CORRISPONDENZA FAMILIARE

di don Silvio Longobardi

Cercasi famiglia: una storia straordinaria che profuma di Natale

17 Dicembre 2018

Presepe

Vi racconto la storia di una famiglia che ha scelto di celebrare il Natale accogliendo un bimbo malato: in quella creatura sofferente l’immagine autentica di quel Gesù che si è fatto piccolo e povero. Sono certo che nella notte di Betlemme la cometa farà sosta su quella casa.

Due mesi di vita e nessuna speranza di raggiungere quegli standard che oggi sono considerati essenziali per una vita dignitosa. È uno di quei bambini che, stando alla cultura attuale, non dovrebbero nemmeno venire alla luce; e che, se fosse legalmente possibile, molti non esiterebbero a condannare a morte. Una vita come la sua non ha niente da dire, è solo un peso per la società. In Italia non si spingono (ancora) a tanto ma in altri Paesi hanno già approvato una normativa che autorizza l’eutanasia dei minori. In nome della compassione, naturalmente. Questa almeno è la motivazione ufficiale. In realtà, in nome di una cultura che considera inutile ogni vita che non produce e rappresenta un costo per lo Stato. È l’esito, tragico ma coerente, di quella cultura di morte che, a partire dagli anni ’60, ha esaltato l’aborto come una necessità sociale, come un diritto delle donne, anzi come un dovere della società.

Questo bambino sembrava destinato a restare ai margini della vita sociale, nel migliore dei casi inviato in una casa famiglia. E invece ha trovato una famiglia vera che ha deciso di adottarlo. Una famiglia già rallegrata dalla presenza dei figli, genitori che potrebbero essere sazi e/o pensare di non avere tempo per accogliere altre sfide. Una famiglia che non guarda alla cartella clinica dove c’è scritto che questo bambino è nato “con spina bifida e con agenesia del corpo calloso, un difetto degli emisferi che collegano la parte destra e sinistra del cervello”. Una famiglia straordinaria che ha commosso i giudici del tribunale e gli assistenti sociali. Una famiglia che ha scelto di celebrare il Natale accogliendo un bambino malato perché sa che quella creatura sofferente è l’immagine autentica di quel Gesù che si è fatto piccolo e povero. Sono certo che nella notte di Betlemme la cometa farà sosta su quella casa.

Una famiglia straordinaria, saremmo tentati di dire: più unica che rara. E invece, fa parte di un’associazione di famiglie che hanno scelto di accogliere come figli quei bambini che gli altri rifiutano, quelli che gli altri considerano inutili, quelli che vengono guardati con compassionevole indifferenza. L’associazione si chiama Mamme matte. Sulla home page del loro sito web trovate questa presentazione:

“Siamo un gruppo di donne e mamme (adottive, affidatarie, biologiche). Da un po’ chi ci conosce ha cominciato a chiamarci Mamme matte e ci siamo rese conto che questo nome è proprio perfetto per noi. Siamo Mamme matte perché crediamo che ogni bambino abbia diritto ad una famiglia, anche se grandicello, con una disabilità, o con un passato pesante alle spalle. Siamo Mamme matte perché ogni bimbo che ci viene segnalato diventa subito un nostro bimbo e ogni pensiero si concentra su di lui fino a quando non abbiamo trovato una famiglia o il giusto progetto di accoglienza per lui. Siamo Mamme matte perché crediamo che ci siano moltissime famiglie che possono accogliere i nostri bimbi speciali se sostenute e accompagnate nel modo giusto”.

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Chi conosce quest’associazione, alzi la mano. Credo che siano pochi. Eh sì, i mezzi di informazione hanno altro di cui parlare, questioni ben più importanti di quei bambini abbandonati. E poi, a dirla tutta, quella che viene chiamata la “grande stampa” – grande perché legata ai poteri forti ed ha grandi interessi da difendere – non può affrontare un tema come questo, strettamente legato all’aborto, che viene difeso ad oltranza. In effetti, ci vuole una buona dose di faccia tosta per appoggiare a spada tratta l’aborto dei bambini ammalati e poi fare una campagna per chiedere di dare adeguata accoglienza ai bambini nati con disabilità più o meno gravi. È una sfacciataggine che non manca a giornalisti e politici ma, in questo caso, ritengono che sia meglio stare alla larga.

La stampa cattolica potrebbe giocare un ruolo non marginale. Ma c’è un piccolo problema: la pagina della solidarietà è praticamente assorbito dalla questione dei migranti. Sembra che non ci sia altro tema da porre all’attenzione di tutti. Anche la Conferenza episcopale, almeno nelle dichiarazioni ufficiali, non perde occasione per affrontare il fenomeno migratorio, rischiando di lasciare al palo tanti altri problemi, a cominciare proprio dalla drammatica situazione in cui si trovano le mamme che vivono una difficile e imprevista gravidanza e quei bambini che nascono senza un giubbotto di salvataggio. Li buttiamo tutti a mare oppure vogliamo aprire una grande stagione di solidarietà in cui tutti sono davvero coinvolti?

La risposta sembra ovvia, quasi banale. Ma rischia di essere solo retorica ipocrita. In fondo, è facile parlare dei migranti, tanto è lo Stato che se ne deve prendere cura. Parlare dei bambini abbandonati è più complicato perché ci coinvolge in prima persona, ci chiede di aprire le porte, misura la nostra effettiva disponibilità. Senza il Natale di Betlemme, quello che ha visto Gesù venire alla luce, forse neppure si parlerebbe di queste cose. Ma dal momento che il Figlio di Dio si è fatto uomo, dobbiamo riconoscere che in ogni uomo risplende una luce particolare. Solo chi ha fede può vederla. Di questa fede abbiamo bisogno, cari amici, se vogliamo dare una svolta all’umana società.

 




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