Corpo e Sangue del Signore - Anno B - 3 giugno 2018

L’Eucaristia scuola e programma di vita

di Fra Vincenzo Ippolito

Il luogo dove la dinamica dell’Eucaristia si perpetua nel tempo è la famiglia. Il dono di Dio, il suo prendere, benedire, spezzare e darsi abilita in noi la capacità, dono del suo Spirito, di prendere, benedire, spezzare la nostra vita e donarla ai fratelli.

Dal Vangelo secondo Marco (14,12-16.22-26)
Il primo giorno degli Àzzimi, quando si immolava la Pasqua, i discepoli dissero a Gesù: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi». I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.
Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio». Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.

Corpo e Sangue di Cristo. Istituita nel 1264 da Urbano IV, dopo il miracolo di Bolsena, la celebrazione odierna ci porta a tenere fisso lo sguardo sul mistero eucaristico sorgente della vita e della missione di tutta la Chiesa. La liturgia della Parola ci aiuta a contemplare nel Pane e nel Vino consacrati la presenza viva e vera di Gesù Cristo, per apprendere da Lui, che continua ad essere il nostro Maestro, l’arte di donare la vita per amore. La Prima Lettura, tratta dal libro dell’Esodo (24,3-8) ci presenta una prefigurazione dell’Eucaristia: Mosè stipula l’alleanza di Dio con il popolo, sulla base dell’accoglienza dei comandamenti divini e per sigillare questo patto in maniera visibile, oltre a scrivere le parole del Signore, asperse il popolo con il sangue delle vittime sacrificate, “il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi, sulla base di tutte queste parole”. L’autore della Lettera agli Ebrei (9,11-15), nella Seconda Lettura, rilegge il simbolo del sangue dell’antico patto, legandolo a Gesù Cristo, che è mediatore della nuova alleanza. Nel Vangelo (Mc 14,1-16. 2226) abbiamo poi il racconto dell’istituzione dell’Eucaristia. Incastonata negli ultimi momenti della vita del Signore, la scena dell’ultima Cena diviene sintesi dell’esistenza di Gesù e anticipazione del mistero della sua Pasqua.

Nel cenacolo con Gesù e gli apostoli

Il brano che la liturgia ci offre è un collage di versetti diversi (cf. Mc 14, 12-16. 22-26), non una narrazione continua. Se leggiamo l’intero brano – alla liturgia ci si prepara, leggendo prima e con attenzione i testi! – la sequenza degli eventi narrati ci aiuta a comprendere ancor meglio ciò che accade ai discepoli e come Gesù pone il gesto più significativo del suo amore in una comunità che è sull’orlo del collasso. Prossimo alla Pasqua (cf. Mc 14,1-2), dopo l’unzione di Betania, nella casa di Simone il lebbroso (cf. Mc 14,3-9), Giuda si reca dai capi dei sacerdoti per consegnare loro Gesù (cf. Mc 14,10-11). Questi gli antefatti della prima parte del nostro brano (vv. 12-16), seguiti dall’annunzio del tradimento (cf. Mc 14,17-21) – che la liturgia odierna omette – e dalla cena, con l’istituzione dell’Eucaristia (vv. 22-26). In seguito l’evangelista narra l’annuncio del rinnegamento di Pietro (cf. Mc 14,27-31), l’agonia del Getsemani (cf. Mc 14,32-42), con l’arresto di Gesù (cf. Mc 14,42-52). La luce del cenacolo nasconde il buio di scelte contrarie all’amore, la gioia della fraternità cela la volontà di scappare e di non vivere con coraggio il cammino di sequela fino al suo compimento. Da una parte c’è Gesù, proteso a compiere la volontà del Padre, sospinto dalla potenza dello Spirito, dall’altro le paure dei discepoli, le trame ingiuste degli uomini, i complotti fatti nell’ombra, per la sete di denaro. Dio realizza la salvezza degli uomini, attraverso la nostra storia, non combatte la durezza del nostro cuore, se non amandoci e dimostrandoci che “nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13).

