Pornografia

Pornografia: quando la gloria del corpo è smontata in tanti pezzetti

di Gianni Mussini

Cos’altro è la pornografia se non l’attitudine a scomporre la figura umana perdendo di vista l’insieme? Alla fine della bellezza non rimane che un frastornante frullato di labbra, gambe e seni, unica assente è l’armonia del tutto.

Un bel viso dai tratti lievemente orientali: alti gli zigomi sotto i grandi occhi scuri, incoronati da una chioma lucida e nera di capelli pettinati a caschetto, con la riga di lato. Pronunciate le labbra, appena segnate da un rossetto color fucsia. Il vestito è lungo e aderente, verde a piccoli fiori color crema. S’indovinano due seni turgidi, che l’obiettivo della telecamera mette bene in risalto. Magari i fari di scena bucano il tessuto leggero lasciando intravedere i bottoncini dei capezzoli. Lo zoom fissa fugacemente la magra scollatura per scendere subito lungo i fianchi sinuosi, sino a fissare lo spacco profondo che appena cela l’immancabile tatuaggio (una lucertolina) quasi incollato all’inguine. Sotto s’indovina un perizoma invisibile (l’obiettivo non manca di fissarlo per sette interminabili secondi); poi, quando la famosa modella artatamente si gira sul palcoscenico, si riconoscono (senza più doverle indovinare) due natiche sode e un esile filo che scorre tra i glutei. E anche stavolta lo zelante operatore fa bene il suo lavoro indugiando su quel filo, quelle curve. E poi insiste ancora in una lenta frenesia che smonta la gloria di quel corpo in tanti singoli dettagli: il collo affusolato, le caviglie sottili (ecco un altro piccolo tatuaggio: una coccinella sopra il malleolo sinistro), le mani snelle e curatissime, le unghie dallo smalto color salvia. Poi ritorna a quelle preziose caviglie, con i sandali a stiletto simili ai calzari di una dea greca.

Una creatura magnifica, non c’è che dire. Ma come facciamo ad accorgercene, distratti come siamo dal pulviscolo frenetico dei dettagli? Alla fine nello sguardo dell’operatore televisivo – cioè nel nostro sguardo – di quella bellezza non rimane che un frastornante frullato di occhi, labbra, gambe, piedi, mani, seni, natiche, fiori, tatuaggi… Viene meno l’armonia, e i grandi occhi neri si spengono, declassati a piccole parti di una gran macchina seduttiva. Il cuore e la mente non scintillano più, perché l’operatore televisivo non ha tempo per queste cose: non le conosce, non è abituato a cercarle, è cieco dinanzi all’unità profonda e misteriosa dell’essere umano.

Forse è questa la vera pornografia. Penso al grande teologo ortodosso Pàvel Evdokimov, vissuto nel secolo scorso (fu un russo della diaspora successiva alla Rivoluzione d’ottobre). Nella sua Teologia della bellezza riconosce nell’arte occidentale, specialmente contemporanea, la stessa attitudine a scomporre la figura umana perdendo di vista l’insieme: così, in Jackson Pollock e in tutta la scuola americana dell’Action Painting (con il colore che è fatto gocciolare spontaneamente sulla tela) “l’automatismo della velocità ha lo scopo di escludere la coscienza”. Non si potrebbe dire meglio, ma non è diverso il meccanismo d’azione della pornografia: distrae lo sguardo e lo chiude nella fantasia stessa di colui che guarda (per il quale più che mai la donna è puro oggetto di consumo). È lo stesso meccanismo che si innesca nel sadico il quale, se perde il controllo, arriva a fare a pezzi le sue vittime. Frammento per frammento.

Non è dunque questione di epidermide più o meno scoperta, se è vero che lo stesso Evdokimov ricorda un passo di san Giovanni Climaco ove si parla di un santo che, “avendo visto la bellezza femminile”, piange di gioia e canta il Creatore. Del resto lo stesso san Francesco non esitò a prendere alla lettera il precetto di “seguire nudi il Cristo nudo” caro a san Gerolamo e poi all’evangelismo medievale, spogliandosi pubblicamente delle vesti per rappresentare così la propria scelta di povertà. Perché tutto sommato il pudore ha poco a che fare con la nudità.

