VI Domenica di Pasqua - Anno B - 6 maggio 2018

Come imparare ad amare con il cuore e con la mente?

di fra Vincenzo Ippolito

L’amore vero, fedele a se stesso, vive nella ricerca del bene che l’amato, mai spinto dall’egoismo, propone e richiede all’amante. L’amato poi sa che l’amante non domanderebbe nulla se non fosse per il suo bene e si abbandona, nell’obbedienza, a quanto gli è chiesto perché sa che nell’altro è il desiderio dell’autentico bene a muovere l’azione.

Dal Vangelo secondo Giovanni (15,9-17)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».

 

Siamo alle ultime tappe del cammino pasquale. In questo tempo di grazia, abbiamo sperimentato nella Parola, nel Pane e nei fratelli, la presenza del Signore Risorto che tra poco vedremo ascendere alla destra del Padre (Ascensione, 13 maggio), mediatore del dono dello Spirito (Pentecoste, 20 maggio) che ci rende testimoni e annunciatori della sua Pasqua, fino agli estremi confini della terra. Proprio perché in dirittura di arrivo, possiamo paragonare la liturgia odierna agli ultimi colpi di pennello che un artista dà alla sua opera prima di poterla considerare finita. Difatti, il brano del Vangelo secondo Giovanni (15,9-17), pane della nostra mensa domenicale, conduce i discepoli alla perfezione dell’amore, al comandamento della carità che è il pieno compimento della legge (cf. Rm 13,10). Poiché Dio è amore, la carità che vive nei nostri cuori viene da Lui – Seconda lettura, cf. 1 Gv 4, 7-10 – perché Egli ci ha amati per primo, rivelando nel Figlio la grazia del suo dono. La potenza d’amore è per tutti gli uomini. Ecco perché, nella Prima Lettura (cf. At 10, 25-27. 34-35. 44-48), il dono dello Spirito scende su quanti ascoltano la parola di Pietro, nella casa di Cornelio, segno che Dio concede ad ogni uomo, senza preferenza di persone, la sua consolante presenza di pace.

Nel cuore amante della Trinità

La pericope evangelica odierna (cf. Gv 15,1-8), senza nessun taglio, si riallaccia a quella della scorsa settimana (cf. Gv 15,1-8) e rappresenta il migliore commento della simbologia vite-vignaiolo-tralci utilizzata da Gesù. Come già in precedenza (cf. Gv 15,1), anche questa volta il Maestro inizia dalla relazione che Egli vive con il Padre, per introdurre i discepoli nella circolarità dell’amore del Dio Trinità. Gesù è l’amato dal Padre e vive dell’amore suo. Ma l’amare in Dio non conosce chiusure, poiché l’amore vero, per sua intima natura, è comunicazione di bene – bonum est diffusivum sui, il bene si diffonde, dicevano i Medievali – e Gesù si comunica all’uomo come amore senza misura, donandosi con la stessa modalità che scandisce le relazioni trinitarie: “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi” (v. 9). È il «come» che fa la differenza. Gesù ha imparato dal Padre la modalità dell’amore. Il Padre è stato per lui educatore nell’amore che conduce al dono e quanto ha appreso nell’abbraccio eterno con il Padre, il Verbo, fatto carne, lo vive nel rapporto con gli uomini. È questa l’opera mirabile dell’Incarnazione: Dio, facendosi uomo, trasferisce nella dimensione umana ciò che è proprio di Dio – amare ed amare senza misura – e non solo Lui si rende uno di noi, ma nel suo cuore umano batte un amore che per sua natura ed intensità, è divino, eterno, infinito.