Siamo al “primo giorno degli azzimi” (v. 12), appunta l’Evangelista. Annuale celebrazione della liberazione dalla schiavitù dell’Egitto, memoriale del passaggio – pasqua vuol dire proprio passaggio – dell’angelo che aveva risparmiato i primogeniti d’Israele, la festa di Pasqua era celebrata “come un rito perenne di generazione in generazione” (cf. Es 12,14), in due fasi, la settimana degli azzimi e il giorno della festa. Anche per Gesù, la Pasqua è un rito sacro, celebrato da fanciullo – lo smarrimento di lui dodicenne avviene proprio dopo la festa di Pasqua (cf. Lc 2,41) – e vissuto ora con i discepoli, sua nuova famiglia. I Dodici, radicati nelle tradizioni d’Israele, sanno bene che, per rispettare le prescrizioni della Legge, è necessario prepararsi e preparare la Pasqua. Per questo chiedono a Gesù: “Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?” (v. 12). Tra gli Apostoli la volontà del Maestro è sovrana. È Lui che decide il da farsi, offre indicazioni precise, dona modalità chiare di attuazione. “Come gli occhi die servi alla mano dei loro padroni, come gli occhi della schiava alla mano della sua padrona, così i nostri occhi sono rivolti al Signore, perché abbia pietà di noi” (Sal 122). Fare ciò che il Signore comanda, andare dove Lui indica, mettere la propria vita nelle sue mani, accogliendo la sua Parola come sorgente di vita è il vero senso della vita del discepolo. Pietro e gli altri hanno gettato le reti sulla parola di Gesù, sperimentando una pesca prodigiosa (cf. Lc 5,1-11) ed ora sanno che tutto deve essere fatto secondo la sua parola – così aveva risposto anche Maria all’angelo in Lc 1,38 – perché solo Lui “comanda e tutto è fatto, parla e tutto esiste” (Sal 32).
Dipendere in tutto dalla parola di Gesù è quanto i discepoli manifestano con la loro domanda. Il chiedergli “Dove vuoi …?” sta ad indicare che non vogliono che la vita venga determinata dalle loro scelte, ma che sia modellata sulla sua volontà. È questo l’interrogativo di chi vuole Gesù al centro del proprio cuore, di chi lascia a Lui di pensare e di decidere, perché nel fare la volontà sua c’è per noi la pace vera. I discepoli non formulano una domanda retorica, sono totalmente proiettati a fare ciò che Gesù indicherà loro, pur nella lacerazione interiore che caratterizza ciascuno, per l’indeterminazione che sperimentano. Non si inizia un vero cammino di sequela, senza dire a Gesù “Dove vuoi …?”, iniziando quel dialogo sincero, che genera in noi l’obbedienza e la fiducia incondizionata in Lui. La domanda nasce dalla volontà di sapere ciò che Dio vuole, perché “è in lui la sorgente della vita, alla sua luce vediamo al luce” (Sal 32) e fa nascere nel cuore dell’uomo l’ascolto, come possibilità offerta a Dio di parlare in liberta, per indicarci la strada del bene, e a se stessi di determinarsi con la parola del Signore.

Far parlare Dio nella propria vita, lasciare che Lui offra indicazioni precise per le nostre scelte, aspettare il suo rivelarsi, attendere il suo manifestarci sono i passi imprescindibili per chi voglia sul serio seguire Gesù. Non importa, infatti, dove andiamo e cosa facciamo. Quello che risulta veramente importante è che Gesù sia con noi, che la sua parola illumini i nostri passi e noi comminiamo alla luce della sua presenza. Il centro della vita cristiana è Gesù, se lo perdiamo, per la nostra incapacità a vivere l’alleanza con Lui, diveniamo insipidi e non possiamo dare il sapore di Cristo al mondo. La volontà di avere Gesù al centro deve contraddistinguere la nostra fede. Non si può partire nell’azione, senza aver prima consultato e ascoltato Lui nella preghiera. Come i discepoli, dobbiamo chiedere al Signore “Dove vuoi?”, perché solo Lui può dirci cosa fare per essere felici. Non ci sono ambiti della vita coniugale, familiare e comunitaria dai quali Cristo possa essere estromesso. La sua parola illumina la vita affettiva e le relazioni familiari, il lavoro e le situazioni dei figli, il nostro essere comunità riunita nel suo nome. Gesù, attraverso la voce della Chiesa, ci dona il Vangelo come lampada, l’Eucaristia come centro per nutrire la nostra volontà di vivere in Lui.