Così come la pornografia ha poco, anzi nulla, a che fare con la sessualità. Resa esplicita e pervasiva dall’esplosione del web, essa produce – a milioni – pezzettini di corpo che vengono evidenziati e quasi sezionati secondo il meccanismo naturalmente sadico che abbiamo appena imparato a conoscere. Dietro un corpetto c’è il seno e poi più niente; dietro le mutandine ci sono i genitali, qui si può andare un poco oltre ma poi, ancora una volta, non c’è più niente. La disperazione del consumatore di pornografia è proprio nel niente in cui si esaurisce la sua cecità. I suoi occhi guardano ciò che vogliono vedere, ma non vedono nulla: l’eccitazione viene da una fantasia che non c’entra nulla con la realtà delle cose.

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Di qui un secondo aspetto fondamentale della pornografia. Essa è ripetitiva all’infinito, compulsiva. Come l’avaro, anche chi consuma materiale osceno non è mai soddisfatto: vuole sempre di più e non si accontenta mai. Il suo eros è affidato a una dimensione immatura, puramente genitale. La vera sessualità implica invece uno scambio profondo, un guardarsi negli occhi volendosi bene per conoscersi meglio: ecco, ho appena usato il verbo che nella Bibbia designa appunto l’atto sessuale; perché il grande Ispiratore del libro santo la sapeva lunga…

Se una genitalità senza conoscenza è dunque sterile, fallimentare, bisogna però evitare di puntare l’indice facendo prediche moralistiche contro gli altri. Come ogni peccato, anche questo di cui stiamo parlando intacca o minaccia un po’ tutti: “Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio”, mette in guardia Gesù nel Vangelo di Matteo. Non si tratta dunque di scagliare pietre contro nessuno ma di essere consapevoli della posta in gioco: niente meno che la nostra libertà interiore, e la possibilità di accedere a un’alta concezione di eros che – come ha notato Benedetto XVI – deve completarsi nell’agàpe, cioè nell’amore disinteressato che cerca il bene dell’altro. Mica facile, ma saperlo è già un mettersi sulla strada giusta.

Un’ultima considerazione riguarda l’aspetto psico-sociale e addirittura politico della pornografia. Non mi riferisco al gran mercato dei siti specializzati, che dominano incontrastati il web con un fatturato annuo che sfiora – a quanto si dice – i cento miliardi di dollari. Penso piuttosto alla relazione tra la diffusione in rete della pornografia – negli anni novanta – e l’esplodere del terrorismo islamico. Ne parla Roberto Calasso nel suo libro L’innominabile attuale, dove – riferendosi agli estremisti islamici – spiega che il nostro mondo secolarizzato “aveva invaso la loro mente con qualcosa d’irresistibile, che li attirava e al tempo stesso li irrideva e li esautorava”: la pornografia, appunto, che da un lato negava la loro cultura tradizionale, scandalizzandoli, e dall’altro dimostrava che ogni eccesso era possibile contro la corruzione dell’Occidente.

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Non si tratta dunque solo di innocenti donnine nude. E del resto, negli anni Settanta, Pier Paolo Pasolini aveva a sua volta collegato l’eccesso di libertà sessuale all’esplosione del terrorismo rosso: tutto si tiene nell’economia del creato e nella storia degli uomini.

Ci sarebbe da aggiungere una minima appendice sulla pornografia sentimentale che, in troppe trasmissioni televisive, sbatte in faccia al pubblico gli affetti più privati ingozzandosi di lacrime a buon mercato. Ma per questa pornografia, non meno grave dell’altra, basti per ora l’invito a cambiare canale e a formarsi alla scuola sobria, elegante e pudica del Vangelo. La stessa scuola che indusse Francesco d’Assisi, novo Cristo, a quella spoliazione che abbiamo sopra ricordato e che non aveva nulla, ma proprio nulla, di pornografico.




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