Come si può rimanere insensibili dinanzi all’amore del Cuore di Gesù? Come non vivere il trasporto dell’amore, il contagio dell’affetto, la comunicazione della gioia che nasce dall’essere amati? Gesù ama noi con la stessa intensità d’amore con cui è amato dal Padre, una intensità che non dipende dalla nostra capacità di accoglierglielo e riconoscerlo Signore, ma dalla divinità di Gesù Cristo, dalla sua immensa tenerezza. L’amore che Gesù nutre per noi non è proporzionato alla nostra rettitudine o al nostro merito, ma all’onnipotenza della sua sconfinata misericordia. Dio non può non amare così, perché la sua intima essenza è l’amore e non può amare diversamente da come ama, perché, in quanto Dio, non può amare, se non come Dio. Dio perdona oltre misura noi uomini perché non potrebbe fare diversamente, essendo amore smisurato, donazione incalcolabile, bontà infinita, tenerezza eterna. L’amore di Dio per l’uomo ci sovrasta e nessun peccato, nessun umano rifiuto potrà mai, per quanto grande, esaurire l’oceano della divina misericordia. Difatti, “né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8,39). È l’amore il nerbo del Vangelo, l’essenza del cristianesimo, la forza della fede nel Risorto. Ma non tutti gli amori sono uguali – dovremmo ridircelo spesso – solo Cristo può e vuole amarci, come Egli è amato dal Padre, in quella circolarità che si innesca perché nulla Lui trattiene per sé, ma ogni cosa dona.
Se riuscissimo a contenere nel nostro debole cuore le grandi acque dell’amore di Cristo per noi! Se riuscissimo a comprendere l’amore che Egli nutre per noi, povere creature! L’amore che il Padre riversa nel cuore del Figlio, non vi resta depositato come in un forziere ben chiuso, ma è dispensato, donato, effuso, senza misura. Colui che insegna “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,8) non ha paura di amare con la stessa intensità dell’affetto che sperimenta, della tenerezza che avverte, dell’affabilità di cui si sente oggetto. La parola che Gesù confida ai suoi discepoli mostra, da un lato le dimensioni proprie dell’amore che nutre per noi – Paolo parlerà di ampiezza, lunghezza, altezza e profondità in Ef 3,18 – dall’altro indica come l’amore che riceve dal Padre è pronto a donarlo. Amare gli uomini per Gesù significa riversare nel rapporto con noi la stessa dinamica che scandisce la sua relazione con il Padre. E così se “Il Padre ama il Figlio, e ha dato ogni cosa nelle sue mani” (Gv 3,35), anche il Figlio consegnerà tutto nelle mani degli uomini, anche la sua stessa vita, come dimostrerà nel sacrificio della croce. Si tratta di una dimensione ascendente dell’amore. Bisogna sentirsi amati, vivere come Gesù, da amati, avvertendo la potenza dell’amore, sedotti dalla tenerezza di Dio Padre, plasmati dalla sua carezza, custoditi dalla sua mano. Se non c’è questa esperienza dell’amore, come riuscire ad amare? Se non ci si sente accolti, cercati, custoditi, come possiamo a nostra volta accogliere, cercare, custodire l’altro/a? È di fondamentale importanza imparare l’arte di amare, sentendosi amati.
La famiglia e la comunità cristiana sono i luoghi primari dove si cresce in questa capacità, la si apprende, sperimentandola in prima persona, fino a giungere a maturità nel dono di se stessi. L’altra faccia dell’amore è il dono della vita e tale moneta deve circolare in ogni nostro rapporto, perché l’amore vero non ammette chiusure. Difatti, la relazione amorosa che Cristo è venuto a rivelare non riguarda “Lui e me” soltanto, ma “Lui e noi”, il nostro rapporto con Gesù passa attraverso l’altro – attraverso la mia sposa ed il mio sposo, mio fratello e mia sorella, chi mi vive accanto … – come la relazione amorosa di Gesù con il Padre passa attraverso noi uomini. In tale circolarità di amore, noi, come i discepoli, dobbiamo consapevolmente entrare, vivere e rimanere.

Come le nostre famiglie guardano a Gesù nel riproporre tra gli uomini la sua modalità d’amore? Come i figli apprendono dai gesti di noi adulti che amare significa desiderare ad ogni costo il bene dell’altro? Come i pastori e gli educatori nella fede aiutano le famiglie e guidano i fidanzati a vivere la reciprocità – elemento che si affianca alla complementarietà tra uomo e donna secondo Genesi 1-2 – perché nell’amore si sperimenti l’amicizia e l’uguaglianza? Per tutti, Gesù rappresenta il maestro ineguagliabile nell’arte di amare?

