8 novembre 2018

8 Novembre 2018

Il Pastore innamorato

di don Silvio Longobardi

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 15,1-10)
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione. Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

Il commento

Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle…” (15,5). La pagina del Vangelo che oggi meditiamo ci consegna una delle perle della narrazione lucana. La conosciamo come la parabola della pecorella perduta. In realtà l’unico protagonista è il pastore, possiamo perciò definirla come la parabola di un pastore innamorato che non si rassegna e fa tutto il possibile per ritrovare la pecora che si è allontanata. Immagine di un Dio che è sempre pronto a prendere l’iniziativa per trovare i suoi figli che hanno smarrito la via. Immagine di una Chiesa che, sospinta dall’amore, non condanna nessuno e cerca di annunciare a tutti e sempre che la misericordia di Dio non abbandona nessuno. Uno dei particolari più commoventi della parabola è il gesto del pastore che, una volta ritrovata la pecora perduta, se la pone r sulle spalle. Nelle raffigurazioni più antiche è questa l’immagine più comune per rappresentare il buon Pastore. Questo particolare non è presente nel racconto parallelo di Matteo (Mt 18, 12-14), nelle intenzioni di Luca è un segno di quell’amore che accoglie e si carica del peccato altrui, un amore che non ha paura di portare il peso dell’altro. Possiamo dire di amare veramente quando siamo disposti ad accogliere l’altro senza cadere nel facile giudizio. Ognuno di noi porta con sé una storia intessuta di fragilità: i limiti propri di ogni persona, i difetti che derivano dall’esperienza familiare, le mancanze amplificate da un’educazione distorta, le paure che nascono dalle delusioni precedenti. Non dobbiamo aver paura di riconoscere la nostra identità esistenziale. Ma non dobbiamo neppure aver paura di accettare la sfida della vita che ci chiede di andare oltre i nostri limiti. È qui che l’amore, fortificato dalla sua fede, gioca il suo ruolo positivo e propositivo. Un amore che non è disposto a portare il peso dell’altro, fa ben presto naufragio. Oggi preghiamo in modo particolare per i presbiteri, chiamati a manifestare l’amore gratuito del buon Pastore che dà la vita per le sue pecore.



Briciole di Vangelo

di don Silvio Longobardi

s.longobardi@puntofamiglia.net

“Tutti da Te aspettano che tu dia loro il cibo in tempo opportuno”, dice il salmista. Il buon Dio non fa mancare il pane ai suoi figli. La Parola accompagna e sostiene il cammino della Chiesa, dona luce e forza a coloro che cercano la verità, indica la via della fedeltà. Ogni giorno risuona questa Parola. Ho voluto raccogliere qualche briciola di questo banchetto che rallegra il cuore per condividere con i fratelli la gioia della fede e la speranza del Vangelo.


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