Nulla frema la corsa dell’amore di Cristo per noi

Il clima dell’ultima cena è caratterizzato da luci ed ombre. I discepoli, pur se protesi ad obbedire a Gesù, sono incostanti nella sequela – i fatti lo dimostreranno in seguito – ed il Maestro ne è ben cosciente. Questo non gli impedisce però di amarli, perché l’amore vero non dipende dalla capacità dell’altro di ricambiare l’affetto, ma dal dono totale che chi ama decide di vivere, senza compromessi. Gesù non si ritrae dinanzi all’incapacità dei Dodici a seguirlo. La sua scelta di portare a compimento la sua missione non dipende dalla fedeltà degli Apostoli, nel seguirlo fino alla croce, tantomeno dal loro desiderio di farsi suoi cirenei. Il Maestro guarda in faccia l’infedeltà dei discepoli, il tradimento di Giuda, il rinnegamento di Pietro e non se ne scandalizza. Il sapere di rimanere solo non lo prostra, ma lo spinge ancor di più a fidarsi del Padre a cui “tutto è possibile” (Mc 14,36). Non cova rancore per i suoi, accoglie l’infedeltà, abbraccia il tradimento ed ama la solitudine come spazio interiore dove il Padre fa sentire la forza della sua presenza.
È bello perdersi nella contemplazione dell’amore di Gesù che spezza nel pane la sua vita e la affida a Giuda, che si dona nel calice, oceano della misericordia del Padre, a chi ha già il piede fuori dalla porta del cenacolo per scappare lontano dal suo amore. Perché Gesù ci ama così? Perché accoglie il nostro tradimento, abbraccia il nostro rinnegamento, non si ribella dinanzi alla solitudine nella quale lo lasciamo? Perché mai Egli si sporca nell’abisso del nostro peccato e, senza contaminarsi con il nostro errore, ci contagia con la forza irresistibile della sua grazia? Dio sa essere solo amore misericordioso e Gesù, venuto a rivelare nell’amore l’identità di Dio, non sa non amare, non può non amarci così. C’è da impazzire dinanzi alla follia dell’amore di Dio per noi! Ecco perché Francesco d’Assisi piangendo, soffre al pensiero che “L’amore non è amato!” e Caterina da Siena, arsa nel cuore dal fuoco dello Spirito, si rivolge a Dio “Abisso di Carità!”, al pari del profeta Geremia che non riesce a contenere nelle sue ossa il fuoco del Signore (cf. Ger 20,9). Se riuscissimo a sedere alla mensa dell’Eucaristia con la piena consapevolezza del dono che Gesù ci fa in quel Pane, la nostra vita sarebbe diversa, la nostra giornata avrebbe i colori di Dio, le nostre relazioni familiari e sociali sarebbero il riflesso delle parole e dei gesti di Cristo.

Abbiamo bisogno di non mollare la presa, davanti alle difficoltà. Dobbiamo guardare verso Gesù, senza deviare né a destra, né a sinistra, perché questo ci porterebbe a distogliere lo sguardo dal Maestro, per cercare vie alternative di salvezza. Ma dove andare? Senza Gesù è pura illusione procedere, credere di poter essere felici senza di Lui, di avere la pace, privi del dolce giogo della sua croce è una vera illusione! A che serve scappare nella difficoltà, quando è così chiara la via tracciata da Cristo, con la sua Pasqua? Perché lasciarsi vincere dall’amarezza di un affetto non ricambiato come vorremmo? È Cristo la nostra forza, come il Padre è la roccia che sostiene Gesù, nella sua passione. Tante volte si lasciamo andare alla lamentela e al giudizio facile, non solo perché manca in noi la custodia del nostro cuore, ma soprattutto perché il cuore e la mente non sono fisse in Gesù, assorbite dalla sua grazia, nella continua meditazione della sua vita pubblica, della sua Parola che è sempre lampada ai nostri passi e luce sul nostro cammino. A nulla serve l’ascesi, se la volontà non è permeata dall’amore. Il volontarismo conduce a vivere di giustizia, a soppesare parole e gesti, raramente ad essere giusti, lasciandosi raggiungere da Dio che ci rende giusti e a vivere del suo amore, compimento di ogni legge.
Ruminare la Scrittura, tenere la mente occupata nella meditazione della vita di Cristo, come capacità di vivere avendo sempre dinanzi agli occhi Gesù, partecipare all’Eucaristia, anche durante la settimana, dedicare del tempo alla preghiera, come colloquio intimo con Gesù, nella stanza del cuore, celebrare spesso il sacramento della penitenza, quale occasione per chiedere perdono e riprendere con più forza il cammino, condivisione con chi possa aiutarci davvero o con chi ci vive accanto e può comprenderci meglio di tutti: sono i canali preferenziali per vivere come Gesù e non lasciarsi vincere dalla difficoltà, che sono parte integrante del nostro cammino di crescita.