Rimanere nell’amore, osservando i comandamenti

L’analogia della relazione del Figlio con il Padre continua ad essere modello del rapporto Gesù-discepoli. Prima si sperimenta l’amore – “Come il Padre ha amato me, anch’io ho amato voi” – in seguito, l’amore richiede una risposta, non perché cerchi il contraccambio, ma unicamente per rendere maturo e responsabile il rapporto. In amore, infatti, non si può solo ricevere, bisogna anche dare, altrimenti la relazione non è ben equilibrata e l’amore non è maturo, né orientato al bene e l’egoismo proprio o altrui detta sì la marcia, ma verso la morte del rapporto. Dal canto suo, Gesù chiede ai discepoli di restare nel suo amore, chiarendo subito che questo comporta dinamismo, movimento, capacità di uscire da sé stessi. Come il frutto è la risposta del tralcio alla linfa che riceve dalla vite, così l’osservanza dei comandamenti è il segno del restare del discepolo nell’amore di Gesù. Non basta, infatti, scoprire in Cristo l’amore del Padre, il riflesso della sua tenerezza, se poi si decide di vivere lontano da Lui. Pressante, al pari di una preghiera, è il suo “Rimanete nel mio amore” come quanto segue “Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore”. Ogni rapporto d’amore, sembra dire Gesù, ha delle leggi che vanno rispettate, pena la fine della stessa relazione, perché se l’amore non si nutre di vita e si manifesta in scelte concrete, è destinato a finire, non perché il sentimento non sia vero, ma perché l’amore ha bisogno di tradursi in fattiva volontà di vivere nel dono.

C’è quindi un solo modo per rimanere nell’amore di Cristo: osservare la sua parola ed obbedire ai suoi comandamenti che, come ricorda sempre san Giovanni, “non sono gravosi” (1Gv 5,3). Non bisogna però credere che esista una frattura tra l’amore e l’osservanza dei comandamenti, come se l’amore rifugga la legge, tutt’altro. Tra loro c’è un nesso strettissimo – noi lo definiamo fedeltà – che non si impone dall’esterno, ma nasce nel cuore di chi si sente amato, perché sa per esperienza che non potrà vivere senza quel fuoco vivo che gli comunica con tutta la sua presenza colui che l’ama. Se ha veramente conosciuto l’amore come forza unica di trasformazione, capace di invadere corpo, anima e mente, l’amato vorrà vivere legato al braccio dell’altro/a, perché l’amore suo per lui è vita e la lontananza, morte. L’osservanza dei comandamenti in Gesù, nella sua relazione con il Padre, e per noi, nella relazione con Cristo, è una esigenza dell’amore. L’amore vero, fedele a se stesso, vive nella ricerca del bene che l’amato, mai spinto dall’egoismo, propone e richiede all’amante. L’amato poi sa che l’amante non domanderebbe nulla se non fosse per il suo bene e si abbandona, nell’obbedienza, a quanto gli è chiesto perché sa che nell’altro è il desiderio dell’autentico bene a muovere l’azione. L’osservanza dei comandamenti di Gesù rappresenta per il discepolo non solo la condizione per rimanere nel suo amore, ma, prima ancora, il segno che l’amore è compreso e ricambiato come ricerca del vero bene. In tal senso la legge/comandamento che l’amore impone a se stesso è come l’argine che contiene le acque di un fiume, non serve a restringerne la portata, quanto, invece, a compattarne la forza perché il flusso corra verso il mare. I comandamenti nell’amore sono il segno che la volontà guida ed orienta il cuore. Si ama con il cuore e con la mente e solo dall’incontro di queste due facoltà si può dire di avere il bene come meta del proprio cammino. Quando una facoltà prevale sull’altra, non si sta amando così come Dio chiede e vuole, perché o prevale il sentimento oppure la volontà. Invece, noi abbiamo due argini che permettono alle grandi acque dell’amore di Cristo in noi di non deviare, ma di raggiungere la meta. Gesù Cristo ama il Padre con tutto il cuore e con tutta la mente. È la totalità il segno che l’amore è vero.
Nella relazione d’amore, obbedisco all’amore dell’altro/a – e questa diviene una esigenza interna all’amore che prende i caratteri di una legge – solo nella consapevolezza che lui ricerca e vuole il mio vero bene più di quanto io stesso possa ricercarlo e volerlo. Io supero il mio limite e la mia debolezza, obbedendo all’altro, fidandomi di lui e della sua parola che è per me possibilità di vita. Questo vive Gesù, si fida del Padre e si abbandona al suo amore perché sa che mai gli chiederebbe qualcosa contraria al suo bene. Ecco dove nasce la gioia, dall’obbedire all’altro che ricerca il mio bene, che mi stana dalle mie piccole e grette sicurezze, aprendomi alla responsabilità del dono ricevuto, alla maturità del dono da offrire, alla sfida di uguagliare Gesù nell’accogliere l’amore, nel vivere d’amore, nel donare l’amore fino al punto da amare più l’altro ed il suo bene che la mia stessa vita.

