Povertà assoluta

Walter Nanni di Caritas italiana: “Una soluzione alla povertà in Italia? Rivalutare la famiglia”

di Ida Giangrande

Povertà assoluta in netto aumento nel nostro Paese, divorzi e separazioni tra le prime cause e poi il basso livello di istruzione. Parla Walter Nanni, responsabile ufficio studi di Caritas italiana: “Un italiano su quattro ha sperimentato la rottura dei legami familiari. Un problema sociale che coinvolge minori e giovani”.

Sono più di 5 milioni gli italiani che versano in condizioni di povertà assoluta. È il dato che emerge dal 16esimo Rapporto sulla povertà di Caritas italiana che esce ogni anno il 17 ottobre. Una piaga che sta assumendo sempre più i contorni di una vera e propria emergenza sociale. Non parliamo solo di carenza di mezzi e di crisi economica, ma di altre forme di povertà ben più sottili e preoccupanti legati alla crisi sì, ma di valori e di relazioni. Abbiamo voluto approfondire l’argomento parlandone con Walter Nanni, responsabile dell’ufficio studi della Caritas italiana, che si è occupato di condurre il Rapporto sulla povertà nel nostro Paese.

Leggi anche: Rottura dei legami familiari e tasso di istruzione basso: le ragioni della povertà in Italia

Una povertà di relazioni innanzitutto…

Sì è quello che abbiamo riscontrato dalle richieste delle persone che si rivolgono ai centri di ascolto della Caritas. Le rotture affettive e relazionali come separazioni e divorzi, sono tra le prime cause di povertà.

Facciamo degli esempi?

Soltanto il 45% delle persone che si rivolgono alla Caritas sono coniugate e chiedono di solito beni di sussistenza. A questa percentuale va aggiunto il 6% di casi di vedovanza, il “nido spezzato” come lo chiamiamo noi. Il 23,5% dei casi è fatto di separati e divorziati. Una percentuale importante. Si viene sempre più a delineare una situazione differente tra le richieste degli stranieri e quelle degli italiani. Mentre gli stranieri sono regolari, sposati e con figli, e hanno problemi di lavoro, disoccupazione e povertà economica, un italiano su quattro ha sperimentato la rottura dei legami familiari. Un problema sociale che non riguarda solo le coppie, ma coinvolge direttamente i minori dato che il 64% delle persone separate che vengono a chiedere aiuto, ha figli.

Sono di più i papà o le mamme che chiedono aiuto?

Le madri senza dubbio. Il rapporto è di uno a tre.

Cosa chiedono nello specifico le madri alla Caritas?

Innanzitutto beni e servizi materiali, parliamo di beni primari: medicine, abiti, generi alimentari. Il 26% chiede sussidi economici, il pagamento di una bolletta o di una tassa arretrata. È molto più raro che si chieda lavoro o alloggio anche perché la Caritas non dà lavoro.

Invece i papà separati?

Sono il 4-5% del totale. Una percentuale bassa rispetto al fenomeno. In genere chiedono un supporto materiale, talvolta uno spazio neutro dove poter stare con i propri figli. Alcune Caritas si sono infatti organizzate per mettere a disposizione delle strutture dove i papà possono stare con i figli nei giorni assegnati. Ci sono vari progetti di questo tipo, il primo è partito a Torino qualche anno fa.

Un delle cose che mi colpiva del rapporto è il dato relativo al titolo di studio. Si evidenziava infatti che in Italia c’è un basso livello di istruzione e che questa è una delle prime cause di povertà…

Il 70% delle persone che si rivolgono alla Caritas non ha conseguito il diploma di medie-superiori. Molti sono analfabeti e molti sono quelli che non hanno alcun titolo di studio. Il dato allarmante è che in questa percentuale, non ci sono solo anziani, ma anche i giovani tra i 18 e 34 anni. In questo senso l’Italia è un Paese con forti contraddizioni: siamo primi in Europa per numero di Neet, giovani che non studiano e non lavorano, e penultimi per incidenza di laureati subito prima della Romania, con un capitale formativo molto basso.

Leggi anche: Neet, giovani che non studiano e non lavorano

Cosa chiedono i giovani alla Caritas?

Orientamento, formazione professionale, corsi di specializzazione. In questo senso la Caritas cerca di metterli in collegamento con gli enti di formazione.

Ma in Italia non c’erano alcune delle università più prestigiose di Europa? Come sono possibili indici di questo tipo?

Indubbiamente la difficoltà di inserimento dei laureati crea una certa sfiducia. Abbiamo un tasso di iscrizione all’università lievemente più basso rispetto agli anni precedenti. Alcuni corsi di laurea non hanno sbocchi professionali immediati per cui ecco spiegati fenomeni come la fuga dei cervelli. Tuttavia possiamo dire che i casi di povertà assoluta tra i laureati sono molto meno frequenti rispetto a coloro che hanno titoli di istruzione più bassi o nessun titolo. Per certi versi lo studio premia ancora.

Come si fa a contrastare questa situazione di povertà?

Una misura importante è stata introdotta con il reddito di inclusione, che in questo momento riguarda circa il 40% delle persone in povertà assoluta. Il reddito di cittadinanza potrebbe essere una cosa positiva ma è molto legato ai centri per l’impiego. L’esperienza ci dice che la povertà oggi non è più quella tradizionale, ma assume vari volti e varie forme. Una soluzione univoca? È un’utopia. Bisognerebbe ripartire forse dal rivalutare il valore sociale, economico e valoriale della famiglia.

 




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