Eutanasia

La vicenda di Alfie Evans: e se succedesse in Italia?

Alfie Evans

di Marco Ferraresi, presidente Unione Giuristi Cattolici di Pavia “Beato Contardo Ferrini”

L’Italia è al riparo da esiti come quello del piccolo Alfie? Purtroppo il quadro giuridico, a ben vedere, non è così confortante.

L’omicidio di Alfie Evans ad opera dell’ospedale di Liverpool e del suo personale, con l’autorizzazione dei tribunali inglesi e contro la volontà dei genitori, desta sconcerto, indignazione, angoscia. Da un lato, abbiamo potuto ammirare la tenace volontà del padre e della madre di proteggere il figlio, come un’icona della Sacra Famiglia di Nazareth. Dall’altro, abbiamo assistito alla malvagia e pervicace volontà delle istituzioni di assassinare un bambino malato e indifeso, tenuto di fatto sotto sequestro da una struttura che ne ha impedito, non solo l’espatrio per tentare terapie sperimentali, ma persino il ritorno a casa. La concentrazione di ingiustizie che Alfie e la sua famiglia hanno subìto grida verso il Cielo e non può che indurci a pregare per la conversione dei carnefici, ma anche ad auspicare che, un giorno, la giustizia umana punisca i responsabili di questo odioso delitto.

La vicenda ha toccato in profondità i sentimenti del popolo italiano e ha persino mosso il nostro governo a concedere ad Alfie la cittadinanza, al fine di favorirne il trasferimento presso l’ospedale Bambin Gesù di Roma. Non pochi si sono poi domandati cosa sarebbe accaduto in Italia in un caso analogo, alla luce del diritto vigente dopo l’approvazione di una legge di chiaro contenuto eutanasico, quale è la l. n. 219/2017 (nota anche come legge sul “biotestamento”, o sulle “Dat”, o sul “fine vita”).

Per la giustizia inglese, va ricordato, la vita di Alfie doveva considerarsi futile, dunque non degna di essere vissuta, perché di qualità ritenuta insufficiente. L’assenza di speranze di guarigione e la grave disabilità sono bastate per affermare che il miglior interesse – il best interest – del bambino fosse quello di non essere curato e, anzi, di essere privato persino dei sostegni vitali (idratazione, alimentazione, ventilazione) perché considerati inidonei ad arrecare benefici al piccolo paziente. A fronte del best interest, nulla poteva valere l’opinione contraria dei genitori, alle cui scelte in ambito sanitario si sono sostituite quelle dei medici, confortati dai tribunali.

Per la legge italiana simile fattispecie, di primo acchito, sembrerebbe oggi disciplinata dall’art. 3, l. n. 219/2017, che al comma 2 dispone: “Il consenso informato al trattamento sanitario del minore è espresso o rifiutato dagli esercenti la responsabilità genitoriale o dal tutore tenendo conto della volontà della persona minore, in relazione alla sua età e al suo grado di maturità, e avendo come scopo la tutela della salute psicofisica e della vita del minore nel pieno rispetto della sua dignità”. Salvo questo ambiguo riferimento al rispetto della dignità della persona – che secondo la mentalità eutanasica ed eugenetica soggiacente alla morte di Alfie potrebbe essere inteso in senso omicidiario – la norma italiana pare affidare la decisione ai genitori. La disposizione nazionale non sembrerebbe consentire, dunque, la soppressione del minore contro la volontà di mamma e papà.

Inoltre, il comma 5 del medesimo articolo contempla il caso di conflitto di soluzioni tra genitori e medici in questi termini: “Nel caso in cui […] il rappresentante legale della persona minore rifiuti le cure proposte e il medico ritenga invece che queste siano appropriate e necessarie, la decisione è rimessa al giudice tutelare”. La norma pare considerare solo l’ipotesi in cui i genitori optino per il rifiuto delle cure, contro il parere del medico che invece le ritenga opportune: in tal caso, la parola passerebbe al giudice. Nel caso di Alfie, invece, il giudice è stato investito a seguito del rifiuto deciso, non dai genitori, ma dai medici.

Tutto a posto, dunque? L’Italia è al riparo da esiti come quello di Alfie? Purtroppo il quadro giuridico, a ben vedere, non è così confortante.

Anzitutto, va osservato che l’art. 3 permette ai genitori di optare per il rifiuto o la cessazione delle cure sino al decesso del figlio. Infatti, solo nel caso in cui il medico si opponga alla decisione dei rappresentanti legali del paziente un giudice potrà essere investito della questione. E ciò è inaccettabile. Bene ha fatto allora il giudice tutelare di Pavia, Michela Fenucci, a sollevare con ordinanza del 24 marzo 2018 una questione di legittimità costituzionale della disposizione, perché questa consente ai rappresentanti legali, trovando un medico compiacente, di decidere della vita e della morte del rappresentato.

Inoltre, pur nel silenzio dell’art. 3, anche in Italia un caso come quello di Alfie sarebbe destinato a finire in tribunale. Se infatti i genitori volessero applicare al figlio trattamenti che i medici ritenessero illegittimi, in quanto configuranti un accanimento terapeutico, un giudice potrebbe pur sempre essere chiamato a dirimere il conflitto, su ricorso dei genitori, dei medici o della struttura sanitaria.

Si pone dunque, in ultima istanza, il problema di quali criteri risolutori deve adottare il giudice, alla luce di un ordinamento che con la l. n. 219/2017 ha intrapreso una deriva eutanasica, sancendo la disponibilità (cioè la rinunciabilità) del diritto alla vita. I giudici debbono orientare, sempre e comunque, le proprie decisioni nel senso della tutela di tale diritto fondamentale o far prevalere, in taluni casi, il c.d. diritto alla dignità, al fine di eliminare vite ritenute di qualità insufficiente? Una persona gravemente disabile, totalmente incapace di intendere e di volere, nutrita e ventilata con modalità artificiali, merita di essere soppressa attraverso la privazione, decisa da un giudice, di terapie e sostegni vitali? Purtroppo ciò è già accaduto, anche in Italia, e la l. n. 219/2017 è destinata a condurre nella medesima direzione. È una flebile speranza, ma vi è da augurarsi che tutti coloro che si sono mossi per Alfie – società civile e istituzioni – se ne rendano conto al più presto.




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