine, ma io azzardo un’ultima domanda. Le chiedo qual è la ragione principale per cui le donne decidono di abortire? Lei mi risponde subito, senza indugiare: “In questo momento la povertà. Ogni giorno da noi in ospedale si fanno dieci aborti, sette sono per motivi puramente economici. Se offri un aiuto economico a una donna che sta per abortire, rinuncia e tiene il bambino. La domanda che da sempre io mi faccio è: quanto costa la vita di un bambino? Se una donna è costretta ad abortire per motivi economici, siamo tutti responsabili dei soldi che buttiamo via per motivi superflui. Tutti”.




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1 risposta su “Paola Bonzi: “Siamo tutti responsabili se una donna è costretta ad abortire per motivi economici””

Il popolo della Vita deve continuare con sempre più forza ed entusiasmo ad annunciare la bellezza e la sacralità della Vita, sostenerla, testimoniarla ogni giorno…. Forza tutti insieme! Nessuno escluso!

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