Cosa significa, nel rapporto con Cristo, osservare la sua parola e obbedire ai suoi comandamenti? Riesco a vedere che l’amore richiede scelte concrete per tradursi e dirsi? Come l’amore diventa forza per ricercare il bene? Nei rapporti, amo con il cuore e con la mente, mettendo nella relazione tutte le mie forze oppure gioco al risparmio? La fedeltà è il segno che l’amore come sentimento incontra la volontà, nella sincera ricerca del bene?

Il comandamento vissuto da Gesù e proposto ai suoi

Nella pagina evangelica di questa domenica assistiamo ad un progressivo crescendo, fino a giungere al comandamento che Gesù definisce suo, non solo perché è stato Lui a donarlo ai discepoli, ma principalmente perché è il Maestro ad averlo vissuto per primo, con quella radicalità che raggiunge l’altezza della croce. Se Gesù avesse chiesto di rispettare i suoi comandamenti, senza chiarirci quali, ci saremmo trovati in una grande difficoltà, ma Egli ci ha indicato la strada da percorrere nel camino di sequela, non possiamo quindi sbagliarci. Difatti, la nostra risposta al suo amarci deve avere a modello la risposta che Egli dona al Padre per l’amore immenso che Questi riversa nel suo cuore di Figlio. L’essere amati genera l’obbedienza, che consiste nell’aprire il cerchio dell’amore sperimentato perché altri ne godano. “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi” (v. 12). Gesù non dice Amami, quanto, invece, “Amatevi”, rendete partecipi gli altri dell’amore mio, incendiate il mondo con la misericordia che attingente dal mio cuore, continuate nella storia la mia missione di rivelare ad ogni uomo la potenza dell’amore del Padre che guarisce e risana, libera e salva. Come l’amore dei genitori si traduce nell’accoglienza dei figli, nella cura tenera e nell’accompagnamento amoroso dei loro passi, così siamo chiamati a lasciare che l’amore che Cristo riversa in noi, lo Spirito vivificante, come il vino nuovo, rompa gli otri della nostra grettezza e ci porti ad amare tutti, in maniera indistinta. Nell’amore egoistico il terzo non è contemplato, sia esso un figlio da accogliere siano gli altri da amare, non così nell’amore che ha in Cristo la sua sorgente ed il suo modello. Il segno dell’amore che portiamo a Gesù è l’accoglienza del povero in cui riconoscere l’immagine del Signore (cf. Mt 25,40). Egli non vuole essere amato se non nell’altro, in chiunque trovo lungo la strada della mia vita, senza nessuna distinzione. È questo il segno che seguiamo veramente Gesù: non chiudere i nostri rapporti nella ricerca del proprio tornaconto, ma aprire, spalancare le porte del cuore perché l’amore nostro, che è poi quello di Gesù in noi, ci spinga verso gli altri. In tal modo, non sono io che amo, ma Cristo ama in me ed i miei gesti sono posti da Cristo stesso che si seve di me, per continuare a donare salvezza e vita nuova.
Siamo chiamati ad un amore più grande (cf. v. 13), ad un dono più grande. Vivere accontentandosi delle mezze misure, giustificandosi dinanzi a se stessi, perché il traguardo è arduo e la meta irraggiungibile appare ingiusto. Dio non chiede mai l’impossibile e, qualora lo domandi, non fa mancare la sua forza perché si realizzi la sua parola e la sua volontà sia sorgente abbondante di bene per gli uomini. Non possiamo e non dobbiamo credere di non poter seguire il Maestro, nell’amore che giunge al dono, perché non ci manca nulla, abbiamo tutto per vivere della vita di Gesù e sperimentare la gioia che nulla e nessuno potrà mai turbare. Il Signore ci dona la sua amicizia, non ci considera servi, abbiamo la sua forza, lo Spirito del Risorto è in noi e ci sostiene nella quotidiana lotta contro il nostro io. Siamo stati da Lui scelti ed amati e Gesù ci ha comunicato tutto di quanto ha udito dal Padre. Non possiamo piangere su noi stessi, perché se veramente vogliamo prendere la strada dell’amore vero, abbiamo ogni possibilità a nostra disposizione, basta solo volerlo. È come se Gesù ci stesse dicendo:

