Adolescenti in rete

Il web, un porto franco senza dazi per orfani di maestri

di Mariangela Treglia, psicoterapeuta e ricercatrice ITCI

Lei 14 anni, va ad una festa senza il suo permesso. Lui, 16, la costringe a scrivere una frase diffamatoria per 650 volte. Il tutto favorito dalla distanza virtuale. Il Tribunale per i minori informa: in due anni questi reati sono cresciuti del 42%. Che cosa sta succedendo ai nostri ragazzi?

Milano – Una ragazzina di 14 anni è costretta dal suo fidanzatino 16enne a scrivere 650 volta una frase contro se stessa. La ragione? Era andata ad una festa senza il suo permesso. Fin qui nulla di nuovo: di storie di sottomissione psicologica purtroppo è pieno il mondo. Ad esserne vittime non solo adolescenti, ma anche adulti. Il dato inquietante in questa vicenda, oltre all’età dei protagonisti, è che tutto avviene attraverso il mondo digitale. La Procura del Tribunale per i minori avverte: questi reati sono triplicati in due anni e cresciuti del 42% rispetto al 2017. A scuola resistono poi i pregiudizi sulle ragazze.

Cambiano i personaggi ma il copione rimane invariato. In questo teatro spesso povero di relazioni significative dove gli attori si alternano, non esiste un palco, una struttura. Eppure appartiene al più grande continente che la nostra geografia attuale conosca: il mondo tecno-liquido. L’assenza di confini ben definiti, l’ambiguità di fondo che spesso caratterizza l’ingresso nel mondo digitale e la tecno-mediazione che ci consente di entrare in relazione ma a distanza, sembrano essere alcuni tra gli ingredienti necessari per dar vita a questi ed altri fenomeni che diventano sempre più frequenti nella rete. Qualcosa ci sta sfuggendo! Come è possibile che in barba a tutti i disegni di legge, gli interventi puntuali della polizia postale e la diffusione delle stesse notizie che dovrebbero scoraggiare tali comportamenti, questi continuano ad essere reiterati? Continuiamo a fare “la conta delle vittime”.

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Ma torniamo all’articolo: giovani anzi giovanissimi i protagonisti di questa storia senza volti e senza nomi, una storia come tante, una storia tra le tante e che, una volta che si abbasseranno i riflettori, come tutte le altre, finirà nel dimenticatoio. Che cosa può legittimare un sedicenne a minacciare la fidanzatina quattordicenne facendole scrivere per ben 650 volte la stessa frase e ad imporre il proprio controllo determinando un vero e proprio stato di sottomissione dal quale diventa difficilissimo sganciarsi?

Una possibile causa è da ricercare tra una serie di condizioni favorevoli, prima tra tutte l’immediatezza e l’istintualità dell’essere umano, che la tecnologia esaspera e velocizza drammaticamente: non c’è spazio per la riflessione e l’elaborazione. Un presunto torto subito nella vita reale diventa una punizione espiabile in quella digitale. Altra condizione che a mio parere legittima questo tipo di comportamenti è la paradossale relazione con l’altro: la tecno-mediazione della relazione. Quest’ultima è possibile solo attraverso il tablet o lo smartphone, ma il contatto face-to- face è praticamente azzerato. Nei casi come quello dell’articolo riportato, una relazione tecno-mediata non solo priva i due giovani di un incontro reale e fisico ma facilita anche un processo di de-umanizzazione della vittima nel quale la persona più debole viene depauperata di tutti i contenuti fisici, emotivi e psicologici, e nei casi più eclatanti le vittime vengono esposte al pubblico ludibrio.

Da qui prendono inevitabilmente forma due personaggi: quello della vittima appunto che drammaticamente non riesce a sganciarsi dalle provocazioni del carnefice, perché in fondo sganciarsi dalla relazione significherebbe perdere il controllo su se stessi, e quello del carnefice che attraverso l’esaltazione del proprio narcisismo digitale afferma il proprio potere e dominio sull’altro. In questo scenario il mondo del virtuale sembra diventare un vero e proprio porto franco dove l’assenza di dazi giustifica ogni commento, ogni frase, ogni “provvedimento disciplinare” verso colui che “ha sbagliato”. Non dimentichiamoci inoltre che la rivoluzione del digitale non è da intendersi solo come una semplice rivoluzione sociologica e psicologica ma una vera e propria rivoluzione antropologica che vede il passaggio tra generazione analogica (immigrati digitali) e generazione digitale (nativi digitali). Il numero in aumento di reati nel mondo digitale (si consideri per esempio il cyberstalking) rispetto a quelli del mondo reale sono probabilmente il frutto di questa rivoluzione antropologica: in fondo i nostri giovani utilizzano lo smartphone come un prolungamento del loro corpo. Dunque un’esperienza positiva o negativa verrà immediatamente condivisa nella rete, un acquisto, un viaggio, un litigio, una separazione rimbalzeranno subito sui social ad esempio. Si sta estinguendo quella capacità (caratteristica invece delle menti analogiche) di simbolizzare, di creare tra sé e l’altro uno spazio di riflessione.

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Concludo sottolineando come la desertificazione dei valori e l’assenza di persone significative, il bisogno immediato di gratificazione attraverso l’esaltazione del narcisismo digitale, la velocità, la povertà emotiva, l’assenza di senso di colpa sono alcune tra le numerose dimensioni della realtà virtuale sulle quali l’adulto del Terzo Millennio è chiamato a riflettere e ad interrogarsi. In fondo i nostri giovani conoscono e possono insegnarci il linguaggio digitale, ma hanno difficoltà ad intercettare i bisogni emotivi propri e dell’altro. L’adulto significativo deve cogliere ed arricchire questa “insufficienza empatica”. Ma egli stesso dovrebbe forse partire dalla seguente domanda: in che modo posso mettermi in discussione e posso candidarmi come modello di riferimento autentico in questo periodo storico in cui i nostri giovani e futuri adulti sono orfani di maestri?




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