Mulieris dignitatem

La donna ha e ha avuto un ruolo nella Chiesa?

pf plus novembre 2018

di don Silvio Longobardi

A trent’anni dalla Lettera apostolica Mulieris dignitatem di Giovanni Paolo II, facciamo il punto della situazione nell’ultimo numero del Plus di Punto Famiglia. Da Lucetta Scaraffia a Marta Brancatisano, nomi legati al mondo universitario, al giornalismo audace. E non mancano le voci delle consacrate da suor Daniel Del Gaudio, teologa e scrittrice a Domenique Menvielle, e la sensibilità maschile costituita da uomini come Francesco Belletti o Gianni Mussini, cultori della bellezza e della vita. Proponiamo in anteprima l’editoriale del dossier.

No, no, no, cento volte no”: così ha risposto san Pio X, con amabilità e fermezza, ad una ragazza che nel corso di un’Udienza aveva chiesto al Papa di considerare e stimolare il ruolo sociale della donna. Poco più di un secolo fa. Coraggiosa quella ragazza. Ma non riuscì ad aprire una breccia nella visione granitica del Papa che vedeva il ruolo della donna soprattutto nella sua capacità di intessere e mantenere vive le relazioni all’interno della famiglia. Cinquant’anni dopo un altro Papa, Giovanni XXIII, anch’esso santo, salutava il protagonismo femminile come uno dei segni dei tempi (Pacem in terris, 22). Venticinque anni dopo Giovanni Paolo II pubblicava la Mulieris dignitatem (1988), un documento di eccezionale valore che esalta il ruolo e la dignità della donna, anzi parla del genio femminile come uno degli elementi portanti della vita sociale ed ecclesiale. Lo scorso anno papa Francesco ha “promosso” la memoria liturgica di santa Maria Maddalena (22 luglio) al grado di festa. Potrebbe apparire una notizia minore ma anch’essa fa parte di un mosaico di gesti e parole che negli ultimi decenni hanno messo in luce il ruolo della donna tanto nella vita ecclesiale che in quella sociale.

Un cammino graduale che forse alcuni giudicano troppo lento e altri ancora incompleto. Occorre perciò ricordare che il sì ecclesiale non nasce sull’onda di un’indistinta parità di genere, oggi così in voga negli ambienti del politicamente corretto, ma nel solco di quell’antropologia che riconosce ed esalta il valore della differenza sessuale espressa magnificamente in queste parole che troviamo nel Libro che apre la Rivelazione biblica: “Maschio e femmina li creò”.

La Chiesa viene spesso accusata di aver contribuito all’emarginazione della donna. Certo, se guardiamo alla lunga e complessa storia ecclesiale troviamo ombre e non pochi punti oscuri. Ma ad un’attenta valutazione, priva di pregiudizi ideologici, appare proprio il contrario e cioè che il cristianesimo, prima e più che ogni altra cultura e religione, ha proposto un modello di umanità fondato sulla radicale uguaglianza del genere umano. La donna ha una specifica sensibilità che porta in tutte le cose che fa. Nella Lettera alle donne (1995) Giovanni Paolo II spiegava così il ruolo che la donna può avere nel sociale:

Grazie a te, donna-lavoratrice, impegnata in tutti gli ambiti della vita sociale, economica, culturale, artistica, politica, per l’indispensabile contributo che dai all’elaborazione di una cultura capace di coniugare ragione e sentimento, ad una concezione della vita sempre aperta al senso del mistero, alla edificazione di strutture economiche e politiche più ricche di umanità

Nel corso del Novecento tante persone hanno contribuito ad allargare l’orizzonte della dottrina cattolica. Tra queste Edith Stein (1891-1942), santa anche lei, che nei primi decenni del Novecento salutava “l’ingresso della donna nei vari rami professionali” come “una vera benedizione per tutta la vita sociale”. A condizione, aggiungeva, che questa attività non diventi un ostacolo per la vita domestica, cioè per quella comunità che rappresenta il cuore dell’umana società. Un sì pieno e condizionato, quello cattolico. Un sì che coniuga fedeltà alla tradizione e rinnovamento, presenza domestica e impegno sociale. Siamo certi che la specifica sensibilità femminile possa dare un contributo considerevole per costruire una società dal volto umano, per far emergere una civiltà in cui la persona vale più delle cose.

È questo l’auspicio dei Padri conciliari racchiuso nel Messaggio alle donne: “Viene l’ora, l’ora è venuta, in cui la vocazione della donna si svolge con pienezza, l’ora in cui la donna acquista nella società un’influenza, un irradiamento, un potere finora mai raggiunto. È per questo che, in un momento in cui l’umanità conosce una così profonda trasformazione, le donne illuminate dallo spirito evangelico possono tanto operare per aiutare l’umanità a non decadere” (Concilio Vaticano II, Messaggio alle donne).

Se rileggiamo la storia ci accorgiamo che non c’è ambito dell’umana società in cui le donne non abbiano lasciato un’impronta. Se pensiamo alla carità la lista è lunghissima e abbraccia ogni categoria e ogni aspetto del vasto disagio sociale: i minori, i poveri, gli ammalati, gli emigranti. Se pensiamo all’educazione l’elenco non è meno lungo: quante congregazioni religiose sono nate per dare istruzione ai figli delle famiglie più povere o per offrire un ambiente educativo ai bambini privi di famiglia, per dare la possibilità di apprendere un lavoro alle ragazze sole. Vi sono sante come Caterina da Siena (1347-1380) che hanno partecipato attivamente alla vita sociale e politica del proprio tempo, promuovendo la riconciliazione tra le fazioni. Come dimenticare santa Francesca Cabrini (1850-1917) che a cavallo tra l’Otto e il Novecento, con intuito davvero materno, fonda una congregazione religiosa per accompagnare i nostri emigranti. Altre sante hanno consumato la vita nella preghiera scrivendo pagine di spiritualità che hanno illuminato il cammino dei credenti. Tra queste emerge come un faro luminoso la testimonianza di Teresa di Lisieux.

Per restare al ventesimo secolo, chi può negare l’influenza spirituale esercitata da donne come Madre Teresa di Calcutta e Chiara Lubich? La prima ha dato una straordinaria testimonianza nel campo della carità; l’altra, anticipando i tempi, ha fondato una comunità, composta di laici, consacrati e presbiteri, tutta impegnata a promuovere l’unità ad ogni livello della vita sociale ed ecclesiale. Queste due donne, insieme a tante altre, sono la conferma che la santità apre sentieri inediti e quindi arricchisce il patrimonio della fede della Chiesa.

L’originalità femminile non si trova esaltando la donna come individuo in competizione con l’uomo ma favorendo percorsi in cui la differenza e la reciprocità sessuale viene riconosciuta come un elemento essenziale dell’umana società. È questa la prospettiva che il cristianesimo non si stanca di proporre e di perseguire con tenacia. Anche a costo di essere deriso.

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