Nei gesti il senso di una vita offerta

Mentre mangiavano, [Gesù] prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro” (Mc 14,22). L’evangelista Marco trasmette con cura ciò che accade durante la cena. Il rito antico è vissuto secondo la tradizione dei padri, ma Gesù “mentre cenavano” muta nella sostanza il significato della celebrazione e pone la sua vita come centro per sperimentare, in maniera definitiva e totale, l’amore del Padre. Con Gesù, non è più necessario ritornare al passato, pensare all’Egitto, mangiare l’agnello, cingersi i fianchi e prendere tra le mani il bastone, come gli Ebrei nella terra della schiavitù. “Le cose vecchie sono passate, ecco ne sono venute di nuove” (2Cor 5,17). Gesù è la vera Pasqua, con Lui si passa dalla schiavitù del peccato alla libertà dell’essere figli di Dio. È lui l’agnello, chi mangia la sua carne “vivrà in eterno” (Gv 6,51), chi beve dell’acqua che egli dona “non avrà mai più sete” (cf. Gv 4,14). La sua è la trasformazione dell’amore! Con la misericordia infinita del suo cuore Gesù rinnova un rito antico, che sembra non incidere nel presente, e gli conferisce un significato nuovo, vivo, bello, eterno. Questo fa l’amore: rinnova la vita, ringiovanisce l’antico, rallegra il presente. Gesù dona l’alito della sua vita in una struttura, come quella della fede giudaica, che ha smarrito Dio, assolutizzando le tradizioni, che ha estromesso l’amore e centrato tutto sul sacrificio rituale, che ha fatto divenire cuore della fede il tempio, non l’offerta della propria vita.

I discepoli non si rendono conto di quanto siano importanti i gesti posti in quell’ultima cena dal Maestro. Tante volte Gesù ha preso e benedetto del pane, come quando ha sfamato i cinquemila (cf. Mc 14,13-21), altrettante volte, in casa di pubblicani, i discepoli avranno passato tra loro la coppa del vino per attingere dal frutto della vite e smorzare l’arsura del lungo cammino, dietro al Maestro. Questa volta però è diverso. Diverse sono le parole che accompagnano i gesti, solenne è il tono della voce del Signore che traduce la sua volontà di amarli. Ogni discepolo può applicare alla propria esperienza con Gesù i quattro verbi dell’Eucaristia: Pietro non è stato forse preso dalla sua barca e la sua vita non è divenuta benedizione, una volta trasformato in pescatore di uomini? Durante la missione, i Dodici non hanno forse spezzato la parola ricevuta in dono da Gesù, offrendola alle folle stanche e spossate per una vita gravata dalle prescrizioni di una legge, che setaccia il moscerino e fa passare il cammello? I verbi dell’Eucaristia parlano del rapporto che Gesù ha con ciascuno di noi. Cristo ci ha presi come dono del Padre – “erano tuoi li hai dati a me” (Gv 17,6) – e per noi ha ringraziato Lui, fonte di ogni dono. Sì, per Gesù la nostra vita, quella della mia comunità e della mia famiglia, la difficoltà della nostra giornata è un dono di cui rendere grazie sempre “nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia”. Gesù mi prende tra le sue mani e loda il Padre per me, noi siamo preziosi ai suoi occhi, apparteniamo a Lui. Desidera che la nostra vita come la sua si spezzi e venga donata perché si perpetui nel tempo tra gli uomini la dinamica dell’Eucaristia che è la dinamica dell’amore che non è mai pago di donarsi.