Vuoi seguirmi veramente? Desideri mettere i tuoi passi sulle mie orme? Ti senti amato, quando preghi, quando partecipi all’Eucaristia ed ascolti la mia Parola, quando le persone che ti sono accanto ti fanno sentire la loro cura? Senti la mia tenerezza nelle cose che ti sono intorno? È così difficile per te abbondonarti al mio amore, lasciare che il mio Spirito in te faccia meraviglie? Provare ti sembra inutile? Se avessi pensato anch’io così, non sarei salito sulla croce e, invece, tutta la tua cura devi metterla nel tenere fisso lo sguardo su di me, senza deviare a destra o a sinistra, senza guardare ciò che gli altri fanno o non fanno, dicono o non dicono anche su di te. Guarda verso di me e sarai raggiante nell’amore e nel dono; guarda verso di me e sarai guarito dai morsi della tua paura; guarda verso di me e nessuno potrà frenare la corsa dell’amore. A me gli occhi! Non stare sempre lì a guardare i tuoi peccati passati e rimuginare le colpe commesse, sono state tutte bruciate nel fuoco della mia misericordia. Guarda in alto, mira la mia croce, incontra il mio sguardo, lo stesso rivolto al buon ladrone e sentiti amato, accolto nella tua debolezza, abbracciato nella tua miseria. A me nulla è impossibile, lasciati amare e basta. Non nasconderti, come Adamo ed Eva, credendo di non esserne degno, sono io sono padrone del mio amore o no? Lascia che la luce della mia resurrezione ti avvolga, che la potenza della mia vita nuova vinca la tua morte, donandoti la gioia. Non posso decidere chi e come amare? Se lascerai che il mio Spirito si riversi in te, non sarai solo, io sarò con te e amerò in te, spingendoti a fare meraviglie, perché sono io che rendo la tua vita la mia dimora.

Sulla strada dell’amore dietro Gesù

Dall’amore sperimentato all’amore donato, dalla modalità dell’amore accolto – come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi – alla modalità dell’amore vissuto con gli altri – amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi – sono questi i passaggi che Gesù compie e fa compiere, nella sera del tradimento, anche se i discepoli lo capiranno solo quando lo Spirito ricorderà loro le parole del Maestro, aprendo le menti alla perfetta comprensione del mistero della sua Pasqua. L’impegno della Chiesa, comunità-corpo del Signore risorto, sta nel vivere l’amore come Lui lo ha vissuto, la cui espressione massima è il dono della vita. I discepoli devono puntare alto nell’amore, non possono accontentarsi di mezze misure, devono giungere al dono totale, come il Maestro, per amore. Ed è questo l’amore che ci libera dalle tenebre del peccato e della morte e, da schiavi, ci rende amici. L’amore vero libera l’amato con il dono di se stesso e lo abilita a vivere nell’amicizia vera.
Il Vangelo è parola che libera, è amore esigente che salva. La potenza dello Spirito di Cristo è amore che sbaraglia le differenze – Paolo dirà che non c’è più né Giudeo né Greco (Gal 3,28) – che abbatte i muri di divisione – “Egli è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo abbattendo il muro di separazione che era framezzo” (Ef 2,14) – che non mortifica e lascia l’altro nel disprezzo, ma lo solleva dalle cadute, restituendogli la dignità dell’essere amato. Il misurarsi con Gesù non deve tuttavia portarci a vivere nella tristezza, perché la meta ci appare irraggiungibile. È l’amore di Dio in noi, lo Spirito-amore, che ci spinge al dono, a noi lasciarlo operare, per avere gradualmente in noi “i sentimenti di Cristo” (Fil 2,5), il suo pensiero (1Cor 2,16), visto che – è il Maestro ad averlo promesso – la fede in lui è capace di smuovere le montagne.




Aiutaci a continuare la nostra missione: contagiare la famiglia della buona notizia

Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).

CONTINUA A LEGGERE



ANNUNCIO

ANNUNCIO

1 risposta su “Come imparare ad amare con il cuore e con la mente?”

Sono io che leggo male o c’è un errore alla riga 36 (partendo da “Siamo ale ultime tappe…”.
Leggo “accoglierglielo”, anziché “accoglierlo”.

Per il resto non scherziamo. Che si può aggiungere a riflessioni così belle e profonde? Io me le registro tutte le puntate e LE RICICLO!

Grazie!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Per commentare bisogna accettare l'informativa sulla privacy.