Padri separati

“La povertà dei padri separati, un effetto della fragilità della famiglia”

di Ida Giangrande

Nella Diocesi di Albano Laziale una casa d’accoglienza per padri separati, i nuovi poveri. Ne abbiamo parlato con il Vescovo, S.E. Mons. Marcello Semeraro, amministratore apostolico dell’Abbazia di Santa Maria di Grottaferrata e segretario del “Consiglio dei Cardinali” per la riforma della Curia romana.

Padri separati, “la nuova forma di povertà”. Molti degli articoli di giornale che affrontano l’argomento inquadrano più o meno così la situazione. Perché oggi un padre separato è considerato un nuovo povero secondo lei?

Le nuove povertà, categoria cui si ricorre da qualche tempo, sono povertà diverse da quelle del passato perché legate, spesso anche come loro frutto malato, a condizioni sociali nuove (consumismo, globalizzazione, mobilità estrema di ogni tipo…). Si tratta, in alcuni casi, di povertà non oggettivabili perché riferite a una condizione generale di vulnerabilità vissuta come senso d’insicurezza e d’instabilità, in cui una persona si ritrova con un percorso individuale incrinato dalla precarietà e fragilità, tanto a livello lavorativo quanto nelle relazioni sociali. È proprio questa la frequente situazione di un padre separato e anche perciò lo si annovera tra i “nuovi poveri”.

 

Può fare brevemente degli esempi?

Mi accadeva sempre più spesso di vedere uomini, soprattutto di mezz’età che, dopo avere parcheggiato la propria auto in piazza vescovile, con in mano una borsa entravano nel Centro di ascolto diocesano, allocato al piano terra della Curia diocesana. Poiché esternamente non m’apparivano persone particolarmente bisognose, assunsi informazioni dai nostri volontari. La risposta fu che si trattava di uomini separati, o divorziati che dormono in auto e poi passano dal Centro per provvedere alla pulizia e alle necessità igieniche. Questi nuovi poveri hanno sì uno stipendio mensile, ma necessitano anche di altro. Nella loro situazione i soldi sono quasi sempre un problema (mutui, doppio affitto, alimenti, costi giudiziari) ma ci sono tante altre sfide e su molti fronti. L’accesso al figlio è il principale: è come contingentato quasi ad orologeria; spesso vissuto nei non-luoghi del consumismo (paninoteche, centri commerciali, cinema…), anziché in una casa, diventata spesso rifugio di fortuna!

 

Potremmo definire questa una specie di matriosca? La povertà dei padri separati, nella più grande povertà delle famiglie ferite?

In qualche maniera sì: tutto comincia con la crisi famigliare… Nell’Esortazione apostolica Amoris Laetitia, Francesco ci chiede di riconoscere nella fragilità un carattere che collega oggi molte famiglie! Forse tutte. Occorre, dunque, una visione non parcellizzata, o frammentata su singole questioni, ma uno sguardo capace di “com-prendere” la realtà nel suo insieme al cui interno comprendere le singole e cercare risposte adeguate. La povertà dei padri separati è un effetto di questa assenza di sguardo ampio e lungimirante.

 

Per rispondere a questo tipo di emergenza, nella vostra Diocesi avete inaugurato una casa per padri separati, la casa d’accoglienza “Monsignor Dante Bernini”…

La risposta a questa emergenza va al di là delle forze di una Caritas diocesana ed esige sinergia, collaborazione anche con altre realtà: penso all’attenzione dovuta dallo Stato e al volontariato sociale. Per quest’ultimo osservo con gratitudine la proposta di fattiva collaborazione di diversi enti. Per me si tratta soprattutto di esprimere dei segni che aiutino la maturazione delle coscienze. L’attenzione ai padri separati/divorziati si aggiunge a quella già presente a favore delle ragazze-madri, per sostenere le donne vittime della tratta, l’assistenza sanitaria gratuita mediante ambulatorio mobile a persone italiane e straniere in condizioni di necessità… La casa Dante Bernini è un nuovo anello per una catena di solidarietà umana e cristiana fraternità.

 

Si tratta innanzitutto di un servizio alla genitorialità, qualcosa che deve favorire la relazione padre-figlio/a?

È l’elemento qualificante della nostra iniziativa. Non si tratta di offrire semplicemente un ricovero a persone in necessità, ma di aiutare dei genitori a non vedere disperso e vanificato il tesoro della loro paternità e il dono di avere un/a figlio/a, dei figli, vivere il proprio ruolo. Si può diventare ex-marito ed ex-moglie, ma non si diventa mai ex-genitore! L’attenzione alla genitorialità può aiutare a rompere la dualità moglie/marito divenuta spesso opposizione. Il terzo costituito dai figli può aprire ad un incontro rispettoso, magari al recupero almeno del dialogo fra i due ex-coniugi.

 

Quali sono invece le altre attività che proponete agli ospiti. Quale itinerario?

L’attenzione alla genitorialità include attività di assistenza di tipo psico-pedagogico e anche legale, oltre che spirituale. È quanto si offre alle persone ospiti, cui si mette a disposizione lo spazio dove abitare nella riservatezza personale, ma anche dove stabilire relazioni amicali con gli altri che dimorano nella casa; soprattutto lo spazio da abitare con il proprio figlio/figlia nel periodo di convivenza. Il periodo di accoglienza varia. Quello di un anno è generalmente ritenuto utile al fine di mettere quel genitore in condizione di considerare con più lucidità e serenità la propria situazione nei vari aspetti, da quello più intimo e personale a quello economico, e di viverla con fiducia.




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