Hate speech

Cala l’allarme sul problema delle parole d’odio in rete, ma solo per assuefazione

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a cura della Redazione

Nel 2018 a essere preoccupato per la deriva che ha preso il linguaggio, in rete e non solo, è il 53% della cittadinanza contro il 70% del 2017. Lo dice un’indagine condotta da Swg su mille cittadini e presentata in occasione della seconda edizione di “Parole O stili”. Ma a ben guardare, non si tratta di uno scenario positivo.

Diminuisce significativamente nel 2018 il livello di allarme e di attenzione dei cittadini sulle hate speech (parole d’odio), una triste consuetudine social. A essere preoccupato per la deriva che ha preso il linguaggio, in rete e non solo, è il 53% della cittadinanza, contro il 70% del 2017. Cala anche l’allarme sulle fake news, ma in maniera più ridotta: a essere preoccupato è il 59% dei cittadini contro il 65% di un anno fa. Ma questo calo di allarme verso la problematica, non corrisponde a un calo oggettivo del problema, bensì a una tendenza all’assuefazione, con un conseguente calo di consapevolezza. In altri termini ci siamo abituati a convivere con hate speech e fake news. È questo purtroppo, lo scenario che emerge da un’indagine condotta da Swg su mille cittadini e presentata in occasione della seconda edizione di “Parole O_stili” progetto che parte dall’omonima associazione no profit, nata a Trieste nel luglio 2017 con l’intento di promuovere l’uso di un linguaggio virtuoso in rete.

Ma hate speech e fake news rimangono temi all’ordine del giorno: due persone su tre pensano che questi due fenomeni siano una nuova realtà, una strada senza ritorno, mentre solo per il 23% sono passeggeri. Il fenomeno è percepito maggiormente tra la popolazione più istruita (+7%) e, in generale, meno tra i millennial (-6%). Hate speech e fake news prendono di mira soprattutto politica ed economia (50%), esteri e migrazioni (31%). L’indagine svolta da Swg riguarda anche un campione di 400 lavoratori e 100 dirigenti: il 58% dei dipendenti sostiene che l’uso di un linguaggio aggressivo e irrispettoso sia diffuso in ambito lavorativo e che sia aumentato rispetto a 10 anni fa (lo crede il 47%).

L’81% dei dirigenti ritiene inoltre che le aziende siano bersaglio di odio e fake news e il 59% afferma di riscontrare difficoltà nel controllo della propria brand image online, soprattutto sui social. Per comunicare sui social network, alle aziende mancano soprattutto competenze (42%), risorse umane (30%), approccio mentale e culturale al fenomeno (24%), investimenti (20%), pratica ed esperienza (18%). Per la quasi totalità dei dirigenti (95%) la buona educazione e il linguaggio incidono sulla brand reputation delle imprese, anche se il 43% afferma allo stesso tempo che una pubblicità, per essere efficace, debba usare toni forti.

È una community composta da mille esperti – tra giornalisti, manager, politici, influencer, rappresentanti delle Pa – provenienti da tutta Italia, quella che partecipa a “Parole O_Stili”. Obiettivo dell’incontro, promosso da Rosy Russo, è favorire un dialogo che contrasti il linguaggio dell’odio in rete e non solo. Nove i panel di approfondimento su vari temi e, al termine, il lancio del “Manifesto della comunicazione non ostile…per le aziende”, un decalogo per le imprese per gestire al meglio il dialogo sui social media e i rapporti online.




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