Adolescenti

Adolescenti improvvisamente timidi? Non temete, può essere un fase normale…

timidezza

di Carolina Rossi, psicologa e psicoterapeuta

Cosa fare se nostro figlio diventa timido e sembra chiudersi al mondo? Bisogna preoccuparsi?

L’adolescenza è un tempo di grandi conquiste, sogni, desideri, ma anche di importanti scompensi e fragilità. È il tempo in cui ci si mette alla prova, si impara a conoscere il mondo. Un tempo fatto di piccoli passi e tante prove tecniche per l’accesso alla dimensione adulta. Così può accadere che a fronte di alcune esperienze, un ragazzo o una ragazza, da sempre discretamente integrati nel gruppo dei pari, possano improvvisamente diventare più taciturni e impacciati. In realtà spesso il cambiamento della forma corporea, ma anche dell’assetto psicologico e mentale, si accompagnano all’insorgenza di una strana forma di timidezza che tanto allarma i genitori.

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Non temiamo! La timidezza rappresenta in questa fase una modalità naturale dell’adolescente in carriera per potersi conoscere, per pensare, riflettere, ascoltarsi… La timidezza può rappresentare un’insicurezza diffusa che ci narra della paura di essere scoperti nelle proprie fragilità o anche nelle proprie incompetenze. Paure e preoccupazioni che già facevano parte del bagaglio esperienziale infantile, ora diventano più importanti e soprattutto più ingombranti.

Accade così che quel “non sono bravo a fare la tal cosa” oppure quel “non sono bello” che era già vagamente presente nella mente del bambino, ora si amplifichi e per poter essere demolito o modificato ha bisogno di un tempo di lavorazione intima! Tante volte l’insorgenza della timidezza non ci lascia sorpresi perché fin da quand’era piccolo abbiamo notato in nostro figlio una tendenza a vergognarsi e a guadagnare il gruppo con tempi dilatati. Ne abbiamo anche parlato, compreso il senso, gli abbiamo ripetuto all’infinito che non era come pensava lui e alla fine abbiamo creduto che fosse tutto superato. Ma dobbiamo sapere che ora è il tempo in cui tante cose lasciate lì, si palesano più chiaramente e che alla ristrutturazione di certi pensieri il giovanissimo timidone ci deve arrivare da solo!

Quando poi la timidezza giunge inattesa, cominciamo ad osservarla con sorpresa e non ce la aspettiamo proprio. Ci lascia spiazzati a maggior ragione se apparentemente non la possiamo collegare ad alcun evento scatenante! Dobbiamo pensare, invece, che già la crescita di per sé, con tutto ciò che comporta, può essere un importante evento scatenante! Se ad essa poi associamo il sopraggiungere delle prime vere e profonde delusioni, in amicizia come in amore, qualche brutta figura nei primi tentativi di affermazione di sé, possiamo comprendere che di eventi scatenanti ce ne sono e come e vengono vissuti come catastrofici, ma sono anche sufficientemente fisiologici!

L’altro giorno mi sono trovata a parlare con una mamma molto preoccupata del fatto che la propria figlia durante l’estate, a poco a poco, si fosse chiusa tanto da non voler andare più a scuola. Ho pensato che sicuramente c’era qualche valido motivo agli occhi della ragazza a determinare una simile scelta, magari qualcosa che per la mamma poteva rappresentare una sciocchezza. Così cominciando ad esplorare mi sono avviata nei sentieri dell’ignoto. Chissà cosa poteva essere successo per far traboccare un vaso già colmo! All’inizio Marina parlava poco e tendeva a normalizzare tutto… sembrava che tutto fosse andato apparentemente bene, fino a quando non è crollata in un inconsolabile pianto, parlando di una interrogazione di fine anno scolastico durante la quale aveva sperimentato un senso di impotenza forte perché pur avendo studiato si era bloccata non ricordando più nulla. Alcuni amici, tra cui uno che a lei interessava, l’avevano derisa e canzonata. Marina se l’era tenuto dentro perché parlarne o ammettere sarebbe stato un fallimento, soprattutto agli occhi dei genitori con i quali ha sempre cercato di sembrare forte. “E poi mamma mi avrebbe detto che era una sciocchezza!”. Non si sentiva compresa. Sentiva, invece, svalutato il proprio stato d’animo, e non riusciva a fronteggiare quella situazione, così ha scelto un tempo di “ritiro meditativo” e soprattutto protettivo.

Non possiamo dire quanto dura, ma possiamo dire che questo è il tempo in cui il ritiro meditativo e protettivo combatte contro la voglia di apertura al mondo, contro la voglia di libertà e scioltezza, di forza e disinibizione.

C’è una “fase” quindi durante la quale l’adolescente si prepara ad una successiva di maggiore apertura e contatto col mondo esterno. Certamente occorre preoccuparsi ed intervenire allorquando notiamo che la chiusura si protrae lungamente nel tempo e il ragazzo/la ragazza perde contatti relazionali e passioni/interessi o quando i social diventano unici compagni di vita. In questi casi l’illusione di avere amici in un mondo fittizio può rinforzare quel comportamento evitante che è tipico della fobia sociale.

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Dunque come comportarsi?

  • Innanzitutto diamogli il tempo e la possibilità di viversi questo momento assumendo nei suoi confronti un atteggiamento di comprensione e di apertura; soprattutto non andiamo in ansia perché la nostra ansia amplifica la sua timidezza.
  • Non facciamo l’errore di omologare questo stato emotivo a quello dello stato depressivo dell’adulto, piuttosto proviamo a guardare a questa fase come a quella di un bruco che sta per diventare una farfalla, che per poterlo fare ha bisogno di un tempo e soprattutto di arrivare a fortificare le proprie ali prima di riuscire a rompere il bozzolo.
  • Evitiamo di criticare il suo atteggiamento, perché non si amplifichino le insicurezze già proprie di questa fase. Criticando rischieremmo di alimentare una maggiore sfiducia del ragazzo nei confronti di se stesso e ne stimoleremmo una maggiore chiusura.
  • Per migliorare la nostra capacità di sintonizzazione, proviamo a tornare con la nostra mente un po’ indietro nel tempo e cerchiamo di ricordare la nostra adolescenza, quando anche noi vivevamo questa fase e la avvertivamo come una difficoltà insormontabile.



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