Vita nascente

Nell’ora della croce una grande preghiera per la vita

Pellegrinaggio in Terra Santa

di Giovanna Abbagnara

Una lettera scritta dopo il pellegrinaggio in Terra Santa ad una giovane ragazza di 19 anni che ha scelto di accogliere, pur tra mille difficoltà il bambino nel suo grembo. Un viaggio che ha confermato l’impegno per la vita nascente.

Cara Myriam,

con un gruppo di amici mi sono ritrovata nella settimana che precede quella Santa a solcare la Terra del Maestro. Come una pellegrina ho percorso i passi di tanti cristiani in questi duemila anni. Certo il mio viaggio è stato molto più comodo di quello che hanno fatto Francesco di Assisi o Charles de Foucauld, tuttavia non mi sono sentita né una spettatrice di un passato nostalgico né una ricercatrice appassionata di archeologia. Quando sono arrivata, per la prima volta nella mia vita dopo aver desiderato da anni di andare a Gerusalemme, la prima sensazione che ho avvisato è stata quella di sentirmi come in un luogo in cui ero già stata. Tutto mi era familiare: le pietre, il paesaggio, le parole del Vangelo lette e rilette. Tutto lì è incarnato e quindi toccabile, percepibile, vero. Il freddo dell’Italia ha lasciato il posto ad una primavera ricca di colori, di odori, di temperature miti cosicché il nostro percorso è stato sempre illuminato da una luce che carezzava ogni frammento di quella terra benedetta e nello stesso tempo così ostile.

Come la nostra guida spirituale più volte ci ha ricordato, eravamo lì per contemplare il  mistero che ancora oggi è vivo e presente nella sua Chiesa. Pellegrini dunque, per ricordare, innanzitutto a noi stessi, che la vita, tutta la nostra vita, è un pellegrinaggio con una meta ben precisa, la pienezza della gioia, il Paradiso; pellegrini, consapevoli che camminare costa fatica, sudore. Ad ogni tappa facevamo risuonare dalle cuffie dei nostri audifoni  la Parola, dalla quale ci siamo lasciati condurre come da un padre che ci ha presi per mano. Il Vangelo, ascoltato in quei luoghi, acquista una forza “nuova”, evocativa, perché i sensi, tutti i sensi, sono maggiormente aiutati e coinvolti. E così i brani del Vangelo ci accompagnavano mentre camminavamo per le vie di Nazaret e per i sentieri in mezzo al deserto di Giuda, mentre sostavamo dinnanzi al sepolcro vuoto, o alla mangiatoia di Betlemme e al Golgota, mentre scendevamo dentro la cisterna della prigionia o mentre salivamo al Tabor e al Colle delle Beatitudini, mentre l’acqua ci bagnava il capo sulle sponde del fiume Giordano o mentre la barca navigava sulle acque del Lago di Tiberiade. La Parola ci ha condotti a ripercorrere con gioia la vita terrena del Maestro di Nazareth. È Lui che abbiamo celebrato bambino nella notte di Natale, che abbiamo sentito amico nella casa di Marta, Maria e Lazzaro; trasfigurato sul Tabor; in agonia sulla nuda roccia al Getsemani; risorto dentro il Santo Sepolcro.

E lo stupore, il tatto, l’ascolto diventavano poi preghiera nel canto del “Gloria” nella Grotta dei pastori, nel silenzio della contemplazione  sulla barca in mezzo al lago di Tiberiade, nella via crucis all’alba per le vie di Gerusalemme, nella meditazione dei vangeli della risurrezione davanti al sepolcro vuoto, nel Magnificat cantato ad Ein Karem mentre con il rosario ripensavo a Maria che insieme a me compiva quella ripida salita per giungere da Elisabetta.

Un luogo su tutti vorrei ricordare oggi nel Venerdì Santo e stranamente non è il Golgota o la via crucis ma la grotta di Betlemme. Lì in quel luogo benedetto dove il Verbo si è fatto carne, abbiamo contemplato tutto “nel nome di Maria” come lo scrittore Erri De Luca ci ricorda. In quel luogo c’è tutta la tenerezza di una madre che avvolge il proprio figlio in fasce, si prende cura di lui ma poi lo depone in una mangiatoia. Non lo contempliamo in braccio alla madre ma deposto perché gli occhi dei pastori, i nostri occhi siano tutti rivolti al Verbo della vita. C’è un distacco, una sofferenza che caratterizza le prime ore della vita terrena di Gesù che ci permette di affacciarci per un attimo nel cuore della nostra Madre e di contemplare tutto il dolore per questo Figlio che non le appartiene. È già contenuto, nel gesto di deporre Gesù nella mangiatoia, tutto il dolore di Maria che oggi contempliamo ai piedi della croce. Quel Figlio di nuovo offerto e consegnato per la nostra salvezza.

Foto-Pelegrinaggio

A Betlemme non posso non pensare alla mia maternità ma soprattutto alla tua, cara Myriam. Hai scelto di accogliere questa bambina che porti nel tuo grembo. Hai avuto il coraggio di sottrarla alla violenza dell’aborto e alla vigliaccheria di chi vorrebbe risolvere tutto nel silenzio di un ambulatorio prima che il “fattaccio” si sappia. Tu hai scelto la vita, mia giovane amica, ma quante madri ogni giorno scelgono la morte. A quanti bambini è ancora negato il diritto di vivere, di vedere la luce! Qui a Betlemme abbiamo innalzato con il rosario una grande preghiera per la vita. E oggi in quest’ora di agonia, nel venerdì santo di ogni giorno che si consuma negli ospedali o negli ambulatori privati di medici che fanno finta di non rendersi conto di quello che compiono, eleviamo ancora la nostra grande preghiera per la vita nascente.

«Dopo aver calcato la Terra Santa, c’è da rendere santa la nostra terra». Ora si torna alla vita ordinaria. Lì dove siamo chiamati a continuare a camminare in compagnia del Signore Gesù e dei fratelli che ci sono accanto, ora l’impegno per la vita è ancora più forte. Perché non si può solcare la terra del Maestro senza sentire ancora di più dentro la chiamata a seguirlo, ad annunciare la gioia del suo vangelo ad una umanità che resiste ancora al suo annuncio di salvezza.

 




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