Forze dell’ordine

“Quando rimasero soli”

di Michela Giordano

Un collega di mio marito si è suicidato. Non è la prima volta che accade. Mentre mi chiedo perché lo abbia fatto, sento l’urgenza di raccontare le storie di coloro che non ci sono più. Membri delle Forze dell’ordine uccisi dal nemico e ancora di più dalla solitudine statale e sociale.

Sono stati giorni convulsi. Ho cambiato città, Aurora ha una nuova scuola, casa è tutta da riordinare. Mi colpisce, ogni volta, come sia complicato trovare un posto per tutto: oggetti, ma anche ricordi, portando con sé non solo e non tanto pentole, vestiti, arredamento, ma soprattutto gioie, dolori, entusiasmo, sofferenza, trasformando questo faticoso “bagaglio” nel trait d’union della propria esistenza, che, in fondo, è sempre la stessa, solo che si svolge in un posto nuovo.

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Nel pomeriggio di ieri, io e mio marito siamo stati raggiunti da una notizia sconvolgente: un collega, un conoscente, si è ucciso, sparandosi con la pistola di ordinanza (era un militare). Non so quale motivazione lo abbia indotto al più estremo dei gesti, ma certamente una disperazione assoluta deve aver fatto da molla, la sensazione di trovarsi sull’orlo di un baratro senza uscita, di essere solo. Non so. Non comprendo. Non riesco a dormire. Non eravamo amici, nel senso pieno della parola, ma ci stimavamo e l’inquietudine mi assale, riportandomi alla memoria un fatto simile, avvenuto molti anni fa.

Ero sposata da poco e un amico, collega di mio marito, venne a trovarci. Gli offrii il caffè. Lui mi chiese un cioccolatino. Poi, a bruciapelo, tra una chiacchiera superficiale e l’altra, mi domandò: “Ma tu cosa hai capito del mio lavoro da quando conosci Gennaro?”. La domanda mi stupì, perché, se non erro, parlavamo di tutt’altro. Malgrado la sorpresa, di getto, risposi: “Siete uomini soli, con un macigno enorme sulle spalle fatto di responsabilità e senso del dovere”. Colsi un lampo nei suoi occhi, come se fosse compiaciuto delle mie parole. Mi guardò fissa e, di rimbalzo, commentò: “La dovresti raccontare la nostra solitudine”. Poi si tornò a chiacchierare del più e del meno, come se quello scambio non ci fosse stato. Due settimane dopo quell’amico si uccise.

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Tante volte io e mio marito ci siamo detti che, forse, avremmo dovuto approfondire il senso di quella conversazione, che avremmo dovuto cogliere la disperazione di quel giovane uomo, il cui ricordo, ancora oggi, mi invade di “rabbia e tenerezza”. Come ho voluto scrivere nella dedica del mio primo libro. Racconta della vita di due ufficiali dei carabinieri, Emanuele Basile e Mario D’Aleo e del loro barbaro assassinio, a tre anni di distanza l’uno dall’altro, con l’agguato a D’Aleo che costò la vita anche a due suoi fedeli collaboratori, Giuseppe Bommarito e Mario Morici. Quando si trattò di scegliere il titolo, non ebbi esitazioni e, rammentando quel botta e risposta, optai per: “Quando rimasero soli”. Accenno oggi, per la prima volta, al mio libro, non per effimera autoesaltazione, ma per introdurre un elemento nuovo di questi appuntamenti mensili. Ho immaginato di inserire, di tanto in tanto, un accenno ad una biografia a mio parere significativa, che possa essere di ispirazione. Niente di roboante, ma piccole, ordinarie esistenze, che si sono trasformate in vite straordinarie nella semplicità della quotidianità. Comincerò, la prossima volta, proprio dai protagonisti del mio libro, 4 eroi in divisa, 4 mariti, fratelli, figli, fidanzati, padri. Per non lasciarli soli, con l’oblio, ancora una volta.

Il libro: https://www.ibs.it/quando-rimasero-soli-emanuele-basile-libro-michela-giordano/e/9788831539234




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