Il pane e il vino, per le parole di Gesù pronunciate dal sacerdote e la potenza dello Spirito Santo, diventano Gesù, Presenza personale del Signore. Noi vediamo il pane, ma non è più pane, è il Corpo di Cristo e così anche il vino, non è più vino, ma il Sangue di Gesù. Non si tratta di semplici segni, di un ricordo che ci ripota con il cuore al cenacolo, facendoci rivivere gli ultimi momenti della vita di Gesù, come se fosse un film che proietta gesti e parole di un tempo. Nell’Eucaristia c’è tutto Gesù e si chiama Eucaristia la sua presenza sacramentale perché l’esistenza del Redentore è scandita proprio dal rendimento di grazie (eucaristia), perché solo chi riconosce l’amore ricevuto riesce a donare la vita con eguale gratuità. Gesù è nel Pane e nel Vino, vivo, vero, operante, santificante. C’è il Signore che ha operato miracoli ed ha guarito gli storpi in quel Pane che il sacerdote mostra dopo la consacrazione, c’è il Nazareno che ha risuscitato la fanciulla dodicenne e Lazzaro e che con il suo mantello ha guarito l’emorroissa in quel vino. Così Dio ci incontra, nascondendosi in elementi poveri, che ricordano la nostra carne, assunta dal Verbo nel grembo di Maria e se ci nutriamo di Lui è per vivere di Lui, averlo in noi, portarlo agli altri, essere irradiazione del suo amore nel mondo. Perché non trascorrere del tempo in adorazione davanti a Lui? Lì c’è Gesù nascosto dicevano i tre Pastorelli di Fatima, incuriositi dal mistero eucaristico. Abbiamo tempo per tutto e non per stare un po’ con Lui? C’è sempre qualcosa di più importante? C’è veramente qualcosa che sia più importante di Gesù?

Una forza che ci rigenera

Prendere, benedire, spezzare, dare: la vita di Gesù, da Betlemme a Gerusalemme, è racchiusa in questi quattro verbi. Per questo l’Eucaristia è la sintesi della vita del Signore. Ma anche ciò che segue nell’esistenza del Maestro, dal Cenacolo al Golgota, dal sepolcro all’Ascensione è anticipata in questi quattro verbi. Per questo l’Eucaristia è il programma della Pasqua di Gesù e della continua effusione del suo Spirito nella Chiesa. In tal modo l’Eucaristia celebrata è per noi scuola e programma di vita. Noi, celebrando il memoriale di Gesù, abbiamo sempre dinanzi agli occhi la sua umiltà, la Pasqua come mete del suo dono d’amore per noi perché dall’Eucaristia dobbiamo e possiamo attingere la forza per vivere come Gesù. Siamo stati creati a immagine e somiglianza di Dio e più lasciamo allo Spirito di conformarci alla vita di Gesù e più realizzeremo la nostra identità profonda: essere come Dio, partecipare alla vita del suo amore, donarci agli altri senza riserve. Gesù, nascosto nell’umiltà dei segni del Pane e del Vino, ci doni la capacità di vivere nelle piccole cose l’amore che egli riversa nei nostri cuori perché la nostra vita diventi pane spezzato, vino versato sull’altare del mondo.
L’Eucaristia di Gesù genera l’eucaristia dei discepoli. La famiglia è il luogo dove la dinamica dell’Eucaristia si perpetua nel tempo. Il dono di Dio, il suo prendere, benedire, spezzare e darsi abilita in noi la capacità, dono del suo Spirito, di prendere, benedire, spezzare la nostra vita e donarla ai fratelli. Non è forse una dinamica eucaristica per gli sposi la vita insieme? Io prendo la mia vita e benedico per il dono che Dio mi fa, la spezzo con gioia e la affido, la consegno perché la mia sposa si prenda cura di me ed il dono mio in lei inneschi quella dinamica dell’offerta che crea la vita. Anche lei però fa lo stesso con me, mi si dona con altrettanto trasporto, con vivo desiderio del cuore ed insieme ci spezziamo perché sull’altare della nostra famiglia l’offerta di noi stessi generi nei figli il desiderio di vivere l’amore in ogni situazione, testimoniando tra gli uomini la bellezza dell’amore sponsale tra uomo e donna.
Nell’amore che porta Gesù alla croce, amore tutto contenuto nell’umiltà dell’eucaristia, tante famiglie trovano la forza di andare avanti, di superare le liti, di rimettersi sulla strada della croce, di accogliere le difficoltà dei figli. Sia lodato Dio per il perdono che nasce dopo un tradimento, per il sorriso che fiorisce sulle labbra dopo un rinnegamento. Questi sono i veri frutti dell’Eucaristia: la capacità di amare chi non ci ama più o non vuole amarci più, che è disposto a tradirci dopo un bacio dei più teneri, ma impastato di falsità e formalismo; la volontà di andare avanti perché il Padre lo chiede, sapendo che non esiste altra strada per la santità, se non quella che Gesù continua a mostrarci quando il sacerdote, mostrando l’Ostia santa, ci dice: “Ecco l’Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo”.

 




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